Filippo Uttinacci sta diventando grande. Ha compiuto 26 anni a settembre e il suo sguardo da ragazzo che si scopre adulto è sereno. Questa serenità si sente anche nel suo nuovo album Infinito +1, nonostante sia grande la consapevolezza di un mondo attorno che ci bombarda quotidianamente. Nelle dieci nuove tracce c’è tanto di lui. Con la solita capacità analitica a cui ci ha abituato, Fulminacci racconta il suo mondo e getta il suo sguardo sul nostro, tra ironia, realismo e immaginazione. È un cantastorie moderno che mette al primo posto le parole, ognuna al suo posto, per far vivere lo spettro delle emozioni. Ha trovato la più importante, l’amore.

Non solo perché lo ha nella vita di tutti i giorni, che nulla ha a che fare con le farfalle nello stomaco, ma perché è nelle relazioni l’unico appiglio quando qualcosa non va. È nella relazione reale che nascono anche le sue collaborazioni. C’è “Puoi” con i Pinguini Tattici Nucelari e c’è "Occhi grigi" con Giovanni Truppi. Due collaborazioni opposte, due facce della stessa medaglia del suo gusto, che si incontrano tra ballad, la più bella “Simili” a pezzi ruvidi come “Spacca”. Una canzone alla volta, vivendo il divertimento di chiudersi in studio. Interamente prodotto da okgiorgio esce il 24 novembre e anticipa il tour che avrà inizio in primavera e che lo porterà per la prima volta a esibirsi al Palazzo dello Sport di Roma il prossimo 13 aprile.

Cos’è quel “+1” del titolo?

«Il significato del titolo nasce da due cose. La prima riguarda l’uomo, riguarda me, che voglio mettere regole all’infinito, all’indefinito, all’universo e a quello che non conosco. Non sono in grado come essere umano di concepire ciò che è stato prima di me e questo mi fa esplodere la testa. Vogliamo mettere regole, per non diventare pazzi. Ecco, quel “+1” vuol dire che l’infinito c’è, però lo concludo con una cosa semplice, con un’unità che parla la mia lingua».

E la seconda?

«Da bambino facevo sempre il gioco in cui vinceva chi diceva il numero più grande. Infinito più uno era sempre l’ultima cosa. Quest’espressione è la cosa più rassicurante della mia vita, perché non vuol dire niente, ma è come se rompesse le regole e dicesse che da lì in poi non si può più dire niente, perché è il massimo. Ho vinto».

Il tuo “+1” qual è?

«L’amore. Le relazioni in generale che si hanno nella vita sono l’unica cosa in cui credo davvero. L’unica cosa che sento distintamente e che riesco a definire. È qui che credo sia la chiave della vita, della felicità e di tutte le cose che ci raccontiamo».

Hai amore nella tua vita?

«Sì, ce l’ho. Ed è una fortuna. È anche però qualcosa che va coltivato. Ci tengo a dire che non può avere sempre picchi, non deve essere sempre qualcosa di esaltante. L’amore non deve essere costantemente una montagna russa, quelli sono piccoli momenti. L’entusiasmo continuo è qualcosa che finisce dopo dieci secondi. Capirlo è una chiave della felicità e quando non succede niente non vuol dire che sia successo qualcosa di brutto. Vuol dire che va tutto bene».

Canti “vaffanculo a chi non dice ti amo». Lo dici?

«Sì, lo dico. Non bisogna fare gli schizzinosi su cose che effettivamente sono regole, ma che sono stabilite per trasmettere un senso. Tutto è una regola, se ci pensiamo. Io ero così, non lo dicevo, perché mi sembrava di vivere la mia relazione come fatta con lo stampino. Invece semplicemente l’amore è una regola che abbiamo inventato, come tutte le altre, per descrivere qualcosa che altrimenti non sapremmo descrivere. Se sento qualcosa di esclusivo e speciale con un’altra persona, dico ti amo. È la cosa più facile per dirlo. Prendo la regola e la uso».

Stai diventando grande?

«Probabilmente. E sono più disilluso. “Tutto inutile” apre il disco e sono contento di iniziare dicendo che nella vita puoi fare tutto quello che ti pare, ma il finale è uguale per tutti. È questa disillusione che mi ha portato però a mettere le relazioni al centro. La cosa più importante è rispettare il prossimo, ed è quello che faccio. Mi auguro lo faccia anche il resto dell’umanità. Ma non succede».

Sei un cantastorie che canta un tempo difficile “di carta e di fumo”.

«Questa vita non ha alcun senso, ma la dobbiamo accettare. Stando insieme, rispettandoci. Mi fa paura quello che sta succedendo nel mondo. E allo stesso tempo vedo troppa fuffa nell’aria. Siamo in un momento di fuffa e tragedia. Non ho qualifiche per parlare in modo tecnico, ma succedono cose che non dovrebbero esistere».

Per cosa combatti?

«Il mio primo nemico sono io, appartengo alla categoria meno discriminata di sempre. Maschio, bianco, eterosessuale. Sono il meno discriminato e quindi sono anche nella categoria che fa più fatica ad accettare le discriminazioni degli altri quando più di tutti dovremmo far notare quello che succede. Quelli come me hanno l’inconsapevolezza di chi i ha cresciuto in dinamiche che non vanno bene».

Un artista può aiutare a cambiare la mentalità?

«L’artista può fare un tentativo, ma bisogna parlare, bisogna ascoltare, bisogna rendersi conto e smettere di tutelare una tradizione che è semplicemente sbagliata per chi non è uomo come me. È semplice. Ma so che è faticoso. Basterebbe non essere ipocriti e accettare che per alcune persone è più faticoso che per altre. Vanno scardinate le cose smettendo di scandalizzarsi per la diversità».

E il rap può influire al contrario?

«Il rap ha un’aura di intoccabilità. Non sono un rapper né esperto di quella cultura, ma la rispetto molto. Ci sono cose che amo che contengono messaggi sbagliatissimi di cui mi rendo conto solo oggi. È un discorso molto delicato».

In tour cosa vedremo?

«Non vedo l’ora di cominciare le prove. Sto pensando a tantissime cose, l’ultimo tour è andato molto bene, mi voglio superare. E ci sarà il primo palazzetto a Roma, sono contentissimo. È molto importante per me. Io sono una persona ansiosa ma… mi piace avere problemi del genere».

Domanda di rito, manca poco all’annuncio dei nomi che parteciperanno al Festival di Sanremo. Sentiremo il tuo?

«Sanremo è sempre nei pensieri, l’ho fatto e mi piacerebbe rifarlo perché mi sono trovato bene. Ho vissuto la versione Covid, vorrei scoprire se quella dal vivo è più faticosa, senza uno schermo a dividerci».