Nato nel 2019, Cormio è già diventato un punto di riferimento nel calendario della moda milanese. Nella sua ultima sfilata (fall winter 2023/2024) ambientata in un campo sportivo nella periferia di Milano, t-shirt stampate, completi in maglia e borse-pallone celebrano il potere delle ragazze immaginando un mondo al contrario in cui l’Italia è in fissa con il calcio femminile. Jezabelle Cormio, fondatrice e direttrice creativa del marchio, ha raccontato a Cosmopolitan le sue ispirazioni, le complessità di essere alla guida di un brand indipendente, il rapporto con social ed eleganza, chi morirebbe dalla voglia di vestire, come (non) si immagina il futuro.

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Dalla sfilata fall winter 2023/203 di Cormio
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Dalla sfilata fall winter 2023/203 di Cormio

Cosa ispira le tue collezioni?

«Per me è la volatilità con cui un adolescente può passare da un genere all’altro. E non importa quando siano profondamente autentici questi generi. Ai nostri tempi erano dei passaggi che duravano anni, ora si entra e si esce da questi core, un giorno con l’altro. È una cosa criticata su TikTok, ma io la capisco: alla fine tutti abbiamo tante personalità che si possono mettere in atto e poi quando ci si stufa si passa a quella dopo. Non è per forza consumismo, è anche interpretazione, si possono tenere sempre le stesse quattro cose e mischiarle in modo diverso. Io non ho nessuna difficoltà a unire un pigiama da uomo, un abito da principessa e una palla da calcio, per me fanno parte della stessa fantasia. Non serve aderire solo a uno stile per sentirsi più autentici, per sposarne i valori: a me piace indugiare nella girlhood ma ho 32 anni, non sono una ragazzina, però mi è possibile incarnarne i valori, come può farlo una signora o un ragazzo».

A giudicare dall’ultima sfilata, uno dei valori di questa girlhood è la rabbia.

«Non c’è nessuna ragione per non essere incazzati in questo momento. Di recente ho scoperto che più di qualsiasi cosa trovo energia nella rabbia. Non mi sentirei a posto con me stessa a esprimermi per puro esercizio creativo, a coinvolgere tutti voi nel mio esercizio estetico. Noi creativi siamo responsabili di far tornare un feedback alla nostra società, non dobbiamo per forza solo accettare, o lamentarci tra di noi».

A vedere la tua collezione in prima fila, fra gli altri, c’era Vanessa Friedman del New York Times. Cosa credi abbia reso il tuo brand rilevante anche a livello internazionale?

«Penso che Cormio abbia un appeal che può tra scendere il Paese dove operiamo. Riflette anche quello che sono: sono metà americana, ho studiato in Belgio [ad Anversa, NdA]. È importante rappresentare l’Italia non solo in Italia».

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Cos’è cambiato dall’inizio della tua carriera?

«È stata un’evoluzione graduale in questi ultimi due anni durante i quali direi abbiamo acquisito un senso. Di certo con la crescita del brand le cose non è che si siano semplificate. La nuova sfida più grande è la stabilità».

Gestisci la comunicazione del brand personalmente. Che rapporto hai con i social?

«Di recente ho capito che la risposta più solida dal pubblico è venuta quando ho alzato la voce, quando ho esplicitato la mia opinione. Ci è voluto un po’ di coraggio per farlo, avere una figlia me lo ha dato perché ho capito che per lei il futuro non sarà facile. Non ha neanche tre anni e al parco i maschi non la fanno giocare a pallone».

Via social, come interagite con fan e talent?

«Rispondiamo a chi ci scrive, ripostiamo i talent che indossano Cormio, com’è successo con Madame. In generale, proviamo a essere inclusivi: è un aspetto delicatissimo su cui rifletto spesso. Non si smette mai di dover interagire con persone che non ti rappresentano totalmente».

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E se ti facessi la domanda al contrario, chi ti rappresenta? Chi vorresti vestire?

«Le mie icone di stile probabilmente non si metterebbero mai le mie creazioni [ride, nda]. Penso a Kate Bush, la mia religione. O Paula Yates, o Amy Winehouse. Mi sono sempre piaciute queste donne che sembrano untouched dai canoni. Quello che mi ispira non è tanto la loro estetica, è proprio il loro modo di fare. La libertà che si prendono di esasperare un concetto, portarlo a mille per fare una cosa fuori moda. Non so, tipo un ballo che non è per forza sensuale o elegante».

Che rapporto hai con l’eleganza? Fondamento o costrizione?

«È un aspetto che proprio non m’interessa: secondo me l’eleganza per le donne è più che altro una gabbia, è quella cosa con la quale noi combattiamo costantemente per poterci permettere di dire o fare una cosa fuori dagli schemi. Una volta libere dall’eleganza si possono fare tantissime cose».

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Ti chiedo di guardare al tuo futuro. Cosa vedi?

«Ci sono degli aspetti della collezione che vorrei migliorare, delle categorie che vorrei ampliare come quella degli accessori nella quale abbiamo inserito le borse pallone questa stagione. Ma se guardo al futuro, tra tutto, mi auguro di non essere così sola nel mio genere [femminile, NdA]».