Storie d'amore da cullare, non da forzare. Verità dolorose da voler nascondere, ma allo stesso tempo da dover affrontare. Nel nuovo singolo di Clavdio, "Martedì Giovedì" c'è la voglia «di ridere, fare l'amore e non pensare più» in una situazione, comune a tanti, di interrogativi e verità dolorose. «Quante volte ci siamo abituati alla situazione e ci siamo trascinati...», racconta il cantautore romano, consapevole di una paura umana: quella capace di ancorarsi ai ricordi di un passato felice, piuttosto che accogliere le nuove sfumature che può assumere una relazione. Clavdio lo racconta con verità. I suoi pensieri sono misurati, giusti, diretti. La sua voce, che raggiungiamo al telefono, è ferma, sicura. Sa cosa dire, come dirlo, ma soprattutto cosa voler trasmettere. Cosa che ha fatto con il suo ultimo album Guerra Fredda, uscito lo scorso dicembre con Bomba Dischi da cui sono usciti artisti come Calcutta e Ariete. Lui ama scrivere, lo fa da solo, in completa solitudine, proprio come ci racconta: «A otto anni ho iniziato a "inventare" le prime canzoni. Ricordo che mi ritiravo in questo mondo di fantasia dove inventavo motivetti e canzoncine. Poi a dodici anni ho ricevuto la prima chitarra e ho iniziato a scrivere canzoni in un inglese totalmente inventato».

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Quindi la scrittura ti accompagna da sempre.

«Quando ero piccolo era un momento di evasione dalla realtà, scappavo in un mondo tutto mio, fantasticavo. La musica mi faceva stare bene. Uscivo molto poco e quando mi trovavo fuori pensavo: "comunque sia, se sento la necessità di scrivere, torno a casa"».

Ricordi i temi delle prime canzoni che hai scritto?

«Le prime erano legate molto alle emozioni, alla malinconia ad esempio. Oppure erano storie inventate con figure femminili che rappresentavano una metafora di un sentimento».

Guerra Fredda è il tuo album uscito a dicembre. Cosa rappresenta questo titolo, ma soprattutto qual è il campo di battaglia di questa guerra fredda di cui parli?

«Ho iniziato a scrivere Guerra Fredda nel 2021. Durante il lockdown ho avuto una sorta di blocco creativo, non riuscivo a scrivere, la situazione ha messo in dubbio tutto il percorso che stavo facendo. Quello “stop” a livello mondiale è arrivato in un momento della mia vita dove si stavano concretizzando tante cose. Avevo così tanti pensieri, conflitti interiori che l’album non si sarebbe potuto chiamare in altro modo. Il campo di battaglia di questa guerra fredda è sicuramente l’Umbria. Sono andato lì a vivere per quattro mesi, in un casale in montagna, l’ho fatto per distaccarmi un po’ da tutte le situazioni, ma soprattutto per scrivere».

Quindi quando scrivi senti la necessità di svincolarti dalla vita di tutti i giorni?

«Sì, la solitudine mi accompagna sempre quando devo scrivere. Prima, lavorando a Roma, ero molto più vincolato da questo luogo, ma cercavo sempre e comunque un momento di solitudine per scrivere. Per il disco precedente, ad esempio, portavo la chitarra con me al lavoro e, tornando a casa mi fermavo in macchina in posti che mi ispiravano e rimanevo lì a scrivere».

Questo album è come un diario dove ti metti a nudo e ti racconti tanto. Viviamo in un'epoca in cui i sentimenti si espongono con grande facilità sui social, ma nella vita vera si è incapaci di manifestarli. Per te quanto è stato difficile spogliarti?

«Non sono una persona che esterna le emozioni nella vita di tutti i giorni, ma le cose di cui parlo nelle canzoni sono emozioni che permeano dentro me. Quindi credo che, comunque, anche se fuori dalla musica non sono esplicito, le cose arrivino comunque. Il fatto di esprimere tutto quello che provo attraverso le canzoni è terapeutico».

Ascoltando le canzoni del nuovo album, mi è sembrato di cogliere una sorta di viaggio circolare. Si parte dalla consapevolezza delle difficoltà e si chiude con una apertura verso un nuovo futuro, al centro si attraversano amori passati, sofferenze, disorientamento. Il tutto sembra raccontare un’unica storia, un vero concept album, è stato voluto?

«Questo senso di circolarità esiste, ma è emerso alla fine di tutto il lavoro, non è stato voluto. Il primo pezzo offre uno spiraglio di luce così come l’ultimo, “Dovremmo fare sport”. Quindi inizio e finisco con pezzi positivi. Mentre nel mezzo c’è ansia, stati depressivi, confusione, disorientamento».

Ora stai lavorando ai live: inizi a Roma per poi proseguire, tra giugno, luglio e agosto, a Prato, Arezzo, Galatro Terme, Mondovì e Ferrara; quanto è importante il contatto con il pubblico?

«Le persone si ritrovano per ascoltare la mia musica, questo qualcosa di incredibile. È un momento bellissimo. Ma la cosa più emozionante è vedere le persone cantare i miei brani; a un mese dall’uscita del disco, sapevano già a memoria le mie canzoni».