Il suo nome in greco significa luminosa («È anche un aggettivo»). E lei, Fotinì Peluso, 25 anni, attrice nata nel quartiere Monteverde di Roma da madre greca e padre italiano, ne ha preso tutta l’accezione migliore: «è sempre stato un po’ ingombrante, ero la bambina col nome strano, esuberante, creativa, vivevo nel mio universo. Ma crescendo mi sono resa contro che Fotinì resta subito impresso, e non mi dispiace essere unica, anzi, credo di portarlo bene questo nome». Una voce squillante nonostante il sabato mattina e l'aria frizzante di Roma: «Sono appena arrivata da Parigi (dove vive, ndr), poi devo andare a Milano e tornare in Francia nel giro di pochi giorni. Mi destabilizzano i cambiamenti climatici, è una settimana da tour de force ma sono molto felice». Fotinì Peluso si riferisce all’uscita di Dieci minuti, il film di Maria Sole Tognazzi che la vede protagonista accanto a Barbara Ronchi e Margherita Buy. Al cinema dal 25 gennaio, è ispirato al romanzo Per dieci minuti di Chiara Gamberale (Feltrinelli) e tratta della rinascita di una donna dopo un evento traumatico (il marito la lascia e lei tenta il suicidio). Una storia al femminile: «In passato ero indifferente rispetto al raccontare storie di donne, invece sento che ce n’è necessità» spiega. «Sono fiera di aver partecipato a questi progetti, Dieci minuti ma anche La Tresse, un film francese che ora inizia a girare fuori dai confini nazionali. Entrambi parlano di donne e mi rende fiera aver condiviso queste esperienze con delle professioniste importanti». Fotinì Peluso è uno dei volti più promettenti del cinema italiano. Già vista, tra le altre cose, nella serie La Compagnia del Cigno di Ivan Cotroneo e nel film Il Colibrì di Francesca Archibugi, è entrata nel cuore dei più giovani grazie al personaggio di Nina in Tutto chiede salvezza, serie targata Netflix che sta per tornare con la seconda stagione.

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Raccontaci del film Dieci minuti e del tuo personaggio, Jasmine.

«La tematica è la riscoperta di sé da parte di una donna, Bianca (l'attrice Barbara Ronchi, vincitrice nel 2023 del David di Donatello per Settembre, ndr) che attraversa una crisi esistenziale. In questo percorso, grazie anche a una sorellastra fino a quel momento sconosciuta, si assiste a una sua crescita personale e alla sua ricollocazione nella società. Io interpreto Jasmine, la sorella di Bianca. Mi colpisce il loro status di sorelle non obbligate a esserlo - nel senso che il padre quando loro erano piccole aveva scelto la prima, nata all'interno del matrimonio, ed era sparito dalla vita della seconda, frutto di una relazione extra coniugale - ma non per questo loro due si accontentano di rimanere delle sconosciute. Affrontano il tema del trauma familiare, apprendono tante cose sulla loro vita e sul modo in cui vogliono affrontarla, e la decisione di frequentarsi da adulte assume un significato più profondo».

Anche tu hai una sorella, Beatrice, più grande di sei anni. Com’è invece il vostro rapporto?

«Adesso idilliaco, ma quando eravamo più piccole avevamo dei conflitti legati alla differenza d’età, che oggi, a 25 e 31 anni, non si sente più. Mia sorella è una delle persone più importanti della mia vita, una delle donne più coraggiose che conosco. Mi ha aiutato pensare a lei mentre giravo il film, ogni attore si appoggia alle proprie esperienze familiari, al proprio vissuto».

È bello questo tema del coraggio…

«È molto presente anche nel film. Jasmine in questo è d’ispirazione: una ragazza indipendente, forte, che si è fatta da sola perché “non era stata scelta dal padre”. È una dura, molto coraggiosa. Come Bianca che alla fine riesce a riprendere in mano la sua vita. Sono due esempi positivi».

Il lavoro che Bianca fa su se stessa è dedicarsi a una cosa nuova per dieci minuti al giorno. Tu, nella sua situazione, cosa sceglieresti?

«Mi piacerebbe fare immersioni, per superare una delle situazioni che solo a pensarci mi mettono paura. Tra le cose che ho sperimentato recentemente invece ci sono l'arrampicata da interno su una parete senza funi, e ho iniziato a viaggiare da sola. L’anno scorso sono andata in India, all’inizio è stato strano, ero a disagio, ma superato il primo momento, è stato tutto bellissimo. Ora sto programmando il prossimo giro, vorrei visitare il Vietnam».

Cosa pensi dei tuoi coetanei?

«Non mi piace il luogo comune dei ragazzi nullafacenti. Trovo che la mia sia una generazione con tantissime possibilità legate ai viaggi, all’internazionalità. Possiamo davvero prendere il mondo per mano, ed è una risorsa di cui farci carico: conoscere altre culture e altri luoghi ci rende cittadini del mondo e persone migliori. Vedo parecchia disperazione a livello socio-politico che a volte mi fa perdere la speranza ma il cambiamento parte da noi».

Ti senti parte di questo cambiamento?

«Tutti ci siamo dentro, inutile negarlo. Io non sono una da grandi azioni – o forse sì - ma anche il cambiamento più rilevante inizia sempre dalle piccole cose. Negli ultimi due anni sto cercando di affrontare il mondo in maniera diversa, con uno sguardo non indifferente, con l’intenzione di accettare il prossimo senza essere giudicante e di trovare il piacere della vita nella nostra quotidianità. Già questo per me è cambiamento».

Tutti i tuoi ruoli si avvicinano per un’attenzione alla salute mentale. È un caso?

«No, attiriamo le storie che ci attirano, c’è una reciprocità tra attori e personaggi. Non sono ruoli che mi sono scelta ma i temi li sento molto vicini a me, c’è una sorta di magnete, mi capitano sempre storie che voglio e avrei voluto raccontare. E in questo senso il dramma, rispetto alla commedia, mi dà più possibilità di esprimermi».

Tutto chiede salvezza ha normalizzato il disagio generazionale. Quanto ti riguarda questo argomento?

«Ci sono tante cose che frullano nella testa dei ragazzi, argomenti di cui non siamo al corrente, perché alla fine è più facile assecondare le richieste della società: seguire il flusso di cose da fare, di corsa, senza concentrarci veramente su quello che proviamo, su come stiamo o su come ci sentiamo. Le emozioni sono messe costantemente in secondo piano. Al liceo mi è capitato molte volte di cogliere un disagio nei miei amici in momenti per loro difficili. Ma è capitato anche a me stessa: non siamo capaci di esprimere la nostra fragilità e questo ci crea uno scompenso. Parlarne è una delle chiavi di risoluzione più importanti ed è il messaggio di Tutto chiede salvezza: tornare a un’umanità, fermarsi e privilegiare i sentimenti piuttosto che le richieste dall’esterno. Nella seconda stagione usciremo dall’ospedale che abbiamo conosciuto per approfondire di più le dinamiche interpersonali tra i vari personaggi».

In un’intervista ti sei aperta sui disturbi alimentari di cui hai sofferto da ragazzina e sul trauma che resta lì, presente.

«Non è una cosa rara caderci, soprattutto se ragazzi e se sottoposti a un confronto continuo e fittizio con un’immagine che non corrisponde alla realtà, a causa dell’accesso interminabile alla tecnologia. Quando si hanno 15 o 16 anni, e si è in un periodo di pressione psicologica, è facile sfogarsi su se stessi, darsi la colpa di tante o di tutte le cose che non vanno nel mondo. I disturbi alimentari sono stati una fase che ho attraversato, un trauma che in quanto tale mi ha formata, che ha contribuito a definire la persona che sono adesso, l’adulta che sono diventata. Ne ho parlato in un'intervista riferendomi a un periodo del passato ma non c'è nulla da superare, non mi piace quest'espressione come se dovessimo arrivare da qualche parte, dopo aver affrontato il problema. Quello che conta davvero è come ridefiniamo il nostro quotidiano e noi stessi alla luce di queste esperienze. Come ci conviviamo».

La Grecia, l’Italia, la Francia. Cosa ti arriva da ognuno dei “tuoi” Paesi?

«Una ricchezza enorme. Mi dà tantissimo il fatto di poter cambiare nazione, lingua, conoscere gente che arriva da tutto il mondo. La Grecia è legata alla mia infanzia, alla nonna e ai parenti da parte di mia mamma. L’Italia è stata determinante nella mia adolescenza, qui ho avuto le mie prime relazioni, ci sono visceralmente attaccata. La Francia invece rappresenta un po’ la maturità, il dopo rispetto al periodo dell’università ma anche il passaggio post Covid, la collego a un bisogno di evasione rispetto alla staticità della pandemia e alla sensazione che io associavo alla città in cui sono nata. La voglia di staccare dall’ambiente in cui ero cresciuta».

E per il futuro, dove ti vedi?

«Credo che nel giro di cinque anni potrei essere ovunque, non c’è un posto che mi attrae più di un altro».

Neanche Hollywood?

«Pensavo dicessi Bollywood, ed ero pronta a dirti che mi piace tantissimo, anche più di Hollywood. Ma dico sì anche all'America, perché no? Inteso come luogo diverso, qualcosa di nuovo da scoprire».

Se volessi fare un regalo a te stessa cosa sarebbe?

«Cercare di essere felice ogni giorno, un gesto che per me passa dalle piccole cose, non per forza dai grandi atti. E io ci provo, continuamente».