Il leggendario caffè nato nel 1936 a pochi passi dal Teatro La Scala, Sant Ambroeus, ci accoglie in un ambiente dalla luce fioca. Mi accomodo all’angolo, su una panca che regala una visuale perfetta sulla sala. Sfoglio il menù, nell'attesa un sorso di vino bianco freschissimo rallegra il palato, tendo l’orecchio: una coppia sta parlando, al limite della discussione, sulla mia destra. Lui ha la conversazione in pugno, lei subisce le parole mentre dialoga con il corpo, le dita strette alla forchetta, a volte azzarda un sorriso per poi tornare con gli occhi bassi sul pane. Il loro chiacchiericcio si perde nella musica della sala mentre io mi perdo nell’antipasto, fantasticando sulla loro relazione, giocando a un lento tiro alla fune con i loro dialoghi. Saranno una coppia di lunga data? Colleghi di lavoro o amanti?

Punto e virgola, arrivano al tavolo carciofi, astice, senape, e il mio interesse nei confronti del tavolo sulla destra così come ha divampato nella mia fantasia, cade completamente. Ora ho occhi solo per il trio di persone che decide di scambiarsi dei convenevoli al dolce, dopo un pasto consumato in un silenzio monacale. Perché parlano solo ora? Ma soprattutto perché mi interessa? Perché spesso ci piace origliare le conversazioni degli altri commensali al ristorante? Cosa dice su di loro il nostro fantasticare? E cosa dice su di noi?

all rights reserved wwwalbertoblasetticompinterest
Alberto Blasetti
L’interno del Sant Ambroeus.


«Io origlio sempre, amo farlo», esordisce un’amica davanti a un caffè, «e spesso studio i loro gesti per capire che tipo di relazione c’è tra le persone che mi mangiano accanto». Dice un’altra: «Concordo. La cosa più interessante è non solo cercare di capire dai dettagli che lavoro fanno, qual è la loro storia, ma come stanno insieme e perché si ritrovano allo stesso tavolo in quel preciso momento. Spero che a un certo punto della conversazione io venga smentita perché è come se avessi sempre in mente il finale mentre apprezzerei un bel plot twist». Una curiosità comune, quasi un rituale, un companatico che scivola come il burro, che si perde ma ci attira.

«Proiettarsi significa poter confrontare, anche inconsapevolmente, la loro condizione con la propria»

«Capita a tutti di provare a immaginare come potrebbe essere vivere nei panni degli altri. Proiettarsi, anche solo per qualche minuto, nella loro vita significa poter confrontare, anche inconsapevolmente, la loro condizione con la propria», afferma la dottoressa Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e clinical director di Unobravo. «La quotidianità che sperimentiamo ogni giorno può essere complessa da gestire, può metterci alla prova e farci sentire frustrati o scontenti. Spesso, per fortuna, si tratta solo di momenti, di sensazioni transitorie. Avere la conferma che anche chi ci circonda si sente spesso come noi, imbarazzato, non sempre felice, preoccupato o arrabbiato ci restituisce l’estrema normalità di quello che ci capita di vivere nel corso delle nostre giornate, facendoci rivalutare, in molti casi, la situazione in cui ci troviamo», considerando inoltre che il legame tra cibo e psicologia esiste da millenni.

dinner time at chasen's restaurant on beverly blvd in west hollywood hollywood, california c 1960photo by underwood archivesgetty imagespinterest
Underwood Archives//Getty Images

Continua Valeria Fiorenza Perris: «Carpire dettagli delle vite degli altri ci consente anche di soddisfare una naturale curiosità per quello che accade a chi ci circonda e ci allontana, per qualche istante, dai nostri vissuti. Il rischio maggiore è che ciò che vediamo o ascoltiamo finisca per rappresentare un termine di paragone, in base al quale giudicare più o meno positivamente la propria condizione». Ma quindi sono le tavole più prossime, le tavole degli altri, i social network più antichi del mondo? Quelli in cui arriviamo preparati, magari con il migliore dei vestiti e le maniere più gentili, e posiamo gli occhi sugli altri alla ricerca di chi è messo peggio, per sentirci migliori? Ma soprattutto se il digital detox può delineare un confine tra Instagram e il quotidiano, quale potrà essere la barriera in grado di proteggerci dalla complessa natura del reale, corredata da calici e forchette? Forse tornare a mangiare con gli occhi ben fissi sul piatto.