Quando ci allontaniamo dal nostro paese per immergerci in culture profondamente diverse, uno dei problemi ricorrenti riguarda la comunicazione. Come farsi capire se manca una lingua comune? In che modo trovare un punto d’incontro? La cucina, in tal senso, può rivelarsi fondamentale, creando connessioni che non poggiano sui classici alfabeti, bensì sugli ingredienti, sull’intreccio di sapori. «D’altronde il cibo è un linguaggio universale, il primo che impariamo attraverso l’allattamento materno», ci ricorda la chef Victoire Gouloubi, tra i protagonisti di Top Chef - Season 20, l’edizione World All-Stars del celebre talent show culinario, disponibile in escluiva su Hayu, la prima e unica piattaforma dedicata ai reality. «I piatti in tavola possono essere un ponte per scambiarsi conoscenze. I miei, ad esempio, uniscono Africa e Italia».



Si dice che uno chef debba tenere stretto il ricordo della prima volta che ha cucinato, quando era una questione d'affetto e non di lavoro. Te ne hai memoria?
«Francamente no. Io sono diventata chef in Occidente, ma ho iniziato a cucinare in Congo, abilità fondamentale per accedere alla società. Lì, infatti, la cucina è matriarcale, in casa si cucina per chi è dietro di noi: quindi, su indicazione di mia mamma, preparavo i pasti per i miei fratelli, ma non saprei dire nello specifico né un primo piatto, né una prima volta».

Nel 2001 sei arrivata in Italia e ti sei iscritta all’Istituto alberghiero: di quel nuovo inizio, invece, che ricordo hai?

«La sensazione di sentirsi parte di una famiglia. Venivo da un Paese dilaniato dalla guerra, integrarsi i primi tempi non è stato semplice: entrare in una brigata, vedere lo chef che ti dà un compito, lavorare in gruppo per un obiettivo e poi sedersi tutti insieme a mangiare per me è stato importante. Anche perché mi collegava alla mia cultura, dove non si cucina mai per una persona soltanto».



C’è una pietanza delle tue origini che ti è rimasta particolarmente nel cuore e un piatto che ti ha colpito subito quando sei arrivata in Italia?
«Mi porto dietro tutti i piatti della mia terra, che sono un mosaico di sapori: abbiamo una tradizione variegata, legata a verdure, sughi, impossibile selezionarne uno. Invece ho ancora ben impressa nella mente quella lasagna ai carciofi che mangiai il giorno stesso che sono atterrata a Verona: mio zio mi venne a prendere in aeroporto, mi portò in una trattoria e lì assaggiai qualcosa che per il mio palato era una novità assoluta».

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Photo courtesy
Victoire Gouloubi



Da quel primo pasto italiano, hai studiato, fatto la gavetta, poi è arrivato il boom di popolarità: tu, già finalista dell’edizione italiana, che cartolina ti porti dietro di Top Chef - Season 20?
«Posso raccontare un siparietto molto divertente con due miei colleghi durante una prova: io non parlo l’inglese come il francese e l’italiano, quindi loro mi chiedevano cose diverse, contemporaneamente, e io ero pietrificata. Ad un certo punto ho pensato che uno mi stesse parlando in tedesco, che io non conosco. In realtà stava parlando inglese. Se ci ripenso, ancora ci rido perché è stato bello: appena abbiamo messo gli ingredienti sul tavolo ci siamo capiti. Si torna al discorso di partenza, abbiamo comunicato attraverso il cibo».

Stando sui tuoi colleghi, appunto, ci sono in gara 16 grandi chef, la metà sono donne: come siamo messi, secondo te, riguardo il gender gap in cucina?

«Allora, in occidente si cominciano a vedere donne, riconosciute e affermate, che gestiscono la brigata. Nell’altra parte del mondo, dove io da anni porto avanti una battaglia, purtroppo non è così. Anzi, ho notato che anche in occidente ci sono poche donne afrodiscendenti che si affermano in cucina, come se avessimo qualcosa in meno in termini di creatività. È quel “come se” che fa la differenza e fa capire che c’è ancora discriminazione nel mondo gastronomico verso le donne».


E riguardo ai talent show culinari, secondo te quali sono pro e contro del boom che c’è stato nell’ultimo decennio?
«Il rischio principale è che si semplifichi il mondo della cucina: non basta comprare tre ingredienti e seguire una ricetta presa online. Dietro c’è uno studio a 360 gradi, che appunto va al di là degli ingredienti: la cucina non è solo ciò che si vede. Certo, noi facciamo un programma tv, ma siamo professionisti che veniamo da anni di lavoro e ci possiamo permettere di mostrare solo il lato leggero. Anche il boom dei social, in questo senso, non aiuta, perché dà la possibilità a tutti di esprimersi in un settore che invece richiede estrema preparazione».

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Top Chef



Per la serie «non si finisce mai di imparare», cosa resta nel tuo bagaglio di conoscenze dopo l’esperienza a Top Chef? In una frase.
«Che esiste un gusto personale, condizionato dal proprio vissuto».


Torna il tema delle differenze e dell’importanza di trovare, attraverso il cibo, un punto d’incontro. Chiudendo, in quest’epoca caratterizzata purtroppo dai conflitti, la cucina può essere un elemento pacificatore?
«Certamente, perché permette alle persone di avvicinarsi. Di scambiarsi cultura, ma anche amore. Io ricordo che durante la guerra, in Congo, abbiamo vissuto per otto mesi nella foresta del Mayombe e lì abbiamo conosciuto i pigmei che ci hanno insegnato a rispettare la natura raccogliendo le bacche solo in un certo periodo dell'anno. Ci dicevano poi che non potevamo uccidere gli animali in maniera indiscriminata, perché l’ingordigia rischia di ammazzare il pianeta. Ecco, credo quindi che la cucina possa diventare fondamentale se veicola il valore del rispetto».

I nuovi episodi di Top Chef: World All Stars sono disponibili su Hayu ogni venerdì.