In questi giorni, tra gli impegni di Corrado Grilli, in arte Mecna, c’è l’organizzazione del suo attesissimo tour nei club, lo Stupido Amore Tour, in partenza il 3 novembre da Perugia. Tra una prova e l’altra, il rapper pugliese vincitore di sei dischi d’oro e un disco di platino si incontra con la fotografa Eleonora Sabet e con il team creativo che si sta occupando del progetto visual legato al suo nuovo singolo, “Brutto Sogno”. C’è da capire come legare parole e musica alle immagini. Mi spiega che probabilmente ci saranno delle foto di ragazze di spalle nelle loro camere, forse sul letto, sicuramente in un contesto a loro familiare. Poi bisogna pensare al video che accompagnerà il brano e lì, invece, l’idea è quella di riprendere solo gli occhi delle ragazze. «Non è facile», mi dice, e non lo è perché “Brutto Sogno” tratta un tema delicato e importante, racconta una relazione abusante, una vicenda che risuona in noi richiamando tanti fatti di cronaca degli ultimi mesi, ma anche esperienze personali.

«Fare uscire un pezzo del genere comporta una grande responsabilità di narrazione del tema, soprattutto se è un uomo a farlo», mi spiega Sabet, «è complesso riuscire a creare un immaginario senza cadere nel superficiale. Piuttosto che optare per un lavoro di recitazione, quindi un livello di finzione, e cogliere la reazione spontanea e reale all’ascolto del testo». Quelle del rapper, nel nuovo brano che andrà aggiungersi al suo ultimo album Stupido Amore, sono, in effetti, parole che restano impresse, seppur delicate. «Il finale ha un risvolto piuttosto tragico», afferma Mecna, «ma ho voluto lasciare spazio anche alla libera interpretazione».

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Eleonora Sabet
Mecna è la nuova cover digitale di Cosmopolitan.


“Brutto Sogno” è una canzone che parla di una relazione violenta, dove il consenso non viene rispettato. Com’è nato questo brano?

«Era da un po’ che avevo questa idea, non ti so dire bene perché. C’era l'esigenza di raccontare la storia di una relazione canonica, normale direi, che magari inizia anche in maniera carina e che poi si trasforma in un rapporto tossico. È qualcosa che i giornali e i fatti di cronaca mostrano spesso, perché succede spesso, purtroppo. Mi sembra che oggi se ne parli di più».

Se penso ai casi degli ultimi mesi, da Palermo a Torino, ultimamente di testimonianze ne abbiamo lette tante e il testo di “Brutto Sogno” me le ha ricordate molto.

«Io non volevo fare cronaca, non mi sembrava giusto. Leggo i giornali, mi documento, parlo con le persone e questo mi influenza, ma volevo più che altro descrivere la sensazione di una cosa bella che poi si trasforma in qualcosa di brutto e volevo che fosse interpretabile, in modo che arrivasse alle persone a seconda di come la loro esperienza le porta a leggere il testo».

Spesso è chi ci è vicino a farci del male. Da dove è nata la decisione di descrivere questo scenario?

«Volevo parlarne attraverso un un contesto familiare a tutti che è quello di una relazione d'amore. Puoi vivere un legame che diventa tossico o violento senza accorgertene, e magari non sai come comportarti perché, come spesso si legge, non è sempre facile staccarsi e uscire da quella situazione».

Tra l’altro questo dualismo ricorre in tutto Stupido Amore di cui ora “Brutto Sogno” è entrato a far parte.

«Sì, la stessa copertina dell'album con il letto voleva trasmettere un certo dualismo tra un posto dove teoricamente ci si rilassa, si sta bene e ci si sente a casa e un un posto in cui quasi vieni risucchiato e sprofondi anche un po’ in maniera cupa».

A proposito di interpretazione, io in questa immagine del letto come luogo di rifugio e di incubo ci ho visto anche un forte richiamo alla vicenda raccontata in "Brutto Sogno".

«Mi piace che ognuno ci possa leggere qualcosa di diverso. Ovviamente questo brano all'inizio non era previsto e sta entrando solo ora nell’album, ma è bello vedere come tutto in qualche modo torna».

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Eleonora Sabet

Sei noto per essere molto autobiografico nei tuoi brani. È stato difficile raccontare un’esperienza altrui?

«Il punto di vista è fondamentale e nel disco ci sono tanti pezzi che parlano di me o che partono dalla mia esperienza ma anche pezzi che si servono di varie esperienze altrui per raccontare diverse sfumature. Per questo brano in particolare è stato difficile soprattutto capire come evitare di raccontare la vicenda nel modo sbagliato. Non riuscivo a scriverla ponendomi come spettatore, come persona esterna, non mi piaceva. Appena ho capito che potevo avere gli occhi della protagonista, allora qualcosa è cambiato e mi sono lasciato trasportare a livello di scrittura e di emozioni».

Per raccontare questa storia hai usato la fotografia, oltre che la musica. Quanto è importante per te unire diverse forme d'arte? Tu, tra l'altro, vieni dal mondo della grafica.

«Per me ovviamente è imprescindibile e lo è sempre stato. Poi, nel momento in cui mi trovo a essere io l'artista e anche il committente, è bello perché riesco a immaginarmi tante cose, conosco tanti creativi e mi piace lavorare a un progetto e pensare a chi potrebbe aiutarmi, chi potrebbe portarlo alla sua espressione massima. È importante avere le idee chiare su quello che si vuole esprimere e fare in modo che le immagini combacino con la musica».

In questo caso è stata una scelta voluta quella di collaborare con una fotografa donna come Eleonora Sabet?

«Sì, assolutamente, anche perché lei aveva già trattato questo argomento e si interessa molto di queste tematiche. Poi serviva assolutamente un punto di vista femminile».

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Eleonora Sabet
Eleonora Sabet

Che ruolo hanno gli uomini nella lotta alla violenza contro le donne?

«È una bella domanda, non so se ho una risposta adeguata, in generale vedo i comportamenti e capisco che siamo a zero. Ciò che è certo è che se molti uomini vivono una realtà distorta, ci sono tante cose radicate nella società che non aiutano a migliorare qualcosa che dovrebbe essere naturale. L’educazione e la cultura però dovrebbero giocare un ruolo fondamentale. Si tende a giustificare troppo spesso, fin da piccoli, comportamenti sbagliati e potenzialmente nocivi, a volte senza spiegare bene come stanno o dovrebbero stare le cose».

Parlarne tramite il rap può aiutare?

«Il rap, come altre cose, tende spesso a glorificare il machismo, credo sia un dato di fatto. Non ci sono particolari colpe in questo, ma è ovvio che ognuno recepisce i messaggi in maniera diversa e qui torniamo al tema dell’educazione. Io per conto mio ho sempre parlato anche tanto delle mie fragilità, che se vogliamo è una cosa che (almeno anni fa) era abbastanza inusuale per il genere, ma non mi sento paladino di niente, sono però convinto che proporre un’alternativa a questa narrazione - senza nessun tipo di costruzione ma assolutamente personale e figlia di un’esigenza - possa aiutare a cambiare qualcosa, anche se in maniera minuscola».

Come hai vissuto personalmente questo aspetto del rap?

«In passato, all’epoca del mio primo disco (ormai quasi più di dieci anni fa), in alcuni pezzi c’era un po’ questa posa da rapper e ho parlato anch'io magari di quanto sono più forte degli altri e tutte queste cose qui. Poi, andando avanti e facendo dei brani in cui invece ero io al 100%, ho visto che mi facevano stare bene e che si creava una connessione speciale con le persone. Allora mi sono detto “Sai che c’è? Smettiamola di provare a essere chissà chi”. E da lì sono andato in una direzione ben precisa, rimanendo me stesso».

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Eleonora Sabet

Parlando di connessione con chi ti ascolta, stai per iniziare lo Stupido Amore Tour. Come ti senti?

«Il live è il momento più bello e in più è da prima della pandemia che non riesco a fare un tour nei club. Ultimamente ho fatto solo tour estivi che sono belli, ma è tutta un'altra cosa. Diciamo che stare chiusi in un club, al buio, ti fa sentire proprio il calore delle persone, c’è molta intimità. In questi giorni stiamo preparando la scaletta e facendo le prove, ci stiamo immergendo per bene e quindi, dai, sono contento. Sarà un bel mese».

Stupido Amore, tra l’altro, è davvero un album molto intimo che esplora l’amore in varie forme. Secondo te usiamo la parola amore in modo troppo riduttivo?

«Usiamo spesso la parola amore per le relazioni di coppia. In America non è così, l’accezione è molto più larga. Alle persone care, agli amici, noi non diciamo “ti amo”, quindi sì, forse in questo senso un po’ finiamo per avere una visione limitata dell'amore che invece c’è».

Tu in questo album hai provato ad ampliare questa visione.

«Sì, ma non è facile. Anch’io continuo a dire “ti voglio bene”».

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