Secondo una ricerca recente di Aidp (Associazione per la Direzione del Personale), sono sempre di più le persone tra i 26 e i 35 anni a mollare il lavoro. Lo studio, effettuato su un campione di 600 aziende ed elaborate dal Centro Ricerche Aidp, ha messo in evidenza una tendenza sempre più ricorrente in epoca pandemica: il covid ha cambiato le carte in tavola soprattutto da un punto di vista delle priorità e oggi tendiamo a rimanere in situazioni che ci fanno stare in equilibrio tra vita privata e sociale. E a uscire da quelle che non soddisfano questi nuovi criteri.

Secondo la ricerca di Aidp, le cause di questo dilagare di dimissioni volontarie si ritrovano principalmente nella voglia di avere di più: oggi sono in particolare i ragazzi della GenZ e i Millennials a non accontentarsi di posti e dinamiche di lavoro non conciliabili con sogni, attese, ambizioni ed equilibrio fisico e mentale. Tra le tre ragioni di questo esodo ci sono la ricerca di condizioni di lavoro più favorevoli (lo ha detto il 47% degli intervistati); un'aspirazione a raggiungere l'equilibrio tra sfera privata e professionale (41%); la speranza data dalla ripresa del mercato del lavoro (48%). Colpisce che il 25% abbia detto di aver mollato per dare un nuovo senso alla vita e il 20% per sfuggire a un ambiente di lavoro tossico.

Insomma, ci si aspetta di più e ci si muove per ottenerlo. Una tendenza simile è stata ritrovata sul mercato del lavoro americano, dove il fenomeno è già stato definito "The Great Resignation". Più che la paura del domani spaventa l'oggi: burnout, stress da giornate lavorative infinite (con le proposte per la settimana corta in Europa che stentano a decollare) e lavoro da casa che non sempre fa rima con produttività toccano le corde del benessere mentale come mai prima.

Lasciare il lavoro oggi è un'opzione più che mai presa in considerazione, non tanto per avventatezza quando per avere una possibilità. Le previsioni sul futuro fioccano e sono soprattutto le grandi aziende ad analizzare i flussi di dimissioni e ingressi di nuove risorse per capire come evitare l'emorragia di dipendenti, soprattutto quelli più giovani e smart. Una ricerca di Adobe ha svelato ad esempio che su 5.500 lavoratori, il 56% tra quelli in fascia 18-24 anni pensa di cambiare lavoro entro un anno. In Microsoft la situazione è la medesima: il 77% di risorse della GenZ intervistate per una survey sul tema ha risposto che avrebbe voluto mollare il posto di lavoro. Secondo uno studio ancora più massivo sul suolo americano, ad aprile 2021 4 milioni di persone hanno scelto volontariamente di lasciare il loro lavoro per inseguire nuove opportunità.

A vincere è il benessere mentale, non quello economico

Potremmo includere tantissime ricerche di questo tipo per avvalorare la tesi alla base di questa grandissima tendenza che è già diventata, di fatto, uno stile di vita per persone entro i 35 anni che vogliono lasciare o hanno lasciato un lavoro fisso o non soddisfacente. L'ideale, impensabile per le generazioni precedenti ma anche per quelle che erano immerse nel mondo del lavoro di qualche anno fa, è provare a cercare qualcosa di meglio in termini di benessere aziendale. Si molla il lavoro non solo per condizioni economiche non adeguate ma anche perché si patisce sul piano umano e non si riesce a trovare una tara che metta insieme bisogni individuali (molti dei quali scatenati dalla pandemia) e ambizioni professionali. Secondo il sondaggio di Aidp, le aziende italiane sono state colte in contropiede da questo esodo e proveranno a rispondere alla perdita di risorse con incentivi economici, prepensionamenti, sostituzioni di risorse perdute e riorganizzazione di processi produttivi. Insomma, per tutti questa situazione può essere una buona spinta al cambiamento.

Basterà a rendere più appetibile un mondo del lavoro che oggi non è più il posto fisso di 30 anni fa ma neanche il "basta avere uno stipendio" del periodo pre-pandemico? Nonostante la crisi economica generata dal covid, la maggiore attenzione al benessere mentale ha portato molte persone a volere di più, a costo di perdere un'entrata stabile, di abbassare il proprio tenore di vita, di prendersi del tempo sabbatico per rivedere il curriculum o i propri sogni e aspettative. Sono tutti compromessi che oggi siamo più che disposti ad accettare in virtù del raggiungimento dell'unico equilibrio che sembra contare, quello psicologico.