A un certo punto, dopo la morte di Mahsa Amini nel settembre 2022, le ragazze «hanno preso e sono uscite, senza attendere un’autorizzazione o una benedizione, per mettere i corpi di traverso al passato, ormai sintonizzate sulle proprie esistenze future, da rifondare nella libertà». Scrive così Barbara Stefanelli, vicedirettrice vicaria del Corriere della Sera e Fondatrice de La27Ora e del Tempo delle donne, che in Love Harder. Le ragazze iraniane camminano davanti a noi (Solferino Libri) ha raccolto le storie incredibili di quelle donne ribelli arrivate fino a noi dall'Iran e poi, come spesso accade, dimenticate. «Donna, vita, libertà» era il grido di quei giorni e a testimoniare che si è trattato di un moto rivoluzionario portato avanti con e sui corpi delle donne, ci sono i veli bruciati, i capelli al vento, le pillole del giorno dopo che i genitori delle ragazze arrestate portano loro durante le visite al posto del pane. Stefanelli, imprimendo in queste pagine i nomi, le vite e le storie, ha svolto un'opera di memoria politica, femminista. C'è Aida, medica di 36 anni, c'è Elaheh che ha perso un occhio durante una manifestazione, c'è Asra, studentessa di 15 anni. C'è Nika, «questa liceale che durante la pandemia un po' si è persa, non riesce più ad andare bene a scuola e la mamma decide di mandarla a vivere dalla zia, una pittrice famosa a Teheran», mi racconta Barbara Stefanelli. «Mi è sembrata così vicina a noi», osserva, «Quel settembre prima di morire Nika è a Teheran, si sta ritrovando, sta ricominciando ad avere fiducia in se stessa, si è iscritta a un corso di pittura, lavora in un bar e sta riprendendo a studiare. Mi ha ricordato tante delle nostre adolescenti, mi ha ricordato in qualche modo anche mia figlia».

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Quando ha capito che voleva raccogliere queste storie?

«Tutto è cominciato nell'autunno del 2022 quando, soprattutto attraverso i canali social, vedevo arrivare le storie di queste ragazze. Quello che succedeva nelle strade di Teheran e di altre città iraniane arrivava attraverso video e post straordinari dagli account di ragazze e ragazzi iraniani. Mi sembrava che da quel flusso uscisse immediatamente una grandissima vicinanza. Mi sono resa conto che i loro desideri erano i nostri desideri, ma loro ci mettevano un’attitudine coraggiosa che forse noi abbiamo perduto. Così ho cominciato a raccogliere informazioni, a segnarmi i nomi e le storie pensando che, quando altre notizie avrebbero preso il sopravvento, avremmo rischiato di dimenticarle».

«Quando tutto si infiamma, noi innamorati impariamo a essere guerrieri; quando il buio diventa nero, noi guerrieri impariamo ad amare più forte». Questi sono i versi di Kate Tempest da cui è tratto il titolo. Come mai questa scelta?

«Quando ami di più, quando ami fortissimo la vita, sei chiamata a diventare anche guerriera. Questi versi che parlano di quando il mondo brucia e ti trovi ad essere una innamorata e una combattente mi sembrava rendessero veramente come nient'altro lo spirito del libro che non è un saggio, ma nasce dall'ammirazione innamorata per queste ragazze».

Come ha selezionato le protagoniste?

«Sono partita da Nika Shakarami perché è stata lei a colpirmi immediatamente. Nika muore subito, il primo giorno delle proteste. La notizia della morte di Mahsa Amini viene data il 16 settembre dopo il pestaggio del 14 settembre e per tre quattro giorni nelle città iraniane si preparano le manifestazioni, i ragazzi si raccolgono in rete per poter scendere insieme in piazza e manifestare. La prima grande manifestazione è il 20 settembre e quello stesso giorno Nika viene presa e uccisa, probabilmente in una caserma, nessuno lo sa. Poi ho cercato di mescolare le generazioni: ho inserito la storia di una ragazza ancora più giovane, Asra Panahi, perché ci sono state forme di resistenza anche a scuola tra le quindicenni, e storie di donne più adulte come Aida Rostami che sceglie di entrare nella rete dei medici clandestini per curare i ragazzi feriti durante le manifestazioni».

Nel libro ricorre questo legame generazionale: la lotta che si tramanda di madre in figlia, di donna in donna e che spesso continua nella memoria.

«Questa è una cosa molto forte in Iran perché è un Paese dove le donne hanno svolto un grande ruolo fin dall'antichità. C'è sempre stata una fortissima consapevolezza femminile che arriva a sedimentarsi soprattutto negli Anni '60 e '70 anche grazie ad alcune leggi che sono fortemente emancipatrici. Viene persino approvata una legge sulla legalizzazione dell'aborto, c'è la possibilità di votare, ma anche di essere elette. Nel 1979, le donne, spesso militanti nei partiti di sinistra, partecipano alla rivoluzione popolare e all'abbattimento del governo autoritario dello Scià. A quel punto, però, con Khomeini e la Repubblica islamica inizia un indurimento, una repressione, una cancellazione di tante leggi, le donne arretrano di colpo e molte finiscono in carcere o giustiziate. Per le donne di allora, le madri, le nonne, le zie di oggi, è un trauma incredibile. È come se in quella generazione fosse rimasto un desiderio di riprendersi gli spazi che si erano chiusi e dunque vedere le figlie così coraggiose chiaramente le ha sconvolte, ma anche colmate di ammirazione. I diritti e le libertà non sono mai una conquista definitiva, il femminismo stesso è una lotta costante».

Quando ami di più, quando ami fortissimo la vita, sei chiamata a diventare anche guerriera

Ha citato l’importanza dei social. Nella storia di Nika hanno avuto un ruolo particolare.

«C’era questa ragazza tedesca, Nele detta Neli, di cui avevo letto una lunghissima intervista sul settimanale tedesco Die Zeit (e che infatti cito come prima fonte) che raccontava proprio come lei e Nika fossero diventate amiche incrociandosi su Instagram. Erano diventate due compagne di vita, dichiarandosi amore e condividendo le loro giornate nonostante 3500 chilometri di distanza. Neli racconta che quando sentiva Nika metteva il telefonino in vivavoce, la portava in giro per il suo appartamento in Germania, le faceva salutare i genitori. Durante la protesta, Nika era sempre al telefono con Neli che continuava a dirle “Vai a casa, stai attenta”. L'ultimo messaggio lo ha mandato proprio a lei. “Abbi cura di te” le ha scritto, quando ormai in Germania erano le 5 del mattino».

Pensando all’amore come lotta, mi è venuta in mente l’attivista e autrice femminista bell hooks quando scrive che «Il potere trasformativo dell'amore è il fondamento di ogni cambiamento sociale significativo».

«È una citazione perfetta e penso che sia questa la grande forza di questa rivoluzione iraniana. I grandi osservatori internazionali dicono “Eh ma non hanno un leader, non c'è una coalizione di partiti, non ce la faranno mai”. E da una parte è vero perché non avere una piattaforma per raccogliere le richieste politiche o delle figure in cui identificarsi produce una frammentazione. D'altra parte la forza di questo movimento sta davvero nel potere trasformativo dell'amore, dell'amore per la vita. È la ragione per cui secondo me la repressione, per quanto abbia imposto una frenata, non può spegnerlo. Se hai studiato, se sai di essere competente, se usi internet, come puoi rinunciare a tutto questo per sottostare a delle leggi che ti limitano in ogni aspetto della tua quotidianità? Per questo penso che non sia finita».

Nemmeno dopo l’uccisione di Armita Garawand?

«Il regime è stato indubbiamente molto abile nella repressione: migliaia di arrestati, un'amnistia verso chi si pentiva e alcune condanne a morte eseguite molto rapidamente come monito. Ma non c'è stata una rassegnazione nazionale come in passato. Di recente è stato scarcerato il rapper Toomaj Salehi grazie a una campagna internazionale e nazionale di sostegno che è stata una prova di resistenza alla repressione clamorosa tra hashtag e volantini messi sotto i tergicristalli delle auto, sui citofoni. E poi ci sono ancora moltissime ragazze che neanche si portano più il velo nello zaino, lo lasciano a casa proprio per costringere loro stesse a moltiplicare gli sforzi. Credo che qualcosa si sia rotto nel combaciare del popolo con il regime e che in tempi che non possiamo prevedere questo porterà a un cambiamento».



A proposito di hijab, capi scoperti e capelli sciolti, dal libro emerge come i corpi di queste donne abbiano avuto e abbiano ancora un ruolo fondamentale.

«Purtroppo lo vediamo anche in quello che sta succedendo in Italia: il corpo delle donne è spesso uno spazio che viene occupato o viene controllato o viene devastato. Per liberare le energie delle donne serve innanzitutto che abbiano un pieno controllo del loro corpo. Molte ragazze iraniane che sono venute in Italia per studiare dicono che togliersi il velo è un modo per raddoppiarsi, per sentirsi più forti, come se ti riappropriassi completamente di te stessa e dello spazio intorno a te. Poi sappiamo che ci sono tantissime ragazze che scelgono invece di mettersi il velo. Però l'importante è che ci sia uno spazio di scelta attorno a loro, nelle famiglie, nelle scuole, nelle istituzioni, perché sia una manifestazione della loro identità, non una forma di controllo dall'alto».

Per liberare le energie delle donne serve innanzitutto che abbiano un pieno controllo del loro corpo

Una parola che ricorre nel libro e per certi versi è legata all’amore è “desiderio”. C'è o dovrebbe esserci un legame tra desiderio e politica?

«I desideri sono importantissimi. Mi viene in mente quello che mi ha detto una volta una femminista storica con la quale ho lavorato agli inizi del blog del Corriere, La27ora: “Nella violenza di genere le cose cambieranno quando cambieranno i desideri degli uomini”. A me sembrava strana questa cosa dei desideri, dicevo no, prima devono cambiare le leggi, poi devono cambiare le scuole. E invece mi sono resa conto nel tempo che è assolutamente vero. Noi abbiamo sganciato completamente i desideri dalla politica e abbiamo reso la politica una specie di routine burocratica che non ci riguarda, come se la politica non potesse più rispondere ai desideri delle persone, uomini e donne di tutte le generazioni. Forse una delle ragioni per cui questo movimento in Iran ci colpisce così tanto è proprio questa equazione diretta tra desideri e politica».