Sono dentro un bar in un seminterrato, sugli scaffali intorno a me sono allineate bottiglie e lattine. Sorrido, cerco di fare colpo sul DJ con cui sto parlando. Qualche ora dopo, passo a un altro locale e sono avvolta da una tenue luce rosa. Ho un Margarita in mano, sono insieme a un gruppo di amiche che parlano di femminismo, oroscopo, carriera. Insomma, una normale chiacchierata tra donne. Non c’è nulla di insolito in questa serata, tranne una cosa. Il Margarita che sto sorseggiando è analcolico. Tutte le bottiglie che mi circondano lo sono, dal “gin” al “whisky”. L’intero bar lo è. Il DJ è sobrio da cinque anni e organizza feste esclusive proprio in quel seminterrato, dove i freni inibitori si abbassano, senza l’aiuto di liquidi o polveri. Siamo nell’era del divertimento “analcolico”. Noi, la generazione più sobria della storia recente: stiamo a casa o, se usciamo, beviamo birre senza alcol e andiamo in palestra la mattina dopo. L’edonismo è superato, ci interessa la salute. O almeno questo è quello che ci dicono titoli e statistiche. Ma è la verità? Sono entrata nel “giro” dei party per scoprirlo.

«Ci si può lasciar andare in totale libertà anche sapendo che nessuno è sotto l’effetto di droga o alcol»
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Trascinata in un groviglio di membra tremanti, senza sapere quali mani appartenessero a chi, Cara era sorpresa di quanto tutto le sembrasse facile. Di quanto fosse eccitante quell’esperienza, e senza aver ingerito neanche un po’ di coraggio liquido sotto forma di gin tonic.

«Non avevo mai nemmeno rimorchiato da sobria, e ora stavo avendo il mio primo rapporto a tre senza aver bevuto neanche un bicchiere». Era andata a un kink party (dove è ammesso di tutto purché ci sia il consenso), scegliendo di non bere perché non voleva che la sua capacità di giudizio venisse offuscata. Era entrata «quasi istantaneamente» in sintonia con una coppia ed era tornata al loro hotel per un «after-party». In seguito, riflettendo sulla serata (che descrive come «quasi irreale, un sogno febbrile, nel miglior senso possibile») Cara si è chiesta se, dopo aver pensato per quasi vent’anni che bere alcolici portasse a una vita più selvaggia ed entusiasmante, fosse stata ingannata. «Quella notte mi ha fatto capire che non ho bisogno di bere per essere divertente, per essere sexy. Mi sento, per molti versi, più libera senza».

Devo confessare che ho cercato a lungo una storia come quella di Cara. Una giornalista non dovrebbe avere secondi fini, ma io ne avevo uno quando ho iniziato a scrivere questa storia. Perché, un po’ egoisticamente, non mi piacciono le statistiche che stanno circolando sul presunto boom della sobrietà e sulla morte della classica serata fuori. Non lo dico perché voglio che tutti bevano fino a sbronzarsi. Sono felice che le persone scelgano ciò che funziona meglio per loro a livello individuale. Ma avendo un rapporto complesso con l’alcol, sono anche più che consapevole di quanto sia dannoso e di quanto la nostra società vi ruoti intorno.

È che sono una festaiola. Adoro le serate in cui si passa da un locale all’altro, si incontrano nuove persone, si canta urlando tra il fumo della pista da ballo. Quelle da cui si torna quando inizia a spuntare il sole, con un leggero ronzio nelle orecchie e tante storie in attesa di essere raccontate in lunghi messaggi vocali. Serate come queste sono sempre più difficili da trovare.

Oltre alle statistiche sull’assenza di alcol, ne emergono altre: in tutta la Gran Bretagna si stima che dal 2019 abbia chiuso una discoteca ogni tre giorni mentre in Italia siamo passati dalle 9 mila sale dal ballo del 1980 a poco più di 3 mila nel 2023. Una moria di dancefloor.

Poi ci sono i meme, immagini di persone rannicchiate sotto le coperte a casa, felici di non uscire nella notte selvaggia. Ma chi come me quella notte selvaggia la vuole, che fine fa? Quando i miei programmi vengono disdetti, non sono felice. Non voglio certo fare incetta di shottini tutte le sere. Ma non voglio nemmeno passare la vita a guardare la TV. La cultura dello stare a casa (e il fatto che i miei coetanei la amino) mi fa sentire sola e in gabbia. Voglio l’edonismo, ma senza i postumi della sbornia. E storie come quella di Cara cominciano a dimostrarmi che è assolutamente possibile.

In connessione con l’Universo

«Tutte le persone sobrie che ho incontrato erano appassionate di escursionismo». Sto parlando con Jules Rangi, podcaster di Sydney. Stiamo chiacchierando su Zoom, per me la giornata è appena iniziata mentre Jules è agghindata e pronta per andare a un warehouse party con alcuni giocatori dell’NBA. Su TikTok si definisce una «festaiola in fase di recupero» e racconta storie sulla sua recente disintossicazione. «Sono una ragazza di città. Adoravo i pranzi lunghi con una bottiglia di rosé». Da quando ha smesso di bere, continua a pranzare fuori, a partecipare a eventi di networking e a feste, ma si accorge di doversene andare in anticipo, prima che il party si riempia di gente ubriaca.

Mi sono ritrovata a fare la stessa cosa. Non sono astemia, ma ora scelgo consapevolmente di trascorrere serate analcoliche: faccio esattamente le stesse cose che farei di solito ma senza bere. Mi accorgo che di solito arriva un momento della serata in cui schiamazzi, parole biascicate e storie ripetute diventano insostenibili e per me arriva il momento di tornare a casa come Cenerentola. È questo che rende gli eventi e le feste senza alcol tanto piacevoli. Il primo a cui ho partecipato è stato Morning Gloryville, un rave mattutino all’insegna della sobrietà organizzato in diversi locali notturni. Vi suonavano DJ come Norman Cook, ma non c’erano né alcol né droghe, né tutti gli aspetti negativi che ne derivano. Si ballava sotto le luci laser, ma senza quell’energia agitata e inquietante che si respira in alcune discoteche: non si rischiava di rovesciare drink, di calpestare piedi o di subire, come purtroppo accade a molte donne, palpeggiamenti e avance aggressive.

Morning Gloryville è un’iniziativa nata nel 2013 e da allora nel Regno Unito e in tutta Europa si sono moltiplicati i party e gli eventi senza alcol. «Organizziamo queste feste con la sala piena di gente» mi racconta il DJ, indicando lo spazio. «E non si rompe nemmeno una bottiglia. Niente piste da ballo appiccicose! Ma quello che mi piace davvero degli eventi senza alcol è la partecipazione emotiva: sono tutti più in sintonia con loro stessi e con chi li circonda». Norwood Hill è stato un DJ acid jazz negli Anni ’90 e 2000 e spiega che eventi di questo tipo sono spesso organizzati da persone che, come lui, hanno lavorato per anni nel settore dell’ospitalità e nella scena dei club, ma ora hanno smesso di bere. Questo mix di vecchio e nuovo crea qualcosa di speciale. «Ci si può lasciare andare ed essere liberi, con la consapevolezza che nessun altro è sotto l’effetto di droghe o alcol. È una situazione di parità». Il problema? Questi eventi, nonostante tutti i proclami che li definiscono l’ultima tendenza del clubbing, sono ancora pochi e sporadici. In passato le discoteche facevano affidamento sulla vendita di alcolici per essere economicamente redditizie, quindi è difficile per i nuovi organizzatori di eventi convincere i locali a ospitarli: la maggior parte delle serate senza alcol si tiene, nel migliore dei casi, una volta al mese. In più, la sobrietà non è per tutti. In un gruppo di amicizie miste, in cui alcuni bevono e altri no, queste serate potrebbero risultare difficili da vendere. La sobrietà tende inoltre ad andare di pari passo con il benessere, e questo comporta un certo grado di misticismo. Molti degli eventi in cui mi sono imbattuta prevedevano lezioni di respirazione, rituali lunari e cerimonie del cacao. Alex è un guaritore energetico certificato e incorpora questo lavoro nelle sue serate nei club, offrendo una pulizia dell’aura all’ingresso e collocando cristalli di selenite all’interno dello spazio per «aumentare le vibrazioni di tutti e creare un’euforia naturale». A me questi aspetti interessano, ma immagino anche che qualche amica alzerebbe gli occhi al cielo se proponessi di sostituire i nostri soliti bar con una serata in cui, a un certo punto, smettiamo di ballare per meditare. Ci deve essere una via di mezzo.

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Serate di nicchia vs Netflix

«Qual è la tua canzone preferita di Taylor Swift?». L’uomo di fronte a me, con il cappello da pescatore ben piantato in testa, sembra confuso.

Sono in coda per lo Swiftogeddon al Centro Eventi di Glasgow. La serata trasmette musica di Taylor Swift ininterrottamente: è nata nell’agosto 2019 come novità unica a Londra e ora si svolge in tutto il Regno Unito ogni fine settimana. La sua formula potrebbe essere replicata diventando la soluzione alla vita notturna in declino? Perché c’è un altro elemento da considerare quando parliamo di discoteche al-cool free, ed è che con la chiusura di pub e discoteche si perdono migliaia di posti di lavoro.

Ma a dispetto di quanto qualcuno possa pensare, il calo di fatturato del settore non è dovuto al fatto che beviamo meno. È vero, la società di ricerche di mercato Circana ha rilevato che, se le vendite di birra alcolica sono diminuite del 6% su base annua, quelle di birra analcolica sono aumentate del 6% nello stesso periodo di tempo. Ma sono entrati in gioco una serie di elementi, dalla carenza di forza lavoro al rincaro delle bollette energetiche e altre questioni finanziarie. «La preoccupazione principale delle imprese che lavorano di notte è l’aumento dei costi operativi» spiega Michael Kill, CEO della Night Time Industries Association. «L’inflazione ha portato a un aumento del 40% delle spese operative, mentre il calo del 15%-20% del commercio può essere attribuito alla riduzione del reddito disponibile dei consumatori. Di conseguenza, ben sette attività su dieci faticano a raggiungere il pareggio o operano in perdita». E qual è il più grande concorrente della vita notturna? Già, è proprio Netflix. La crisi del costo della vita ha costretto molti di noi a rivalutare le proprie abitudini di spesa e, ammettiamolo, le piattaforme di streaming offrono ore di intrattenimento a un prezzo inferiore a quello di due drink. Non posso nemmeno ignorare il fatto che feste e discoteche presentano tradizionalmente alcuni aspetti negativi. Una ricerca condotta da Google nel 2019 ha dimostrato che il 41% degli appartenenti alla generazione Z associa l’alcol a vulnerabilità, ansia e abusi.

Forse allora tutte le battute su quanto amiamo restare a casa non sono dovute solo al desiderio di consumare il catalogo di Netflix. Questa cultura dello stare in casa è frutto di una moltitudine di aspetti negativi dei quali non parliamo, mentre cerchiamo solo di convincerci di esserne felici. E per quanto rimanere sul divano sia bello e rassicurante, uscire ci fa bene: i ricercatori dell’Università di Oxford hanno scoperto che quando ci muoviamo in sincronia con altre persone (come avviene, per esempio, in discoteca) si innesca il rilascio di ormoni del benessere e il senso di unione e connessione aumenta. La Deakin University in Australia ha scoperto che assistere regolarmente a concerti di musica dal vivo può aumentare l’aspettativa di vita fino a nove anni e l’88% degli intervistati in un sondaggio condotto a Bristol l’anno scorso ha dichiarato che andare a ballare ha migliorato il loro benessere mentale. Forse la chiave non è quindi cercare di tornare ai vecchi modi di divertirci — serate che spesso si concludevano solo con un portafoglio vuoto e un’ansia paralizzante — ma piuttosto creare eventi in cui ci sentiamo al sicuro e inclusi. Ed è qui che entra in gioco lo Swiftogeddon.

Per tanto tempo ci è stata data una definizione di divertimento basata sulla nostra età e su nozioni prestabilite su come la vita andrebbe vissuta. Per esempio, dovremmo passare i nostri vent’anni a sbronzarci e a fare più esperienze possibili, altrimenti siamo persone noiose. Ma una volta raggiunti i trenta o i quarant’anni, il messaggio cambia: ci viene detto che dovremmo stare a casa, sistemarci e avere dei figli. Che le discoteche e le feste sono per i giovani. Assimilando tutto questo, ci ritroviamo a vergognarci di prendere decisioni che si allontanano dalla norma o a forzarci, di solito con l’alcol, a vivere situazioni che non ci piacciono. Dobbiamo riflettere sul significato che il divertimento ha per noi individualmente, piuttosto che sul modo in cui ce lo hanno collettivamente presentato.

È per questo che, in un clima sempre più pesante, le serate che si rivolgono alle nicchie prosperano. Non danno per scontato che tutti vogliano la stessa cosa. Capiscono che desideriamo trovare la nostra tribù, un posto unico dove possiamo liberamente essere noi stessi. «Alcune persone ci hanno detto che prima di partecipare al nostro evento non avevano mai messo piede in una discoteca, ed è davvero bello sentirlo» spiega Dave Fawbert, il DJ che ha lanciato lo Swiftogeddon. «Le nostre serate non sono certo improntate sul concetto di “cool” o sul dover avere un certo aspetto. Facciamo tutto il possibile per creare un ambiente sicuro: lavoriamo con locali di cui ci fidiamo, ci lasciamo trasportare dalla musica e saltiamo sul palco facendo gli stupidi per incoraggiare tutti gli altri a esprimersi senza paura di essere giudicati». Altri progetti lanciati di recente rivelano una storia simile. Sembra che molti di noi vogliano ancora divertirsi, ma in modo unico e personalizzato in base ai propri interessi, che si tratti di gusti musicali, sessuali, di sobrietà o persino di orario.

Ci sono per esempio le serate Before Midnight, che vanno dalle 19 a mezzanotte, pensate per chi «ama scatenarsi ma odia perdere il sonno», i sex e kink party, che stanno diventando sempre più diffusi: eventi in cui il consenso è al centro dell’organizzazione e in cui, proprio per questo, donne come Cara sentono di poter sperimentare sessualmente e incontrare persone in un ambiente molto meno aggressivo di quello di un tradizionale locale notturno.

I brunch “senza fondo” (con drink serviti a volontà) sono tra le modalità preferite nei Paesi anglosassoni per divertirsi durante il giorno, e non mostrano alcun segno di rallentamento. La società di eventi Fizzbox ha registrato un aumento del 48% delle prenotazioni, con un’impennata delle ricerche di esperienze più insolite. Ora ci sono brunch dedicati ai gamer e agli emo, e di recente anche lo Swiftogeddon ha lanciato il suo menu personalizzato.

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A ognuno il suo divertimento

Il problema è che titoli come “la generazione più sobria della storia” raggruppano milioni di noi in un’unica definizione. Durante la stesura di questo articolo, parlando con alcuni trend forecaster, ho ricevuto risposte generiche come: «Ai giovani piace lo yoga, quindi potremmo assistere a un futuro in cui le discoteche si trasformeranno in spazi misti con corsi di fitness serali». Sono sicura che, per alcuni, sarebbe una serata da sogno. Ma per me? Assolutamente no. Ognuno di noi è diverso — che si tratti di sessualità, cultura o educazione — e questo è un discorso sempre più frequente al giorno d’oggi. C’è sempre più accettazione dell’individualità altrui e maggiore inclusione al suo interno. Se anche le feste e le discoteche continueranno a muoversi in questa direzione, spero di vedervi presto su una pista da ballo.