«Non ne posso più di sentire certe frasi», mi dice Greta Scarano dall’altra parte dello schermo, «se si ama una persona, di certo non la si uccide».
Con lei in occasione del 25 novembre, Giornata Internazionale per l'Eliminazione della Violenza contro le Donne, abbiamo deciso di commentare alcune frasi piene di pregiudizi che sentiamo ripetere troppo spesso di fronte alle violenze di genere e che abbiamo sentito e risentito anche in questi giorni, dopo l’uccisione di Giulia Cecchettin. Scarano è tra gli ospiti del panel condotto dalla Direttrice responsabile di Cosmopolitan Lavinia Farnese che aprirà il Festival Eredità delle donne di Firenze (24-26 novembre), con la direzione artistica di Serena Dandini. Scarano, attrice e artista poliedrica, è una delle protagoniste di Circeo, la serie creata da Flaminia Gressi e diretta da Andrea Molaioli (in onda su Rai 1 il 14, 21 e 28 novembre 2023), che ripercorre il processo ai colpevoli del massacro del 1975. Una vicenda diventata emblematica che, ancora oggi, ci ricorda quanto sia fondamentale smantellare la cultura patriarcale che vede le donne come oggetti di cui disporre. Sempre in occasione del 25 novembre Greta Scarano ci ha prestato la voce per il video di Hearst e Fondazione Libellula che unisce i volti e le testimonianze delle donne di Hearst sotto l’hashtag #riprendiamocilanotte. C’è un filo conduttore che unisce le ragazze del 1975 strette nelle aule del tribunale con Donatella e quelle che oggi scenderanno in piazza per le donne che continuano a morire e a venire molestate, aggredite, stuprate.

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Sara Meconi

Ciao Greta, prima di passare alle frasi, una domanda su Circeo. Com’è stata questa esperienza di recitazione visto il tema così drammatico?

«Nonostante la difficoltà del tema, si è creato un bellissimo clima durante le riprese, spesso si cercava alleggerire l’atmosfera, come reazione alle battute estremamente dolorose che recitavamo. Io mi sono affidata alle sceneggiatrici che hanno fatto un lavoro eccezionale di ricerca su tutto quello che è il materiale dei processi e la ricostruzione storica del periodo. Il nostro regista Andrea Molaioli ha avuto un’incredibile capacità di raccontare l’accaduto in maniera estremamente delicata, senza indugiare sulla parte più più violenta e grafica. Per me la difficoltà è stata interpretare un personaggio di finzione pensato per racchiudere in sé le ragazze femministe dell’epoca che hanno sostenuto Donatella. Lei, nel corso del processo, è diventata suo malgrado un'icona per il movimento femminista, nonostante non volesse essere soltanto quello, lei voleva tornare a vivere».

Ti definisci femminista? Oggi ci sono molte differenze rispetto al femminismo di allora…

«Io sono dell'avviso che il femminismo si debba occupare di tutte le forme di discriminazione, non soltanto delle donne. In passato le cose stavano diversamente. Rispetto a Donatella le femministe degli Anni '70 non hanno avuto mezze misure perché dovevano fare una rivoluzione e nella loro testa il loro intento era talmente più alto sia di Donatella che di loro stesse che non potevano cedere di un millimetro. In questo senso Donatella è diventata uno strumento per avviare il processo di revisione della legge sullo stupro che allora era solo un delitto contro la pubblica morale. Quella rigidità oggi si è persa, oggi il femminismo è intersezionale. Io sono assolutamente una femminista, ma penso che tutti dovrebbero esserlo».

Iniziamo con le frasi. Partirei con uno dei principali stereotipi: “Era un bravo ragazzo, salutava sempre”

«Purtroppo tante persone che fanno un sacco di schifezze, anche cose gravissime che stiamo vedendo a livello internazionale, sembrano brave persone. Sembrano persone educate. Sembrano persone rispettabili».

Succede lo stesso anche in Circeo, Donatella e Rosaria si fidano dei ragazzi perché sono gentili e a modo…

«Esatto, nel caso dei ragazzi del Circeo erano proprio ragazzi di ottime famiglie, conoscevano le buone maniere e venivano da un quartiere bene, mentre le ragazze erano di un quartiere molto popolare. Non sono sicura che l'avrebbero fatto con ragazze del loro quartiere. C’è di mezzo sia un conflitto di genere che un conflitto di classe».

Un’altra frase tristemente nota è: “La amava troppo”

«Ho letto tantissime volte questa frase e veramente non la sopporto. Bisognerebbe smetterla. I giornalisti dovrebbero smetterla di scrivere queste cose perché è solo una sorta di giustificazione. Se ami una persona, non le fai del male. Non è amore».

Abbiamo forse proprio una concezione sbagliata dell’amore e della gelosia?

«Fa tutto parte della cultura maschilista nella quale siamo immersi da sempre e, finché non si cambia questa mentalità, non possono cambiare le cose. Alla base c’è la possessività che ha a che fare col trattare una donna come un oggetto, qualcosa di tua proprietà e non c'entra nulla con la gelosia. Chiunque può provare della gelosia, ma qui stiamo parlando di qualcosa di completamente diverso, stiamo parlando di persone che non sono in grado di controllare le loro emozioni e compiono degli atti criminali. Siamo immersi in una cultura - penso ad esempio a tanta cultura cinematografica dell’Italia degli Anni '60 - siamo cresciuti con quel racconto dell'uomo che ti dà uno schiaffo perché ti ama, perché è geloso. È terribile».

Una pensiero che viene in mente ripercorrendo il massacro del Circeo, ma che richiede una riflessione è: “Sono dei mostri”

«Esatto, guardando o leggendo di quel caso lì ti viene proprio da dirlo. Però c’è il rischio di prenderli come delle mele marce, dei casi isolati. Invece quello che hanno fatto era parte di una certa mentalità che è purtroppo la stessa che c'è molto spesso ancora oggi».

Questa frase ad esempio è presa da una chat dei ragazzi che hanno commesso la violenza di gruppo a Palermo la scorsa estate: “La carne è carne”

«Dovrebbero essere gli uomini a ribellarsi a questo tipo di racconto perché se io facessi parte di un genere che non viene considerato capace di controllare il proprio impulso sessuale, non riuscirei certo a stare zitta. Non è assolutamente una questione sessuale, è pensare alle donne come oggetti a disposizione. Ma gli uomini dove stanno in tutto ciò? Perché ne parliamo solo noi di queste cose?».

Un’altra frase che abbiamo sentito spesso: “Ci vuole la castrazione chimica”

«È una tesi assurda e penso che abbiano ampiamente dimostrato che non serve a nulla. La violenza di genere non è una cosa che ha a che fare con la libido e pure il ridurre l'azione di una persona al proprio organo sessuale è una cosa ridicola. È un problema di cultura, non è un problema di pene, testicoli e impulso sessuale».

Passiamo agli stereotipi sulle sulle donne… “Sì però lei aveva bevuto”

«Anche di questo in Circeo ne parliamo ampiamente. Non la chiamiamo “vittimizzazione secondaria” ma è quello. Ciò che accadeva allora è la stessa cosa che accade ancora oggi. Leggo delle cose agghiaccianti sui social, si sposta sempre l'attenzione sulla vittima che è solo una vittima, al di là di come era vestita. Invece di concentrarci sull'atto criminale, parliamo di chi l'ha subita e si insinua che lei magari abbia fatto qualcosa per procurarsela o che non abbia fatto abbastanza per non procurarsela».

E infatti: “Se stai attenta non ti trovi in certe situazioni”

«È normale dire ai figli di fare attenzione, fa parte dell'educazione, ma nel momento in cui si parla di violenza è solo un altro modo per spostare l'attenzione. Dobbiamo smettere di insinuare che chi ha subito violenza se la sia andata a cercare. Piuttosto parliamo di insegnare ai figli a tenere a posto le mani».

Si parla poco del dramma di avere un figlio che commette una violenza, di come impedire che i ragazzi diventino carnefici agendo sulla loro educazione.

«Assolutamente. E, anzi, a volte abbiamo sentito genitori, anche personaggi illustri, giustificare i comportamenti dei figli ed è una cosa veramente riprovevole. Io penso che dovrebbero educare i loro figli al rispetto del prossimo e, nel momento in cui il figlio sbaglia, accettare la realtà senza giustificarlo, perché altrimenti lo rifarà».

Mi viene in mente Processo per Stupro quando per la prima volta, nel 1975, è stato mandato in onda un vero processo per violenza sessuale. Gli avvocati della difesa dicono alle donne che, se rimanessero a casa, non gli succederebbe nulla.

«Mi fa impazzire questa cosa perché poi tantissime violenze accadono proprio in casa, quindi è un discorso che non ha nessun senso».

Sempre in Processo per stupro c’è una frase particolarmente orribile che si lega a tanti stereotipi: “Una violenza carnale può essere interrotta con un morsetto”

«La strategia degli avvocati era proprio quella di mettere lei sul banco degli imputati. Ma anche oggi si leggono sentenze agghiaccianti: non è stupro perché era brutta, perché sembrava un uomo, non è stupro perché era ubriaca non è stupro perché indossava dei jeans, non è stupro perché non ha urlato abbastanza! Le istituzioni dovrebbero occuparsi in maniera molto seria di questo tipo di sentenze. Io ho recitato anche in un’altra serie, Non mentire, lì c’era uno stupratore seriale che drogava le sue vittime ed emergeva la questione del consenso e il fatto che lei non aveva fatto abbastanza per difendersi, ma era pietrificata, era talmente pietrificata che non riusciva a ribellarsi».

Concluderei con la frase forse più emblematica, l’abbiamo sentita tantissimo in questi giorni dopo l’uccisione di Giulia Cecchettin: “Non tutti gli uomini”

«È una frase che dice anche Donatella in Circeo e qualcuno ha avuto da ridire su questo, ma quella frase è funzionale proprio a raccontare da dove viene Donatella anche in contrasto con Teresa che invece è una femminista convinta dell’epoca. Anche in questo caso è uno spostare l'attenzione altrove. Forse aiuta a sentirci meno in pericolo, a non girarci nel letto e pensare che anche nostro marito potrebbe essere così. Si dovrebbe parlare invece di un tipo di mentalità, di un tipo di cultura che permette queste cose, che giustifica, che attenua. A volte quando dico di essere femminista intorno a me percepisco un generico “Oddio che palle”. Mi piacerebbe che fossero gli uomini a dirsi femministi, anche nelle interviste e che avessero più consapevolezza su un problema di cui ci siamo stufate di parlare solo noi».