Interno giorno, casa mia, domenica d’inverno. Le mie amiche e io, sedute sul tappeto davanti a un tè caldo e una quantità oggettivamente imbarazzante di biscotti al cioccolato. Argomento del giorno: il solito. Ovvero un tizio che, dopo aver stordito L. con mail melense e profonde, dopo averle fatto intendere che una cena al ristorante messicano sarebbe stata risolutiva (e lei ci ha creduto e ha accettato, nonostante ci metta in media tre settimane a digerire un burrito), non si è fatto più sentire.

«Perché non mi chiama? Perché perché perché?», L. è chiaramente entrata in loop sentimentale. Ci hanno anche provato gli sceneggiatori di Sex and The City a fornirci una risposta convincente in quel libro, diventato anche un film, La verità è che non gli piaci abbastanza. Niente: tra l’enunciazione della verità e l’accettazione della stessa c’è un abisso oceanico. I motivi per cui gli uomini si comportano come si comportano resta un mistero per sondare il quale ci ostiniamo a impiegare le nostre migliori intelligenze.

«Lascialo perdere, L. Eri innamorata?», domando io.

«Macché, ci siamo visti tre volte»

«E allora perché ci stai così male?»

«Perché era il primo uomo con cui uscivo dopo mesi»

«E quindi?»

«E quindi… una donna ha bisogno di un uomo per sentirsi tale. Io senza un uomo mi sento sola, mi sento inutile».

G. appoggia con poca grazia la tazza di tè sul piattino. Si prepara all’attacco, lo so.

«Ti senti inutile? Mi stai dicendo che tu, con la tua laurea, il tuo lavoro, le tue amiche, i tuoi interessi, per sentirti utile hai bisogno di un uomo?»

«Be’ sì. È normale, no?». L. ci guarda con aria smarrita. G. guarda me. Io guardo fuori dalla finestra.

La questione è sul tavolo da decenni: negli anni Settanta le femministe sostenevano che «Una donna ha bisogno di un uomo come un pesce di una bicicletta», ma anche senza sposare questa visione, senza dubbio pittoresca ma estrema, la domanda è attuale: abbiamo davvero “bisogno” di un uomo? Cioè: siamo davvero delle metà in cerca di un’altra metà per formare la mela intera?

G. pensa che questo approccio sia limitante: lei è convinta che avere un uomo accanto sia divertente, ti appaghi sessualmente, stimoli la progettualità e a volte anche la creatività. Ma se non c’è, amen. Ci sono tante altre cose nella vita.

È per questo che G. è diventata in fretta la mia guru. Sembra aver capito della vita molte più cose di me. L. è all’opposto: passa da una relazione all’altra e, negli intervalli, esce ogni sera cercando ossessivamente di incontrare quello che potrebbe essere “giusto”. Senza un maschio si sente niente.

E io? Io sto in mezzo. Con la testa credo che G. abbia ragione. Ma il mio cuore, con tutte le sue fragilità, in fondo è solidale con L. e la sua visione romantica dell’esistenza. Che dovrà pure avere un suo perché, se è così diffusa: in fondo, di donne che si vivono la singletudine fischiettando ce ne sono poche. Rifletto su questo ad alta voce.

Mi risponde G.: «Il fatto che ci abbiano convinto, a partire dalle favole che ci raccontavano da bambine, che la pienezza della nostra identità dipenda dalla presenza di un uomo accanto a noi, non significa che dobbiamo crederci per sempre. Ragazze, svegliamoci, per favore!».

L. prende un biscotto e, credendo di non essere vista, sbircia di sottecchi il cellulare per vedere quanto campo c’è. Sospira.

G. se ne accorge: «Sì, vabbè, buonanotte…» e infila il naso nella sua tazza di tè. L. fa lo sguardo da cane bastonato: «Ok, forse hai ragione tu. Però… perché non mi chiama?».

Alla fine, l’unica soluzione che mi viene in mente per placare la sua angoscia è di proporle una strategia d’attacco:

«Se ci stai così male, non aspettare. Chiamalo tu».

«Dici che posso?»

«E chi te lo impedisce?».

Aveva bisogno di una spinta, tutto qui.

Si alza e si infila in cucina a telefonare.

Quando torna, ha un appuntamento per la sera. Ha dovuto proporlo lei, ma poco le importa.

Io e G. lo sappiamo che questo tizio fa parte della nutrita schiera di cialtroni, narcisi ed egocentrici che chissà da quando, chissà come mai, invadono le nostre città, le nostre vite, i nostri letti e i nostri cuori. Non è il primo, non sarà l’ultimo. E tra una settimana saremo ancora qui, stesso posto, stessa ora, ad ascoltare la stessa lamentela. Garantito.

Ma tra le poche cose di cui sono certa c’è che nessuno può trasmetterci la propria esperienza e le proprie convinzioni. Dobbiamo arrivarci da sole. Un errore dopo un altro. Ed è per questo che, prima che le ragazze se ne vadano, allungo a L. il mio bracciale di corallo che le piace tanto, e che mi ha sempre portato fortuna: «In bocca al lupo, tesoro», le dico.

E se domenica prossima saremo ancora qui, pazienza. Le amiche, anche quelle romantiche al limite della tonteria (e del masochismo), sono e saranno sempre le benvenute.

***

Leggi tutti gli episodi precedenti de "I diari del materasso"