Non inseguono il successo mainstream. Non hanno ansia, o voglia di strafare a tutti i costi. E già per questo Alessandro De Santis e Mario Francese (25 e 26 anni), in arte i Santi Francesi, costituiscono un "unicum" nel panorama musicale degli under 30. A ciò si aggiungono una naturale eleganza, un gusto raffinato e le idee chiare su come muoversi: «Ci siamo ripromessi di scrivere cose che ci succedono dentro e quindi sono insindacabili, sono vere per forza, perché sono totalmente nostre». Amici dai tempi della scuola a Ivrea, spalla fidata l'uno dell'altro («Viviamo da dieci anni costantemente insieme, da quando eravamo adolescenti, è normale che su determinate cose siamo diventati quasi parenti» dicono sui loro segretissimi difetti), si sono guadagnati uno spazio nel genere elettropop, muovendosi con leggerezza tra testi ricercati e sonorità contemporanee. Doti che hanno messo in luce all'ultima edizione del Festival di Sanremo (con il brano "L'amore in bocca") e che porteranno in tour a partire dal prossimo autunno (a breve verranno annunciate le date estive, nei festival in giro per l'Italia). Intanto, i più fortunati hanno avuto una preview di quello che sarà in L'amore torna. Piccole litrugie musicali, appuntamenti speciali che si sono tenuti a Milano e a Napoli in due location inaspettate: le chiese sconsacrate di San Vittore e 40 Martiri nel capoluogo lombardo e San Giuseppe Le Scalze in quello partenopeo (una replica dello show sarà trasmessa lunedì 25 marzo alle ore 18 sul profilo dei Santi Francesi su TikTok).

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Cosmopolitan Italia

Com'è nata l'idea dei live nelle chiese?

«Era già nell'aria l'idea di fare qualcosa in luoghi un po' più piccoli rispetto ai club che abbiamo fatto fino a oggi. All'inizio la scelta delle chiese ci sembrava azzardata e anche didascalica chiamandoci noi Santi Francesi, ma quando le abbiamo viste e abbiamo sentito l'acustica ci è venuta voglia di scommetterci: abbiamo lavorato sugli arrangiamenti, portando sul palco gli archi, un violino e un violoncello, e il pianoforte. E alla fine tutto ha funzionato».

Piccole liturgie musicali. Poche persone, pochi pezzi in scaletta, tutto molto intimo e raccolto…

«È una chiave abbastanza nuova. Per quanto riguarda la durata ci sembrava semplicemente logico non esagerare visto che i brani sono stati tutti spogliati e rivestiti con questo tipo di arrangiamenti essenziali. Quindi abbiamo cercato di scegliere una durata che potesse far andare via le persone con la voglia di ascoltare volentieri un altro pezzo. Preferiamo sempre lasciare un po' di amore in bocca alle persone che vanno via dai nostri concerti».

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Kimberley Ross

Il tour vero e proprio partirà invece in autunno, nei club (prima data il 20 novembre a Venaria Reale, Torino, ndr). Che spettacolo sarà?

«Sarà più simile al primo tour che abbiamo fatto dopo X Factor (i Santi Francesi hanno partecipato e vinto la 16esima edizione del talent show, nel 2022). Sarà tutto un po' più up, più ballerino, con set di musica elettronica alternati comunque a momenti acustici. Siamo curiosi di capire la risposta del pubblico: nelle chiese li abbiamo visti concentrati, attenti. In effetti abbiamo sempre avuto un pubblico abbastanza gentile, simile a noi e questo vuol dire che il nostro progetto sta funzionando».

È passato un mese e mezzo dal Festival di Sanremo. Cosa resta?

«Stiamo ancora lavorando alla promozione del brano di Sanremo, non ci siamo ancora mai fermati da quando è finito il Festival. Poi, come al solito, cerchiamo di non farci troppe domande, di non pensare con ossessione a cosa stiamo facendo, a dove stiamo andando, perché sentiamo di fare il nostro e di comunicare bene con le persone che ci seguono».

Ma siete contenti di aver cantato all'Ariston?

«Sì, è stato un passaggio importante. Sanremo è un'esperienza pesante sotto molti punti di vista, non sai mai cosa può succedere, come ti sentirai dopo, ma ricordiamo la sensazione di pace della domenica mattina, dopo la finale. Avevamo detto quello che dovevamo dire, avevamo fatto passare quello che volevamo, tanto o poco che fosse. Magari altri artisti avevano più aspettative per la classifica, a noi invece è andata bene così».

È un po' un paradosso, perché siete il prodotto meno televisivo in ambito musicale e però avete questa tradizione del passaggio sul piccolo schermo: Amici (nel 2017, ndr), X Factor, Sanremo.

«La tivù è una vetrina, se la sai sfruttare. Che non vuol dire necessariamente andare lì con un pezzo spaccaradio e aspettarsi di fare numeri giganteschi, ma far conoscere la propria musica, arrivare al pubblico, fare un passo in più verso il proprio obiettivo a livello artistico».

Eppure per voi sarebbe facile puntare al mainstream: siete un duo maschile come non ce n'è in questo momento, stilosi, bravi, completi.

«Sai che forse non siamo proprio capaci… Siamo anche un po' invidiosi di chi riesce con facilità a scrivere quelle melodie o quei ritornelli che basta ascoltarli una volta e poi non ti escono più dalla testa. Ma non ce la facciamo. Scriviamo dei pezzi che cercano di essere veri in tutto e per tutto. E sarebbe bello riuscire a dimostrare che si può piacere e si può fare la televisione anche senza cercare il numero, senza la performance che punta a stupire e ad acchiappare i like».

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Kimberley Ross

Si dice sempre che uno scrive di ciò che lo rappresenta in quel momento storico. Com'è la vostra generazione?

«Cantiamo tanto di quello che c'è dentro di noi, probabilmente per una paura di parlare di cose che non conosciamo fino in fondo, come facevamo fino a pochi anni fa, perché se hai vent'anni ti fai prendere la mano. Ora siamo più riflessivi, più sereni. Ma quello che viviamo è una lotta costante, un dualismo fra l'ammirazione e l'amore folle per il genere umano, perché siamo capaci di fare delle cose meravigliose, e allo stesso tempo una paura incredibile per quella parte di persone che ti spinge ad allontanarti dall'altro».

In questa fase di crescita può rientrare anche la polemica sulle dichiarazioni di Alessandro sui social?

«Di tutta la faccenda la cosa che deve far riflettere è che comunque c'è gente che non ce la fa a sostenere le persecuzioni sui social. Succede costantemente e in alcuni casi, quando si è fragili o poco maturi, si arriva anche a gesti estremi. Tutto per il troppo disagio di un meccanismo di odio online che non dipende da noi e che non si può controllare».

Della vostra attitudine per la moda cosa ci raccontate?

«Abbiamo capito che è un modo ulteriore di comunicare, specialmente sul palco. La moda ci premette di dire qualcosa in più, di enfatizzare la nostra visione delle cose. Lo abbiamo imparato a Milano, quando ci siamo trasferiti qui».

Com'è il rapporto tra di voi?

«Siamo migliori amici. Non ci siamo mai dati per scontati, siamo abituati a fare tutto insieme, a volte ci dicono che ragioniamo allo stesso modo e anche se non è vero condividiamo una visione. Il nostro rapporto è stata rodato con il tempo, siamo partiti da ragazzini e siamo diventati adulti. A pensarci, non ci sono mai stati conflitti personali ma solo problemi legati al nostro percorso. Cose che forse ci hanno avvicinato ancora di più perché quando trovi una persona che riesce a capirti in due secondi e non hai necessità di dire niente, devi semplicemente guardarti negli occhi, allora tutto è perfetto».

Chiudiamo con la nuova musica che avete promesso ai vostri fan.

«Scrivere nuovi brani è la cosa a cui teniamo di più. Il mondo discografico di oggi impone di lavorare per singoli, di pubblicare i brani aspettando che poi succeda qualcosa di grande. Noi invece stiamo cercando di dare una direzione precisa a quello che facciamo e di comunicare un modo di intendere la musica. Il nostro ultimo album risale al 2019 (Tutti manifesti), poi abbiamo pubblicato un EP (In fieri, 2022) che però conteneva solo quattro brani inediti. Ci piacerebbe invece tornare al prendere un disco e ascoltarlo dal primo all'ultimo pezzo».

Siete due tipi vintage…

«È vero, perché siamo stati cresciuti dai nostri genitori».