Negli ultimi due anni siamo passati dal considerare gli uffici una seconda casa al trasformare la nostra casa in uffici efficientissimi, con angoli dedicati alla produttività e altri alle pause e alla vita privata. Lo smart working si è mosso ad ondate, proprio come questa pandemia. Così tanti lavoratori, tra la fine del 2021 e l'inizio del 2022, hanno avuto la possibilità di riattivare la modalità agile, mettere in stand by la propria presenza alla scrivania ufficiale e tornare a quella domestica. Risultato: se è vero che manca ancora una guida per trasformare il lavoro da casa in qualcosa che sia davvero smart, tantissime persone hanno anche perso lo smalto e la capacità di essere produttivi nonostante tutto.

Non è, di fatto, una colpa. La situazione ci ha stremati e chi non è vittima di burnout pandemico patisce comunque ansie e preoccupazioni di vario genere. In più, ci eravamo abituati a pensare che la situazione stesse andando verso una risoluzione: eravamo tornati a fare viaggi e a vedere gente, a rilassarci da un punto di vista sociale e personale. E, ovviamente, anche i rapporti di lavoro di persona erano tornati a essere un appiglio non solo professionale, ma anche umano. I rapporti conflittuali con i colleghi ci sono, è vero e vengono acuiti dalla distanza. Ma le relazioni positive, esattamente come le amicizie, favoriscono un ambiente positivo e dunque condizioni più semplici di lavoro. E, perché no, pure entusiasmo nel portare avanti le task quotidiane. Lo smart working, in cui ognuno è chiamato a organizzarsi da solo, a gestire il proprio tempo in modo virtuoso, a essere produttivi nonostante le distrazioni (pensiamo a chi lavora in questa modalità e ha figli intorno, o coinquilini) può mettere duramente alla prova chi già si sente spossato dalla pandemia e aveva creduto che tutto stesse piano piano per rimettersi a posto.

Ma produttività e smart working possono andare d'accordo?

La risposta è sì e dipende ovviamente da che tipo di routine lavorativa si mette in atto ogni giorno (per abitudine o per indole), dalla tipologia di lavoro (è ripetitivo? Creativo?) e dalla capacità di comprendere che pause e momenti di svago sono necessari sia in ufficio che nell'home-office. Non ultime, le condizioni in cui si lavora sono importanti: c'è chi lo fa con figli grandi o piccoli negli stessi spazi (sempre che gli spazi dedicati all'ufficio ci siano effettivamente).

Molti hanno riciclato spazi domestici deputati ad altro per posizionare il pc, rubando preziosi metri quadri allo svago e al piacere personale. Concentrarsi, in un contesto normativo e sanitario così complicato, non è affatto facile. E pur non essendo una giustificazione per chi deve chiudere molti progetti quotidianamente e portare avanti degli impegni professionali, in questo periodo storico è quanto mai un'attenuante. Lavorare di più non ci renderà migliori, solo meno equilibrati. Gli esperimenti sulla settimana lavorativa di 4 giorni messi in atto in diverse aziende europee già in epoca pre-pandemica dimostrano che ridimensionare le ore attive di lavoro ha grandi benefici in termine di efficienza e produttività delle risorse.

Non dimentichiamo poi di chi è stato a contatto stretto con un positivo e può lavorare da casa secondo i nuovi decreti (che non prevedono copertura INPS del periodo della quarantena per chi è in questa situazione): l'attesa della comparsa dei sintomi, in un periodo incerto come questo, può non solo deconcentrare ma anche trasportare in uno stato mentale di ansia non facilmente gestibile, soprattutto se nel frattempo si deve comunque lavorare.

Il lavoro da casa è vero lavoro

L'altro grande bias in cui siamo caduti è che il lavoro da casa non sia "vero" lavoro. Ce lo hanno detto in tutti i modi e abbiamo internalizzato questo concetto. In realtà è un errore, le ricerche ci dicono il contrario: una stima di Variazioni ci dice ad esempio che, nel 2021, la capacità dei manager di gestire i flussi a distanza è incrementata del 10%. Quindi anche la dirigenza si è adattata a nuovi metodi di controllo di chi lavora. Per contro, ci sono molti dirigenti d'azienda che vedono lo smart working come un tappabuchi per l'emergenza pandemica (altri addirittura come una vacanza), non come una norma che punta a sviluppare grande adattabilità nei lavoratori e in chi li gestisce anche in anni futuri, magari su pianta stabile. La flessibilità di usare la scrivania ufficiale quando è necessario (e la situazione sanitaria lo permette) e contemporaneamente usare la casa come approdo organizzato ed equivalente è una competenza che ormai abbiamo acquisito, forse fin troppo. E questo, in negativo, ricade sulle poche distinzioni che ormai facciamo tra spazio pubblico e privato, sugli orari di lavoro che si allungano oltremodo, sul burnout che incombe e sui (pochi) svaghi sociali che ci concediamo per evadere.

Le tecniche di concentrazione per favorire lo smart working (e imparare ad ascoltare mente e corpo quando ci dicono di fermarci) comunque esistono e possono essere messe in atto per provare ad allentare la presa. Ecco dunque qualche consiglio per arrivare in fondo alla giornata lavorativa, un passo alla volta.

Tecniche di concentrazione per chi lavora da remoto

Uno spazio dedicato al lavoro fa già tanto, anche quando non si ha una camera a disposizione (per chiudersi dentro, buttare la chiave e concentrarsi a tutti i costi). Le ricerche ci dicono che pure il colore delle pareti contribuisce a creare uno stato mentale adeguato alla concentrazione. Tra le tecniche di concentrazione più interessanti ci sono quelle tecnologiche, che puntano sull'eliminazione totale di notifiche non necessarie (social in primo luogo).

Se programmare troppe cose manda in ansia, meglio fare un passo dopo l'altro, senza allungare troppo la to do list giornaliera. Certo avere un elenco di cose da fare davanti aiuta a visualizzare le task, ma darsi scadenze troppo impegnative non fa bene a nessuno. Su TikTok è spuntato un nuovo trend che si chiama "2 mesi", una buona palestra per imparare a procrastinare sì, ma solo quelle attività che possono essere rimandate e che sono un trigger per il cervello ansioso. Vale nella vita e nel lavoro: provare per credere.

Dimenticare di fare le pause? Un altro grande errore. Mantenere quelle da ufficio (alle 11 e alle 16, se si parla di un orario di lavoro di 8 ore con, al centro, l'ora per la pausa pranzo) è un'abitudine salutare così come ottimizzare la pausa pranzo evitando spuntini davanti al pc e cercando in tutti i modi di dare un senso a questa nuova flessibilità. Se si può, fa bene anche imporsi di uscire di casa per una camminata veloce dopo il pasto può aiutare a ritrovare il baricentro, a rimettersi in pace col mondo, ossigenare il cervello e dargli un boost di vitalità per le ore del pomeriggio che rimangono.

Se i carichi di lavoro lo concedono, è importante spegnere il pc o mettere da parte gli strumenti di lavoro quando la giornata è formalmente finita. Se si lavora oltre il tempo concordato si alimenta la spirale per cui lo smart working non ha regole precise come in ufficio. Mentalmente è spossante, perché si entra in un vortice in cui si lavora e non si stacca, anche quando si dovrebbe. La concentrazione e la produttività vanno sfamate nel modo giusto, imponendosi una routine rigida per trasformare la giornata di home-working in quella speculare di una normale giornata in ufficio.