Ci sono domande e domande. Quelle che vorremmo ci facessero e che non ci fanno mai, e quelle che invece continuiamo a ricevere. Soprattutto quando sei donna e navighi in quella zona indefinita in cui tutto può essere (e dev’essere) tra i 25 e i 40. Domande che intorno alla tavola di Natale suonano ancora più forte. A queste domande Pilar Fogliati - 29 anni, professione attrice - nella vita ha sempre saputo rispondere. E se la cava bene anche da protagonista della nuova serie Netflix, Odio il Natale, disponibile dal 7 dicembre e prodotta insieme a Lux Vide. Ambientata a Chioggia, racconta il countdown a Natale di Gianna, infermiera disposta a tutto per i suoi pazienti, ma dalla vita sentimentale disastrosa. Nel suo passato c’è un ex che ha chiamato suo figlio come suo padre mentre il presente è un fidanzato-sconosciuto da trovare e da portare a casa entro il 25 dicembre. Per un valido motivo: evitare il tavolo dei bambini e, soprattutto, le domande «E il fidanzato?/Quando ti sposi?/E i figli?» .

Gianna esordisce con una frase manifesto: «Al Natale della tua felicità non frega niente. A Natale conta solo se hai solo una famiglia tua». Quanto c’è di vero?

«Questa frase significa che abbiamo caricato il Natale di un grosso peso: è la giornata dei bilanci. Cioè tu, in quel momento, senti che contemporaneamente otto miliardi di persone si stanno chiedendo: “Dove sono arrivato? Quanto ho conquistato?”. A Natale, che ci piaccia o meno, devi portare il conto a casa, davanti agli altri ma soprattutto davanti a te stesso. Capita, ovviamente, anche a me. In più, sono nata a ridosso del 25 dicembre e quest’anno compio 30 anni. E se non fosse ancora abbastanza, a Natale rivedi anche i parenti con cui magari non hai molta confidenza e che quindi non sono al passo con la tua vita. Gli aggiornamenti, almeno per quanto riguarda le donne, riguardano sempre: figli, fidanzato e, solo dopo, lavoro».

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La cover digitale di Cosmopolitan di dicembre. Con Pilar Fogliati, foto di Pietro Baroni


Odi, quindi, il Natale?

«Devo dire che a casa mia è sempre stata la festa più sentita. Non siamo una di quelle famiglie che dicono “vediamoci tutti insieme una volta a settimana”, ma il Natale l’abbiamo sempre preso molto seriamente. Mia nonna, che oggi non c’è più, ci ha trasmesso la tradizione che più sentiamo, ossia preparare il tacchino ripieno. Un’usanza argentina, tipica delle sue origini. Così mia madre, poverina, sono 30 anni che deve azzeccare la ricetta impossibile di questo tacchino che viene sempre troppo secco. Tutti i nostri nervosismi pre-natalizi derivano dalla riuscita di questo piatto. E poi mi piace molto il lungo tavolo da pranzo. Noi siamo quattro figli, ma a Natale ci divertiamo a invitare amici, separati, single, chiunque. Il nostro è un Natale allargato».

Con il passare degli anni, hai capito come si risponde alla domanda della zia: «E il fidanzato?»

«Una tattica che consiglio sempre è quella di rispondere come fanno i politici, cioè replicando con un’altra domanda e dando la colpa all’altro partito. Se ti chiedono a bruciapelo “Tu i figli quando li fai?” rispondi con un diversivo come “Vogliamo parlare del fatto che tu, zia, ci regali ogni anno sempre la stesa cosa?”. Spostare l’attenzione funziona. In alternativa, basta mostrarsi felici e rispondere con ciò di cui vai fiera. “Ti sposi?”. “No, zia, però quest’anno a lavoro ho raggiunto un’importante promozione”. Dopo addenti una fetta di panettone e non ci pensi più».

Altri consigli natalizi per single?

«Non abbiate paura di sedervi al tavolo dei bambini. I bambini non giudicano, fanno delle domande stupende e pendono dalle tue labbra. E poi da lì passa sempre il cibo più buono: “A tuo cugino non piace il tacchino, abbiamo preparato anche le cotolette”. Io, in realtà, non sono single. Ma vorrei dire alla povera Gianna che, purtroppo, le domande non cambiano più di tanto».

«Natale è la giornata dei bilanci. Cioè tu senti che contemporaneamente otto miliardi di persone si stanno chiedendo: “Dove sono arrivato? Quanto ho conquistato?”. A Natale, che ci piaccia o meno, devi portare il conto a casa, davanti agli altri ma soprattutto davanti a te stesso»

A te cosa chiedono?

«I miei familiari sono i classici tipi che giudicherebbero male le famiglie che fanno queste domande, quindi hanno dovuto trovare un modo più moderno per chiedere le stesse cose. Ci girano intorno. Mi dicono “Certo che il tuo ragazzo è proprio carino, il tuo lavoro va molto bene, in più stai per compiere 30 anni..”. Come a dire “Ma cosa aspettate?”. Il risultato è che alla fine torni a casa con gli stessi dubbi: “Oddio ho 30 anni. Cos’ho combinato? Sono ancora in tempo?”. La pressione, purtroppo, è ancora forte. Mi chiedo: quando i 30 anni sono diventati un giro di boa, soprattutto per le donne?».

E che risposta ti dai?

«Che, dal di fuori, una donna ha sempre bisogno di essere incasellata. Moglie, fidanzata, madre. E il non riuscire a farlo, manda in crisi. A mio fratello hanno sempre chiesto quanto si diverte con le donne, a me e a mia sorella quando pensavamo di mettere su famiglia. Ma la nostra generazione ha rotto gli schemi. Oggi una scelta così importante la fai quando ti senti sicuro dal punto di vista economico, sentimentale, mentale. Viviamo con il sogno gigantesco della prima casa da comprare, che diventa sempre più difficile. Ed è inevitabile che di fronte a questi dubbi ci sentiamo sempre meno pronti a prendere scelte importanti come sposarsi e avere figli. Alla fine è tutta una questione di “millennial” contro “boomer”».

Pressioni a parte, come si sta oggi a 30 anni?

«Io mi guardo molto intorno, mi piace vedere che aria tira tra le mie coetanee. E noto che siamo una generazione molto responsabile, forse anche troppo. Quando mia madre mi racconta che da giovane faceva pazzie, mi rendo conto che noi 30enni di oggi siano pieni di insicurezze, di paura nei confronti del futuro. Il mio è un lavoro precario, ma anche mia sorella e mio fratello, che sono assunti, mi dicono che anche il loro ormai è un lavoro precario. E poi siamo la generazione bombardata dalle vite degli altri. Io spesso non considero le cose belle che faccio. Semplicemente mi dico: “Ah oggi sono qui a fare qualcosa di importante, però potevo essere altrove a fare magari qualcosa di più bello”. È la famosa FOMO, di cui soffriamo tutti. Se una sera restiamo a casa, siamo tutti convinti di perdere qualcosa. Insomma, siamo una generazione bella inguaiata ma molto responsabile».

Quali sono i «guai» più grandi?

«Su TikTok o Instagram si ironizza sui malanni dell’epoca. Ossia sulla precarietà, sul non avere una vita sociale, sul fatto di essere ossessionati dalla salute mentale. Quest’ultima cosa è assolutamente un bene perché abbiamo finalmente capito che non dobbiamo semplicemente mostrare la nostra forza ma anche le nostre fragilità. Allo stesso tempo, però, questo ha portato a una centralità all’individuo molto forte, e questa centralità fa in modo che sia più difficile rinunciare a cose personali in nome di altre, che possono essere la coppia, il matrimonio, i figli. Perché si tratta di rinunce, di scelte. Ogni scelta presuppone sempre una rinuncia».

Per quanto riguarda «libertà, desideri, sogni»?

«Io provo il grande desiderio di mettere un mattone. Siamo la generazione della sharing economy che, come lato positivo, ci ha dato la possibilità di viaggiare, di affittare casa, di affittare una macchina se non ce l’abbiamo, di volare lowcost. Ma contemporaneamente è cresciuta in noi anche un’ansia di stabilità, di radici. Il sogno di questa generazione è trovare quello che ci hanno venduto come il «nirvana», ossia l’equilibrio tra lavoro e vita privata. Ci hanno infilato, sbagliando, questa cosa in testa. E quest’ansia non fa che aumentare quando la leghi a determinate età. Perché a 18 anni devi già capire chi vuoi diventare, che è una follia. A trenta devi avere già un matrimonio o un figlio; a 50 devi avere le idee chiare su chi sei e su cosa non ti piace. Ciascuno, invece, ha la propria strada, il proprio percorso, il proprio equilibrio. Non c’è un modello unico di successo, in cui puoi definirti “risolt0”. Quando superi questa cosa qui, riesci davvero a essere libero».

E l’amore?

«L’amore continua a essere il sogno di tutti. Può sembrare una frase fatta, ma è davvero così. Io poi sono una romantica, il mio genere preferito sono le commedie romantiche, anche quelle assurde dove ci si incontra al supermercato».

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Netflix
Pilar Fogliati. Foto di Pietro Baroni

Gianna ogni anno riguarda Love Actually.

«Il momento dei cartelli mi fa sempre impazzire. Amo anche Serendipity. Mi fa piangere. Trovo curioso il fatto che esista la commedia romantica e poi la commedia romantica natalizia. Perché la famosa magia del Natale è qualcosa di reale che sentiamo tutti. Ma indefinibile come l’amore».

Gianna, però, è restia a trovare l’amore su Tinder. Sei d’accordo?

«Io sono innamorata degli sconosciuti, dell’idea di vivere quel primo momento come se fosse una commedia romantica, credo sia la cosa più eccitante e divertente del mondo. Con Tinder un po’ mi sembrerebbe di rompere quell’atmosfera. Se usi Tinder inizi che hai già rivelato le tue carte, quel gioco del flirtare mascherato viene meno».

Come hai conosciuto il tuo fidanzato (Severiano Recchi, nda)?

«Suo fratello ha pensato di organizzare una cena con diversi amici per presentarmelo senza che io sapessi nulla. Una di quelle situazioni che “vi assicuro che non funzionano”, invece per noi è stata l’eccezione che conferma la regola. Stiamo insieme da quattro anni».

Avete già superato la «prova Natale»?

«Assolutamente sì. Sono stata sia io da lui, sia lui da me. Devo dire che mangiare il panettone insieme è la cosa più intima del mondo, ma mia madre è sempre stata molto aperta. Perché lei si è sentita un pochino non accolta quando ha conosciuto la famiglia di mio padre e di conseguenza ci ha sempre detto: “Chiunque mi portate, io sarò carina”. La verità ce l’ha sempre detta dopo».

Le peggiori domande a cui hai dovuto rispondere, non solo a Natale?

«Molte riguardano il lavoro. Quando a 18 anni sono entrata alla Silvio D’Amico di Roma, per studiare recitazione, mi chiedevano: “Allora cosa hai scelto?”. “La Silvio D’Amico”. “Ah bene, questo come hobby. Ma come laurea?”. A chiedermi dei fidanzati era, invece, soprattutto mia nonna. Ma lei apparteneva a un’altra epoca e le sue domande erano incredibilmente carine. Non me la sono mai presa. Mi diceva cose come “Ma perché non ti sposi, sei così bellina”. Io le davo sempre ragione. Anzi, quasi mi dispiace di non essermi sposata in tempo per averla al mio matrimonio. Il suo era il pensiero di un’altra epoca, e sta a noi cambiare quella narrazione. Noi ora siamo diversi, siamo una generazione che per fortuna conosce libertà nuove, siamo capaci di parlare dei nostri problemi».

Sei pronta per i 30 anni?

«Nonostante tutte queste belle parole, non ne sono immune. Non ho mai festeggiato il compleanno in vita mia, ma quest’anno mi sta venendo la FOMO da festa, nel senso che se non l’organizzo mi perdo un’occasione. Solo che sono nata il 28 dicembre e quindi non verrà nessuno. In ogni caso il titolo della mia festa sarà “chi c’è, c’è”».

A proposito di attese, nel 2023 debutterai alla regia con Romantiche.

«L’8 marzo, data di uscita del film, l’aspetto più del giorno di Natale. Non trovo le parole per descrivere quest’emozione. Mi sento fortunatissima per avere avuto l’opportunità di farlo, per aver avuto a fianco Giovanni Veronesi. E, indipendentemente da come andrà, mi sento molto fiera per aver portato a termine un progetto in cui mi metto completamente a nudo. Interpreto quattro personaggi, è una sorta di all in della mia interiorità».

A guardarti intorno, dell'amore cosa resta?

«La cosa più romantica a cui abbia mai assistito in vita mia è stata vedere mio nonno prendere la mano a mia nonna, un giorno qualsiasi a colazione, e dirle: “Ci facciamo ancora un po’ di pensione così, poi tra due anni partiamo per una crociera lunga un anno”. Lui non è mai stato una persona sdolcinata, quindi vedere quella cosa lì mi ha commosso. Sapere di aver superato tutti gli alti e i bassi della vita ed esserci ancora. Si saranno amati, odiati, ma poi prevale quella voglia di ignoto da vivere insieme. Allo stesso modo mi conquista l’amore enorme dei 14enni, quell’amore che noi adulti sminuiamo. Ma a 14 anni ci credi, lo vivi come fosse la cosa più importante. Tutto sta quindi in quello sguardo tra due ottantenni, che somiglia tanto a quello tra due quattordicenni. È l’irrazionale che vince».