Ha una nuova casa che sta finendo di ristrutturare, due nonne – Rosalba e Imma – che chiamano a ripetizione durante la nostra intervista («Parliamo di pornografia, di sesso, di odio e di guerra, e grazie a loro sono pronta ad ascoltare cose diverse e a trovare la formula giusta per venirsi incontro»). E poi c’è Fiamma, l’adorato cane che per lei è famiglia. Nicole Rossi è colorata, sfaccettata come le anime che riempiono la sua vita, comprese le amiche del liceo a cui si è ispirata per Asia, il personaggio conosciuto in Skam Italia 5 e diventato protagonista della sesta stagione della serie targata Netflix, fuori dal 18 gennaio. Nata a Roma 23 anni fa, Nicole ha esordito giovanissima in tv: Il Collegio nel 2018, Pechino Express nel 2019 (edizione che ha vinto in coppia con Jennifer Poni). E poi i libri: Isolament(e)o, Il diario che non ho MAI scritto (DeAgostini 2020, diventato il libro più venduto di quell'anno su Ibis) e Arya (Sperling & Kupfer 2022), un romanzo su una giovane attivista politica che ogni giorno combatte per far valere i suoi diritti e diffondere le sue idee. Infine la trasmissione radiofonica Feel Rouge (tutti i sabato su No Name Radio) e una commedia romantica che vedremo nei prossimi mesi, sequel di un fortunato film del 2021. Intanto, a pochi giorni dalla messa in onda di Skam Italia 6, l’attesa cresce: «Vedrò la prima puntata a casa, con i miei amici, parte del cast e tante birre per brindare», racconta l’attrice. «Sarà molto emozionate, mi piace rivedermi quando faccio un lavoro».

nicole rossi cover digitalepinterest
Alessandro Rabboni
Stylist Floriana Cipriani, look Moschino, gioielli Bernard Delettrez, hair stylist Look total brand, make up artist Valentina del Monte.

Come hai affrontato questa nuova esperienza?

«Mi sono buttata nelle braccia degli attori che già ci avevano lavorato e tutti mi dicevano la stessa cosa: “Dopo due giorni su questo set, Skam lo sentirai dentro e non ci sarà bisogno di farti troppe domande”. La verità è che mi sono fidata di qualcosa che era già rodato, ma con la paura di dover fare i conti con un pubblico molto affezionato».

Avevi visto le altre stagioni?

«All’inizio ne avevo preso le distanze: temevo che fosse l’ennesimo racconto di adolescenti americanizzati. Poi ho visto la quarta stagione, quella di Sana (interpretata dall'attrice Beatrice Bruschi, ndr), volevo approfondire la storia di una ragazza musulmana, il suo punto di vista. Da lì ho ricominciato dalle primissime puntate: quello che mi colpiva era rivivere alcune scene che avevo vissuto io, come accompagnare una compagna di classe al consultorio. E sentire gli stessi discorsi che facevo con le mie amiche. Ammetto che anche per me in breve tempo è diventato un cult».

È una serie che segna un prima e un dopo. Sei d’accordo?

«Sì, Skam Italia ha avuto il coraggio di non raccontare quello che gli adulti vogliono sentirsi dire degli adolescenti ma quello che i ragazzi dicono davvero. Prima, c’erano solo prodotti per bambini, o serie per genitori che volevano provare a conoscere i loro figli, ma nessuno in Italia investiva sul target degli adolescenti».

Qual è il fil rouge che lega Asia e Nicole?

«Nella quinta stagione Asia è la me sedicenne: anch’io io ero sempre così incazzata con il mondo, con la rabbia che esplodeva per ogni ingiustizia. Facevo di tutto per trovare una soluzione come se la responsabilità delle cose che non andavano fosse sempre sulle mie spalle. Nella sesta stagione invece Asia si svela più acerba ma finalmente cerca il confronto e il conforto nell’altro, vuole lo sguardo dell’altro. Per quanto riguarda Nicole, questo è un percorso che io ho già fatto su di me, quindi Asia è una mia versione che sta crescendo. Poi come in tutte le stagioni, essendo lei la protagonista avrà da scalare una montagna prima di riuscire a comprendersi davvero».

Skam Italia è la tua prima esperienza da attrice. Hai trovato la tua forma d'arte?

«In realtà io ho iniziato con il teatro, interpretando Medea a soli 14 anni. Cercavano un’attrice in stile Amy Winehouse e io ero molto piccola per un personaggio così complesso. È stato difficile ma io ho sempre voluto fare l’attrice anche se crescendo ho capito che la coerenza è una grande stronzata che ci raccontiamo, è bello sperimentare e provare tutti i canali comunicativi. Arrivare all’arte pura è impossibile, si può solo capire quale ti è più funzionale in un determinato momento della tua vita».

Cosa vorresti si dicesse di te dopo Skam Italia?

«Spero che si parli solo di Asia, e che Nicole Rossi riesca finalmente a lasciare spazio ai suoi personaggi».

A proposito di Nicole, con te nelle interviste torna sempre il tema del corpo: cosa rappresenta visto che l’hai sempre esibito in maniera un po’ sconsacrata?

«Questa è la domanda della vita. È vero, l’ho sempre esibito ma mi sono resa conto di averlo trattato male, come direbbe la mia psicologa. Se avevo dei lavori da fare lo mettevo in secondo piano, mi concentravo sempre dal collo in su, sulla testa, sul pensiero. Mentre ora sto imparando a riprendermi i miei spazi: dopo aver amato il mio corpo senza comprenderlo ora gli voglio bene. E non ammetto più, per esempio, che un pranzo duri solo cinque minuti».

Immagino i commenti…

«Guarda, chiunque di noi ha avuto a che farci. Io soprattutto attraverso gli occhi di altre persone. Fisicamente mi sono sempre piaciuta, ma ho avuto difficoltà ad accettare i commenti nei riguardi del mio corpo, anche per strada, non solo sui social. “Le ossa le dò al cane” è una delle frasi che mi sono state dette tante volte, perché sono stata sempre molto magra. E quello che mi ha sempre stupito è l’indelicatezza delle persone nell'entrare in qualcosa che è così così sacro, il corpo. Anche solo con una battuta che in realtà è un atto violenza. Quando mi guardo allo specchio io vedo me, senza nessuna pretesa e nessuna richiesta. Vorrei che fosse così per tutti».

C’è un altro disagio, quello mentale, di cui tu hai parlato e parli con grande onestà.

«La prima volta l'ho fatto in modo spontaneo quando ho iniziato a soffrire di attacchi di panico, appena compiuti 18 anni. Questa sincerità credo però che mi sia tornata indietro con un effetto gong. Per questo ora tengo delle cose nel mio privato. Del resto anch’io ancora non mi capisco, cosa posso dire alle altre persone? Che è bello cercare di decifrarsi anche se è doloroso: ecco, "un passo alla volta" è l’unico motto che mi sento di condividere. Quando ero più piccola cercavo conforto negli altri, ero spaesata e usavo l’unica cosa che avevo in mano, il telefono. Poi ho capito che era meglio appoggiarmi alla rete familiare e agli affetti che avevo intorno. Il telefono può essere un grande amico ma anche un fortissimo nemico».

Credi di essere cresciuta troppo in fretta?

«Sì, per la vita che ho fatto. Prima c’è stata la corsa enorme a perdere la verginità, poi a bere più dell’amico maschio. Poi ancora a capire che volevo fare da grande e a raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissata. È stata tutta una corsa, ma la crescita è un’altra cosa, vuol dire comprendere le tappe della vita, mentre io le ho solo raggiunte e bruciate. Adesso sto tornando indietro e ripercorrendo tutto piano piano».

In questa rinascita c’è la tua nuova casa, la tua prima vera casa.

«Sto facendo i lavori di ristrutturazione, mi trasferirò a fine mese e non vedo l'ora. Per me è un passo importante, essendo cresciuta con due sorelle avere uno spazio mio è sempre stata una priorità. Ma è una gran fatica, difficile per i ragazzi giovani. Le mie amiche non riescono ad avere un mutuo a meno di non essere in due, e questa cosa è ingiusta e ridicola. Una forma di borghesia».

Qui viene fuori la Nicole attivista.

«L’attivista dedica la sua intera vita a una o due cause, io semplicemente non riesco a trattenermi se vedo delle cose ingiuste. È un’indole che è nata a scuola, quando sono diventata rappresentante d’Istituto, sapevo capire quando una cosa era sbagliata e a dirla bene, a renderla comprensibile a tutti».

È anche il tema del tuo secondo libro. Parla di te?

«Arya racconta una mia fase di vita, ma soprattutto un tipo di attivismo che non ho mai sentito mio, l’attivismo performativo. Ho cercato di rendere reale quello che vedevo su Twitter e sugli altri social, ho raccontato di un’attivista controversa con cui puoi essere d’accordo o meno ma che alla fine ti fa porre delle domande su quello che stiamo costruendo o decostruendo in questo mondo».

Ti sei ammorbidita rispetto al passato?

«Sì, non ne sono completamente felice ma credo che anche questo voglia dire diventare grandi, no? Quando inizi a capire che c’è pure l’altro e che devi esser più aperto per farti toccare dalle mani che si avvicinano a te, ché non tutti ti vogliono dare tutti schiaffi ma anche carezze».

Cosa pensi degli hater?

«Noi non siamo la legge, tutti meritano di poter avere un’arringa davanti a un giudice e in un mondo utopistico non potremmo mai condannare nessuno con le nostre opinioni, che non dovrebbero mai essere lame ma solo qualcosa di positivo. La realtà invece è che i social sono democrazia nel senso più violento del termine: nessuno merita una shitstorm perché è violenta e incontrollabile, ma i social sono un mare e conviene imparare a nuotarci dentro piuttosto che sperare di non incontrare gli squali».

Pregi e difetti della tua generazione?

«Coincidono e sono il fatto che non ci accontentiamo più, che sappiamo cosa il mondo ci può offrire, che siamo disposti ad affrontare la paura pur di prenderci quello che vogliamo. Ma con tutte le strade che abbiamo davanti se non c'è una persona che ci guida nella scelta o un’educazione per capire in che direzione vogliamo andare ci troviamo spiazzati e tutta questa libertà ci si rivolta contro. Il nostro pregio e difetto sta nella fluidità, nella libertà. Il fluido prende la forma del contenitore, ma noi più che il liquido dobbiamo imparare essere ciò che lo contiene. Gli adulti ci hanno fatto immaginare che il tempo è nemico, mentre i social hanno dilatato il concetto della scadenza: ora si sa che puoi cambiare vita anche a 50-60 anni quindi basta - per favore - con l’ansia».

Cosa ti suscita il ricordo di Nicole bambina?

«Mi facevo tanta tenerezza perché non ero mai totalmente inclusa nel gruppo, mi sentivo speciale, una stella, e questa cosa mi emarginava dagli altri. Ma ero anche una figa perché sono sempre riuscita a mantenere le mie idee e a non farmi condizionare dagli altri».

E tra dieci anni dove siamo?

«Innanzitutto spero di stare bene. Sul lavoro voglio continuare così, con calma facendo cose di cui sono orgogliosa. Per la vita mi immagino in un posto caldo come le Isole Canarie, Tenerife per esempio. Lì vorrei aprire un chioschetto e vivere sei mesi a Roma e sei al caldo, col mio cane e con tutti gli altri che troverò sulla mia strada».

Un'ultima battuta sulla moda. Ti diverte?

«È estro, mi piace l’esagerazione e credo che si veda. La moda è un modo per sentirmi diversa, una forzatura anticonformista in cui mi trovo a mio agio. Voglio che la gente mi guardi e mi dica: "cosa indossa?". Non mi interessa essere bona, preferisco essere strana».