Olly vive a Milano da qualche anno e da quando ha lasciato Genova, la sua città, sono cambiate moltissime cose. A soli 22 anni vanta già la partecipazione al Festival di Sanremo dove con "Polvere" aveva fatto ballare tutte le persone sedute in platea. Poi è arrivato il momento del Gira il mondo gira tour, che da maggio lo ha visto protagonista di sedici date in tutta Italia, e si concluderà il 10 dicembre sul palco del Fabrique, completamente sold-out. Noi ci saremo e sarà l'occasione per cantare insieme anche il suo ultimo singolo "A squarciagola", nata quest'estate al tramonto, sul tetto di una casa in Sardegna. Di questo e molto altro abbiamo parlato con Olly, nome d'arte di Federico Olivieri, che ci ha portati con sé davanti al mare della sua città e dietro le quinte del suo prossimo show.

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Tommaso Bordonaro
Olly è la nuova cover di Cosmopolitan Extra.

Pronto per il Fabrique?

«Sì. Gasato marcio. Sono felicissimo perché ci saranno tantissimi amici, forse troppi, ma sono la parte più importante».

Vengono da Genova?

«Sì, fanno la macchinata, vengono a dormire da me, infatti sono in dubbio se metterò a posto prima, o se è meglio aspettare che distruggano tutto e poi... Penso che alla fine non metterò a posto prima. Non lo faccio, mi sa di no».

    Sono gli amici di sempre?

    «Sì, diciamo che nel tempo si è formato autonomamente un gruppo che ci è voluto essere, che ha accettato anche i lati negativi di fare questa vita, ovvero che sono un amico di merda sostanzialmente perché non ci sono mai. Però sono proprio come la mia famiglia, li sento poco ma quando li sento ho la sicurezza che ci sono. Anzi, alcuni di loro sono addirittura più tesi di me per la prossima data, mi chiedono come sto, se sono gasato, se sono in ansia».

    E tu come ti senti per il sold-out del Fabrique?

    «Devo dire la verità, non sono teso. Abbiamo preparato molto bene questo live in studio quindi ci saranno un sacco di parti rivisitate e ri-arrangiate. JVLI (nome d’arte di Julien Boverod, suo produttore) in particolare in questo ha avuto un ruolo fondamentale. È stato un lavoro lungo, molto pensato, addirittura ieri sera siamo andati a Lecco a casa del tecnico delle luci, che poi è la principale fonte di allestimento del live, che non avrà altre scenografie. Lì abbiamo guardato tutto nel dettaglio. Cercheremo di portare con molta umiltà uno spettacolo che è all'altezza di un palazzetto e vivrà in un grande club».

    Grandi traguardi o solo l'inizio?

    «Ho 22 anni, sono ancora un ragazzino, un pischello, non ho la presunzione di dire che sono il più forte, mi sto preparando diciamo con la consapevolezza di aver fatto il massimo. Poi mi sono pure messo a dieta, non dico altro (ride, ndr), sto tagliando carboidrati, ma per la sera ho già prenotato delle pizza da asporto che mi arriveranno subito dopo».

      Questo concerto è il coronamento di un tour che è andato benissimo, dopo un anno in cui sono successe un milione di cose, da Sanremo ad oggi. E tu sei cambiato?

      «Devo dirti che nella mia testa mi sono sempre proiettato in una posizione di valore, artisticamente parlando. Ho sempre pensato di avere delle qualità, con tutte le mie paranoie e insicurezze. La conferma è stata quando ho convinto varie persone a dedicare l'attenzione necessaria al mio progetto. Io non mi sento cambiato tanto perché nella mia testa ho affrontato ogni step in modo meticoloso, chiaro, lavorando sempre con i miei amici, nonostante abbia iniziato a interagire con molte più figure, anche banalmente trasferendomi a Milano ho avuto possibilità di conoscere tantissima gente, professionisti incredibili. Ma alla fine a me piace sempre avere quella punta di affetto nel lavoro: quando qualcuno mi è vicino nella vita, poi nel lavoro mi è vicino il doppio, e se c'è da fare una cosa in meno ne fa due in più».

      Sei lo stesso di sempre, quindi..

        «Il successo mi ha cambiato relativamente. Poi sono anche una persona coi piedi per terra, non ho speso anche di quello che ho incassato, per intenderci. Sono genovese, eh, quindi di base tirchio (ride, ndr). La parte più complessa, che mi cambia, è imparare a gestire le aspettative degli altri. Ci sto lavorando».

        Dopo Sanremo 2023, ancora di più?

        «Penso che alla fine aver fatto il Festival a 22 anni sia figo, puoi dire di averlo fatto da giovanissimo, ma allo stesso tempo il lato negativo è che l'hai già fatto e quindi se ritornerai dovrai farlo in un altro modo. È stato sicuramente utile, ma voglio tornare con un'altra impronta, tra un po' di tempo».

          Stai lavorando a qualcosa in particolare?

          «Non mi sono mai fermato, perché lavoro praticamente a quattro mani su tutto con JVLI. Parlo al plurale perché la penna è la mia, la produzione è la sua, ma in ogni cosa diciamo che cerchiamo di metterci un po' l'uno nell'altro. Tommaso Bordonaro, poi, che invece si occupa dell'immagine e della direzione artistica del mio progetto (ha realizzato lo scatto di cover) è uno degli amici di sempre. Per dirti quanto lavoriamo, sempre, l'inedito che porterò sul palco al Fabrique è stato scritto a febbraio, appena tornati da Sanremo. È un periodo in cui voglio scrivere tanto, poi arriverà il punto in cui sento che ce l'ho, unirò i puntini e poi farò uscire il disco, senza fretta».

          Lo stile delle tue nuove canzoni cambierà?

          «Sicuro stiamo andando sempre di più verso una via cantautorale che di fatto non c'è sempre stata. Prima le canzoni parlavano di me, ora invece sto cercando sempre di trattare argomenti e di scrivere con una formula più inclusiva, più generale, sul mondo che mi circonda».

          Che rapporto hai con il cantautorato, tu che sei proprio di Genova?

          «Se sei di Genova, il legame con i grandi nomi della musica italiana è abbastanza intrinseco (Fabrizio de Andrè, Gino Paoli, Luigi Tenco, Bruno Lauzi, Paolo Fossati, e molti altri, ndr). Ce l'ho anche io, sono molto affezionato alla mia città e giocando a rugby ho frequentato gente di tutti i quartieri e ho conosciuto tutte le realtà, non solo quelle bene o male. Racconto quello che vedo, quello che sono, quello che sento, quello che penso senza schemi, filtri e quindi questa forse è ciò che mi lega di più al cantautorato di un tempo e che rende la mia roba più "Olly" possibile, distinguendosi dagli altri».

          Hai appena fatto uscire un nuovo singolo, "A squarciagola", come nasce?

          «Eravamo in Sardegna a Porto Cervo, effettivamente detta così sembra che faccio il fiero (ride, ndr), però giuro che non l'ho organizzato io. Avevamo una data là vicino e una sera al tramonto ci siamo ritrovati a prendere una casa lì in zona, anzi tornassi indietro non la prenderei neanche lì, però era un posto stupendo con la Maddalena davanti. Ci siamo messi sul tetto tutti bruciati, non abituati a fare vacanze e a prendere il sole, e ci siamo messi a scrivere a caso. In realtà un po' come tutte le nostre canzoni più sentite, nascono così, dal nulla. JVLI ha iniziato a suonare, ho buttato giù due tre idee, siamo tornati a Milano, l'abbiamo chiusa subito».

          Nel brano canti "E sto in silenzio anche se penso a squarciagola". Mi racconti questa sensazione?

          «Il brano nasce da un periodo di stasi personale, di paralisi, a confronto con una realtà per cui andava tutto benissimo e che doveva provocarmi solo grande felicità: "Hai fatto Sanremo", mi dicevo, "la roba sta andando bene, sei ovunque, sei felice, eccetera eccetera". Ma per un mio meccanismo che ho da sempre, tendo ad auto-sabotarmi. Spesso mi sono chiesto perché ma non fossi del tutto felice. "Forse sbaglio io", mi dicevo. Era come girare attorno alla stessa cosa senza rendermene conto, non esprimendo niente, ma pensando e basta. Sento che dovrei essere estremamente felice con chiunque io parli: torno a casa, mia madre è orgogliosa, parlo dell'ambiente e la roba funziona, piace, però avevo comunque un principio di insoddisfazione e ero più arrabbiato con me stesso perché non riuscivo a far combaciare le mie emozioni con quelle che si aspettava da gente che provassi. Mi sentivo comunque che mi mancava qualcosa».

          «Alle volte uno si crede incompleto ed è solo giovane», diceva uno scrittore non proprio a caso..

          «È vero, può essere, io per ora ho avuto solo l'età che ho. Sento che ho bisogno di crescere ancora su tante cose. Anche questa cosa che mi piace anche un po' stare nella merda, devo essere onesto, cioè mi fa sentire meglio nella mia visione un po' decadentista per cui più sto male più alla fine ho la possibilità di stare bene. Sentirmi comodo non mi piace».

          In questo periodo c'è un messaggio che vorresti gridare a squarciagola al tuo pubblico e al mondo?

          «Sento che ci troviamo tutti in un momento complesso. Vorrei dire tante cose e nelle canzoni forse escono dei messaggi un po' elementari, e penso sia giusto, perché sono quelle che servono alla gente, che oggi è sommersa di macro-argomenti difficili da trattare. Sono colpito dalla superficialità con cui vengono trattate le notizie, anche sui social, dove i giovani si stanno atrofizzando e non si formano una propria opinione: un adolescente di oggi quando legge la notizia tende subito a leggere i commenti sotto al post, non fa neanche tempo a parlarne con qualcuno, a scambiare opinioni, a farsi una sua idea sul mondo, che gli viene immediatamente offerta a costo zero. La testa si impigrisce e finiamo a pensare tutte e tutti alla stessa cosa, ci stiamo omologando e credo sia molto pericoloso. Per non parlare della notizia stessa che anche sui media è posta in modo sbagliato. Prendiamo il caso di Giulia Cecchettin, per esempio, un fatto di cronaca nera che mi ammazza dentro e che fa schifo, e ci fa riflettere sul patriarcato nel nostro Paese, dilagante e sconcertante, un problema sicuramente enorme da risolvere. Non esiste che però poi se ne faccia una questione di lingua italiana, nei salotti in televisione chiamano i linguisti a dire che l'italiano è una lingua patriarcale. Ci credo che lo è, viene dal latino. A quel punto si ferma tutto lì, si isola, non si trova una soluzione nell'immediato. Poi ovviamente non sono un politico, non sono un tuttologo, scrivo canzoni, ho scelto una vita facile, in cui posso fare il fancazzista e guadagnarci, quindi proprio sono l'ultimo che può dire cosa è giusto fare. Ma il patriarcato in Italia dobbiamo andare a vederlo negli stipendi, nelle occupazioni, nel mondo del lavoro, bisogna agire sulle riforme, non sollazzarsi a parlare di cose che non risolvono nulla.

          Cosa pensi della generazione di cui fai parte? I più grandi tendono sempre a dare una visione negativa dei più giovani.

          « Trovo che sia un movimento ciclico. Penso che sia una generazione molto valida con un sacco di valori, alle volte troppi. Non ci diamo la possibilità di sbagliare. Siamo vittime di aspettative, che forse ci mettiamo addosso anche noi, e trovo che ci sia un po' troppa ansia data dal perfezionismo. Dovremmo imparare a lasciare andare le cose. Il Covid sicuramente non ha aiutato noi, più grandi, perché ci siamo persi un pezzetto di vita, il problema sarà fra un po' quando quei bambini che invece non sono andati a scuola cresceranno con un'esperienza in meno, senza aver vissuto un momento fondamentale per la loro formazione».

          Ti manca Genova, ora che vivi a Milano?

          «Sì, sì, mi manca tutto, la famiglia, la calma, qui tutto molto frenetico. L'ho sempre detto: per il lavoro, Milano è bellissima, ma non per lo stile di vita. Poi ti dico, la cosa più grave è che a Milano non ho ancora trovato un forno che faccia del pane buono».

          Ok, allora ti mando una lista con i miei preferiti.

            «No, no, ora sono out of carbo prima del Fabrique, ti prego non mandarmi niente. No, ti giuro assurdo che non abbia ancora trovato un panettiere buono. Poi io che non sono nemmeno uno preciso sul cibo, sono uno che mangia tutto, sono la spazzatura del tavolo dei miei amici (ride, ndr)».

            Ti manca il mare?

              «Mi manca guardare un orizzonte infinito, vedere che c'è qualcosa ma non riesci a capire cos'è, ti senti piccolo e capisci che non vali un cazzo sostanzialmente, mi aiuta. Milano invece fagocita: ovunque tu giri ci sono palazzi, palazzi, palazzi cemento grigio, c'è qualche parco, ovunque ti giri c'è una possibilità, che è una cosa bellissima per certi versi ed è il motivo primo per cui sono venuto qui. Allo stesso tempo penso sia una delle regole base del marketing, avere tante scelte porta a non fare nessuna scelta, mentre averne poche serve. Parlo proprio anche della scelta di non fare niente, di andare sul mare con gli amici, togliermi la giacca e stare in felpa, è un grado di soddisfazione che io in questa città non troverò mai, mi sono messo l'anima in pace».