Andrò dritta. Qual è il senso di provare a costruire un presente se la relazione con la persona a cui ci si sta legando non sembra avere un futuro? Il senso, potremmo auto giustificarci (con me ha sempre funzionato ma io sono molto brava a mentirmi), sta tutto nei dettagli, in quei piccoli momenti di sollievo che per l’intensità con cui si consumano paiono quasi dilatarsi nel tempo. Sta nella confortevole incertezza che nasce dalla non definizione, dall’assenza di un piano che possa essere considerato un vincolo o dal fatto che, per un altro giorno e un’altra sera, ci risparmieremo la fatica di sostenere una conversazione con una persona con cui dovremmo ripartire da zero. La chiamano situazione, "situationship" che è più costruito e quindi più elegante anche se allo stesso modo non vuole dire niente, e raccoglie in sé quei momenti citati all’inizio, gli atti di piacere acuti eppure misurati che scavalcano il confine della frequentazione fermandosi poco prima – al limite dell’accettazione e del tornare in analisi – sbordando magari pure in una convivenza come succede in Parigi, 13Arr., il nuovo film di Jacques Audiard al cinema, che flirta con il genere più moderno della commedia romantica capovolgendo il tema de La mia notte con Maud di Éric Rohmer (la storia sentimentale di tre persone che alla fine si scoprono legate). Ma che, soprattutto, riesce a delineare perfettamente le insidie di una situazione sviscerando il non detto che ne sta alla base: io vorrei, ma forse tu non vuoi.

Le case altissime delle Olympiades, il quartiere di palazzi del 13° arrondissement di Parigi da cui il film prende il titolo francese originale (Les Olympiades, acclamato anche a Cannes 2021), sono l’ambientazione di una serie di storie tra gli stessi personaggi. Parliamo della prima, quella di Émilie, franco-cinese, laureata in scienze con la passione per la musica e il pianoforte che, nonostante il grande talento, sceglie di continuare a lavorare come cameriera o agente call center. Non vuole piani, situazioni definitive. Vive nell’appartamento di sua nonna dove, da qualche mese, ha iniziato una relazione in apparenza giocosamente sessuale – in realtà solo a combustione lenta – con il nuovo coinquilino, Camille. Non stanno insieme, non si frequentano, non hanno qualcosa ma piuttosto hanno «una cosa», rifuggono da un rapporto che possa definirsi esclusivo o una relazione ma si inseguono costantemente, a letto, sul divano, al telefono, dopo il lavoro. In un sottopassaggio di Parigi, Émilie cerca la mano di Camille d’istinto, prova ad attaccarsi al braccio e lui la ignora, la lascia con la mano sospesa a mezz’aria in quella terra di nessuno tra lo slancio e l’imbarazzo. Émilie si ritrae. È la cruda immagine realistica e terribile di un’idea che ci eravamo già fatti vedendo la loro situazione dall’esterno: io vorrei fossimo una coppia, ma forse tu non vuoi.

«Non stiamo insieme», dice Camille durante una scena di gelosia di lei in cucina, dopo essersi portato a letto una collega della scuola dove insegna, dichiarando che quella con Émilie «è solo un’attrazione, e l’attrazione svanisce». E che «tu sei innamorata. Io no». È questo il segreto delle situazioni? Ogni situazione è tale perché fondata sulla disparità emotiva? Un accrocchio di disuguaglianze che accettiamo fino a un inevitabile momento di rottura e che poi comunque per farci passare l’incazzatura per averci creduto dovremo salmodiare qualsiasi tipo di mantra?

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courtesy photo
Da Parigi 13Arr, al cinema

Con la fotografia monocromatica e meravigliosa di Paul Guilhaume e ispirato alla graphic novel del vignettista del New Yorker, Adrian Tomine (in particolare al primo blocco, Killing and Dying, edito da Rizzoli), Jacques Audiard sposta il fuoco della storia originale in un contesto più europeo, nel 13° arrondissement di Parigi appunto, tra gentrificazione e abbondanza di app, schermi che contengono la maggior parte dei dialoghi del film, sesso ovunque, sesso facile da pay-per-view, sesso bellissimo sulla colonna sonora del musicista elettronico francese Rone, sesso dappertutto eppure serrato in un’insufficienza drammatica di sentimenti espliciti ed esposti.

Émilie e Camille non sanno cosa vogliono davvero, cambiano le regole più volte, la loro situationship imperversa fino quasi a scomparire del tutto per autoconservazione di entrambi. Lei cambia lavoro, sotterra il pensiero di Camille con altri appuntamenti, lui lascia l’appartamento condiviso, inizia una nuova frequentazione. Si sentono di rado.

Situationship è un termine che circola da qualche anno. Circola su TikTok e nelle varie “bolle” locali/sociali. Secondo quanti ne parlano e ne scrivono, si troverebbe a metà fra una pura e amichevole relazione sessuale e una relazione vera e propria, oppure indicherebbe il passaggio successivo a una frequentazione che non si concretizza per tantissimo tempo. L’idea è che in un amore simile l’amore sia diminuito, che nel sesso ci sia sempre un asterisco, un modo per cui le nostre proposte o programmi si trasformeranno sempre in richieste.

Émilie e Camille alla fine si mettono insieme (non è uno spoiler, ma un quarto di quello che Audiard mostra nel suo film). Capiscono che forse non hanno nemmeno mai avuto una situazione ma che hanno solo temporeggiato fintanto che non avessero trovato il coraggio per amarsi veramente. Parlano, se lo dicono, usano due parole, ti-amo, per chiarire quello che provavano da tempo (basta davvero quello per definire?). Perché forse la situazione è solo il frutto delle nostre contraddizioni, della nostra capacità di aprirci a nuove esperienze ma anche l’esempio di come un fallimento passato possa renderci riluttati a rischiare un’umiliazione futura. E invece in amore, in una frequentazione, situazione, situationship, relazione (anche chi si sente più sicuro ha sempre il diritto di rivedere i propri confini), dovremmo solo provare a essere inclementi con i nostri desideri e con i sentimenti che proviamo. Andare dritti. Vivere quei momenti di sollievo forse misurati ma bellissimi senza abbandonarsi a tutto quello che non ci diciamo, confinando in bocca e ammazzando dietro ai denti le parole che invece avrebbero potuto aiutare a tenersi.