Su TikTok i creators americani la chiamano già "work reform", riforma del lavoro. E, in un certo senso, lo è davvero. Parliamo di quiet quitting, la tendenza ad auto-ridimensionarsi sul posto di lavoro per fare esattamente quello che viene richiesto dal contratto, eseguendo le mansioni previste al proprio meglio senza però mai andare oltre - no straordinari, no uscite dall'ufficio a ore matte, no lavoro extra nel weekend - per potersi concentrare anche su altro, per non definirsi solo attraverso il lavoro che si svolge.
@Zaidleppelin lo racconta bene in un video diventato virale in cui spiega, con parole chiarissime, cosa vuol dire non assuefarsi a una cultura del lavoro che impone performance a livelli altissimi, di raggiungere il successo entro una certa età, di chiudere task e obiettivi come automi, di dare molto di più di quanto richiesto (e quasi sempre di quanto siamo pagati).
Il quiet quitting sembra essere la risposta meno drastica e più razionale all'ondata di great resignations che sembrava dover diventare il trend del 2022 (lo è stato senz'altro nel 2021): in quel caso migliaia di persone hanno scelto di licenziarsi per inseguire sogni, passioni o stili di vita più sostenibili, soprattutto in ottica delle limitazioni e delle priorità acquisite nel periodo pandemico; nel caso del quiet quitting, come dice la voce fuori campo di Zaid nel video su TikTok, «continui a portare avanti i tuoi doveri, ma non sottoscrivi più i dettami di una cultura che impone che il tuo lavoro sia la tua vita», una mentalità per cui questo ti definisce e ti completa. La cultura del quiet quitting punta a mettere dei confini tra sé e la propria professione, qualunque essa sia. Quando le ore di lavoro finiscono si torna a casa e si pensa alla vita privata: non si è tenuti, secondo questa filosofia, a portarsi a casa pensieri, preoccupazioni o ansie dall'ufficio. Il punto non è smettere di lavorare o rinunciare alle proprie ambizioni per fare il minimo indispensabile, ma, al contrario, distanziarsi da quel sistema tossico in cui più si dà e più viene richiesto, in un loop in cui emerge (in negativo) solo chi non si adegua.
Ci troviamo, secondo gli esperti, in un'epoca in cui non si è più disposti ad accettare condizioni di lavoro che non rendono felici o non garantiscono adeguati livelli di equilibrio sul piano personale, anche se a queste vengono associate retribuzioni consone: da qui anche il dilagare del fenomeno del downshifting, in cui si "scala marcia" e si sceglie volontariamente di tornare indietro per vivere meglio, anche se si rinuncia a benefici che sembravano indispensabili e invece non lo sono.
La parola d'ordine, oggi, è negoziare. Non per lavorare meno, ma per farlo meglio.