Giovanni Caccamo è da sempre un artista fuori dal coro. Non ha mai rincorso le mode, si è sempre distinto per la coerenza con la sua essenza, quella di un uomo che ha scelto di mettere il suo amore per l’arte al primo posto. Ha partecipato al Festival di Sanremo, ha pubblicato dischi, è stato protagonista di un periodo discografico e poi lo ha visto cambiare, senza lasciarsene influenzare. Oggi ha 32 anni, collabora con fondazioni ed enti per promuovere l’arte, si inventa nuove strade di comunicazione, è direttore artistico della Fondazione Arnaldo Pomodoro, è ben conscio che le sue canzoni, nonostante siano sempre e per sempre la sua priorità, non rispondano alla domanda del momento.

E forse non è importante, quando le idee e il proprio lato artistico rimangono alla base della propria purezza. Glielo ha sempre detto anche il suo maestro Franco Battiato. Lo incontriamo per parlare del suo nuovo progetto, il Manifesto del Cambiamento, un volume edito da Treccani che raccoglie il suo grande desiderio di lasciare una traccia di luce tra i giovani in un periodo sociale molto buio. È un fiume di parole, si percepisce l’entusiasmo sincero di un uomo che si sente grato alla vita.
Caccamo ha risposto all’appello lanciato da Andrea Camilleri che affidò alle nuove generazioni il compito di far partire un nuovo umanesimo. Il suo ultimo disco Parola, nel 2021, era stata la sua personale risposta, eppure non gli era sembrata sufficiente. Per questo l’esigenza di coinvolgere migliaia di ragazzi, lanciando una richiesta uguale per tutti: «Cosa cambieresti della società in cui vivi e in che modo? Qual è la tua parola di cambiamento?», attraverso il concorso "Parola ai giovani", supportato da Banca Ifis, Pulsee Luce e Gas e Alessia Zanelli, in collaborazione con i Musei Vaticani e il MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo.

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Marco Imperatore
Giovanni Caccamo è il volto della cover Extra di Cosmopolitan. Foto: Marco Imperatore, stylist: Emil Rebek, hair: Pier Paolo Lai. Artwork di Sara Guidi.



Le risposte sono ora contenute in un volume creato dai giovani per la società del futuro, scintilla di questo cambiamento necessario e desiderato, che nasce dall’incontro nelle carceri, nei centri d’accoglienza e nelle università. Quindici ragazzi, in rappresentanza dei sessanta protagonisti del Manifesto, hanno preso parte anche all’Agorà del cambiamento, una performance artistica all’interno della Stanza della Segnatura nei Musei Vaticani, sotto il celebre dipinto Scuola di Atene di Raffaello, per discutere delle loro idee. In questa occasione Marco Anelli, storico fotografo di Marina Abramovic, ha realizzato un reportage fotografico presente nel volume. Il ricavato della vendita del Manifesto e delle opere legate al progetto che ha coinvolto nomi di grandi artisti contemporanei, da Arnaldo Pomodoro e Maurizio Cattelan, sarà devoluto alla Andrea Bocelli Foundation – Ente Filantropico, con l’idea di sostenere la formazione e la valorizzazione dei giovani.

Ci racconti come è nato il progetto?


«Quando ho pubblicato il mio disco è cresciuta in me la consapevolezza che non potesse bastare la mia risposta all’appello di Camilleri, ma servisse quella di migliaia di giovani. Così ho lanciato il concorso, chiedendo di ricevere un trattato sugli aspetti della società che avrebbero volto cambiare. Ho fatto quindici simposi, e in più di mille testi ricevuti ho selezionato i 60 più luminosi. Hanno scritto nomi illustri, come Jonathan Bazzi, Francesco Cicconetti, Paola Egonu, ma soprattutto i ragazzi che non hanno una visibilità effettiva ma che sono eroi quotidiani. Dal ragazzo partito dall’Egitto su un barcone a quello che ha aperto la più piccola panetteria in Europa. Ho raccolto storie di luce e prospettiva».

Cosa hai trovato nei loro testi?


«Da un lato i ragazzi sono schiacciati da un velo nero di crisi e impossibilità. C’è stata la pandemia, poi la guerra, ma c’è anche il benessere, che uccide i sogni. Tanti genitori, nella speranza di fare una cosa buona e giusta, hanno azzerato la distanza tra desiderio e realtà. E così se ottengo sempre quello che voglio, anche quando non me lo potrei permettere, mi aspetto dalla vita lo stesso trattamento. E quindi poi non riesco a vivere. Perché il mondo del lavoro non sarà mai così».

La luce da dove arriva?

«Ogni cento testi ne ho trovati quattro o cinque straordinari. Spesso ha coinciso con chi ha sofferto precocemente. Sono arrivate storie e visioni del futuro che potranno avere il potere di riaccendere tutti gli altri. Leggendo queste storie, chi si trova disorientato, ritroverà la bussola».

Qual è stato il momento più emozionante del progetto?

«Ricevere un sì dal Papa. Il progetto non si ferma al volume. Dopo aver raccolto i testi ho sentito che l’esigenza dei giovani fosse tornare a guardarsi fuori dal virtuale. Abbiamo creato l’Agorà del cambiamento, incontrandoci con quindici giovani, scelti in rappresentanza dei migliaia che avevano partecipato al progetto. Ci siamo chiusi nella Stanza di Raffaello, a parlare per ore di cambiamento e futuro. Ma per ottenere l’autorizzazione all’utilizzo di quella sala ci sono voluti otto mesi ed è arrivata dal Papa, che ha anche scritto una lettera di introduzione al volume».

Come hai fatto a convincerlo?

«Gli ho scritto una lettera, ci ho messo due giorni. Per lui i giovani sono importanti».

Perché fai tutto questo?

«È un bisogno di restituzione. Quando inizi a percepire di essere grato alla vita per quello che ricevi, senti di dover ridare. Io ho avuto la fortuna di avere un maestro incredibile per dieci anni e questo mi porta a sentire di dover restituire qualcosa. Mi ricordo un pomeriggio con Battiato in cui mi disse “Avrai solo una strada per rimanere un uomo e artista libero. Far sì che la tua arte sia lo specchio di ciò che sei. Non chiederti cosa fare per vendere più dischi, per scalare le classifiche, ma chiediti di cosa voglio innamorarmi nei prossimi mesi della mia vita, quella sarà la radice del tuo prossimo progetto discografico. Vivi d’amore, e non preoccuparti del resto. Tutto il resto è una gabbia d’oro”. Questo è stata una bussola, una coordinata Gps salvifica per me in questo mondo. In qualche modo mi ha portato a fidarmi degli incontri, del mio amore, che sono la musica e l’arte contemporanea. Credo davvero che in un momento come questo di povertà emotiva solo l’unione delle arti possa tornare a nutrirci salvarci».

È un bisogno di restituzione. Quando inizi a percepire di essere grato alla vita per quello che ricevi, senti di dover ridare.


Tu cosa vorresti veder cambiare?


«Ci sono dei pulsanti che se potessi spegnerei. L’indifferenza, la non curanza, ma anche la superbia. Sono stato settimane a cercare quale potesse essere la parola giusta, per far partire questo progetto. Ho scelto gratitudine e credo sia l’accezione positiva che snatura tutte queste altre parole. Quando sei consapevole dei doni che quotidianamente ricevi, non puoi essere indifferente o superbo»

Perché li chiami pulsanti?
«La nostra vita è una plancia dell’aereo, ci sono 95 pulsanti verdi e cinque rossi, solo che noi guardiamo sempre quelli rossi, se avessi più soldi, se facessi quel lavoro, ci concentriamo sempre su ciò che ci manca a cui consegniamo le redini della nostra emotività. Rimaniamo sempre con questa latente infelicità che non ci fa sentire completi. La pandemia però ci ha tolto la libertà e improvvisamente il nostro desiderio è stato passeggiare, abbracciare. Prima lo facevo e non gli davo valore. Abbiamo una scelta quotidiana davanti a noi ogni giorno, guardare i pulsanti rossi oppure dare valore ai 95 pulsanti verdi che non dobbiamo dare per scontato. Sono le piccole cose, il gelato, qualcosa per dire grazie. Quei piccoli momenti che hanno reso quella giornata una giornata bella».

Riesci nel tuo quotidiano a farlo?

«È un esercizio costante, non riesco a farlo con l’attività fisica, ma con la gratitudine funziona. Ogni sera prima di chiudere gli occhi ripercorro la giornata e trovo quindici cose per cui dire grazie. Sono tante ma ci sono. Questa cosa ti cambia la percezione della vita. Pensare a come è stato bello quel momento cambia la prospettiva. Come anche provare a spegnere i pulsanti verdi. Se io penso a mia madre e mi connetto al momento della sua perdita, mi sento fortunato ad averla ancora con me».

Per realizzare le tue idee trovi persone che credono (e investono) in te. Come le convinci?

«Ho sempre sottolineato che non esiterebbe nulla senza i partner che seguono la tua follia o visione e la sposino. Da un lato quando qualcuno mi dice “sei matto perché dovrebbero fartelo fare” io rispondo “e perché no?”. Li ho convinti parlando del futuro dell’umanità chiedendo di investire nella bellezza delle interiorità che devono rifiorire».

Ti stai allontanando dalla musica?

«Ho fatto di limite virtù. In momenti in cui mi sono sentito fragile e nudo di fronte alla possibilità di classifiche e numeri che mi ha portato a sbattere contro dei muri, ho rimesso davanti agli occhi quel monito di Battiato, che alla fine mi ha fatto aggrappare alle cose più importanti per me. Il contatto con gli altri, l’ascolto, lo scrivere e comporre musica, cercando però di farla partire da un’esigenza viscerale. La musica è sempre parte di tutto e origine di tutto. Ho appena scritto la colonna sonora del film di Beppe Fiorello, a settembre uscirà "Palabra in spagnolo", sto scrivendo nuove canzoni… Questo progetto è nato dalla canzone che ho scritto con Patti Smith. La musica rimane la mia identità».