Simpatico, chiacchierone (la premessa è: «Stoppami se parlo troppo»), meticoloso fino ad associare la parola “studio” a ogni suo personaggio, Giancarlo Commare è il ragazzo dal sorriso aperto che ti aspetti di trovare in chi è consapevole di vivere il sogno della vita. 31 anni, siciliano, l’attore è diventato famoso per il ruolo di Edoardo Incanti in Skam Italia (ma di lui non parleremo solo a fine intervista perché «fa parte del passato») e per la fiction Rai Il paradiso delle signore. Da lì ha inanellato una serie progetti di grande successo: Maschile singolare, I bastardi di Pizzofalcone, Romulus 2 sono solo alcuni titoli che lo vedono protagonista. E se guardando indietro la lista è ricca, il futuro non è certo meno generoso. Una serie terminata nel 2022 sul caso di Avetrana (fatto di cronaca del 2010), uno spettacolo teatrale in partenza a novembre (1984, adattamento dell’omonimo romanzo di George Orwell), e ben due film alla Festa del Cinema di Roma (in programma nella Capitale dal 18 al 29 ottobre): Eravamo Bambini di Marco Martani e Nuovo Olimpo di Ferzan Özpetek. «Ci andavo come pubblico, e sempre mi dicevo che avrei voluto essere dall’altra parte. Quest’anno ce l’ho fatta, e in un’unica occasione posso mostrare due interpretazioni diverse tra loro. Mi piace sperimentare e vedermi in tante storie».

giancarlo commarepinterest
Vincenzo Valente
Giancarlo Commare è la nuova cover digitale di Cosmopolitan. Foto di Vincenzo Valente. Hair e Make up Claudia Ferri per Ysl beauty make up, hair Artego.

A proposito, oggi sei nel day off di una storia ancora diversa. Cosa stai girando?

«Sono sul set del nuovo film di Michele Placido, Eterno visionario. È una storia quasi inedita di Luigi Pirandello perché lo si vede da un altro punto di vista. Il focus del film è sulla sua famiglia e io interpreto Stefano, il figlio maggiore, sempre al fianco di suo padre fino a limitarsi lui stesso. Quasi nessuno lo sa, ma anche Stefano avrebbe voluto scrivere. Ma per supportare il padre che amava e stimava come artista non ha fatto altro mettere un freno alla sua di arte. È un personaggio stupendo, il più complicato che mi sia trovato ad affrontare. Come attori siamo abituati a portare fuori le emozioni, qui invece ho dovuto lavorare su un carattere che trattiene i sentimenti anche a se stesso».

Si avvicina in qualche modo al tuo vissuto?

«No, è completamente un altro tipo di esperienza, un terreno che non conoscevo ma grazie a un po’ di studi sul personaggio ho trovato diversi spunti. Ho letto tante tesi di laurea che approfondiscono la storia della famiglia di Pirandello, ho trovato le lettere che il padre e i figli si scrivevano. Ho capito cosa vivesse internamente Stefano rispetto a quello che faceva vedere fuori, perché era dovuto crescere prima del tempo, con una madre ostaggio di una pazzia che lui vedeva e riconosceva, forse a tratti anche in sé».

Il rapporto con Michele Placido com’è?

«Sono onorato di trovarmi in questo progetto. Lui è un grande professionista, educato, un signore d’altri tempi. Ho scoperto che gli piace tanto mangiare, è di buona forchetta, mia mamma gli ha fatto la caponata».

Tra le tue prossime uscite c’è la serie Disney+ Qui non è Hollywood sull’uccisione di Sarah Scazzi. Tu sei Ivano, uno dei personaggi coinvolti nell'inchiesta. Che ricordo hai di quest’esperienza?

«È stata una bellissima prova perché il tema non è per niente semplice da affrontare. Si parla di un delitto avvenuto più di dieci anni fa, che è nella memoria collettiva. Sul set la vivevamo in maniera strana perché al trucco c’era sempre una grande festa quasi per esorcizzare quello che andavamo a girare. Le scene infatti richiedevano uno stato di concentrazione importante, c’era anche la difficoltà dell’accento (i fatti sono avvenuti ad Avetrana, in provincia di Taranto, ndr), per questo abbiamo avuto un coach».

Guardiamo avanti. In calendario c'è la Festa del cinema di Roma. Il primo dei due film con cui partecipi è Eravamo bambini di Marco Martani.

«È un incontro tra me e il regista. Questo film nasce come monologo teatrale e mi ha subito coinvolto per avere dei sapori diversi, più da thriller. È la storia di un gruppo di ragazzini che crescono insieme in un paesino della Calabria, poi a seguito di un avvenimento questi bambini non si vedranno più per un bel po’ di anni, finché saranno costretti a ritrovarsi…».

Da un thriller a Nuovo Olimpo di Ferzan Özpetek, un po’ il battesimo del fuoco per chi fa il tuo mestiere.

«Pensa che il primo film che ho visto al cinema insieme a mia madre è La finestra di fronte (pellicola dello stesso regista del 2003, ndr). Per me è stata un’occasione incredibile. Il mio è un piccolo ruolo, all’inizio dovevo esserci solo in due scene ma lavorando insieme, Özpetek ha apprezzato il mio modo di fare e ha aggiunto altre scene sviluppando il carattere all’interno del film».

Ti stai preparando al red carpet?

«Me lo voglio vivere bene perché non sono mai stato troppo abituato a godermi i successi, a dirmi che ero bravo. Succedeva che mi affannassi per dimostrare non so cosa, per correre sempre da qualche parte solo perché non mi sentivo mai abbastanza».

Come maneggi il tema del fallimento?

«Prima lo vivevo male: sono sempre stato critico nei miei confronti, pretendo tanto da me stesso, ma oggi se non riesco a fare qualcosa abbraccio il fallimento, lo accetto. Quando ero più giovane "rosicavo" perché non mi accadevano determinate cose e succedevano magari ad altri. Ora gioisco del successo altrui e mi dico che che magari è solo questione di tempistiche, e questo non è il momento giusto per me».

Riesci a restare impermeabile ai personaggi che interpreti?

«Ho imparato a liberarmene fuori dal set ma non ti nego che se al lavoro vivo delle scene toste ne esco svuotato, perché uso il corpo e la mente. Mi è successo recentemente: ho capito che mi devo trattare in un certo modo. Mi sono sempre un po’ sporcato per questo mestiere, ma il risultato sono due ernie che sto curando e tanti dolori dovuti ai tacchi alti a teatro, 15 cm senza le protezioni. Ora capisco voi donne!».

Il riferimento è al musical Tutti parlano di Jamie, che tu hai definito una «rivoluzione gentile» (è la storia di un ragazzo che sogna di diventare una drag queen, ndr). Perché?

«Perché ci dovrebbe portare a riflettere sulle cose sane piuttosto che continuare a fare guerre inutili che io sono arrivato a non comprendere più. Nel 2023 con gli strumenti che abbiamo, il mondo sempre connesso e la possibilità di vedere molte più cose della nostra piccola quotidianità, non capisco come l’essere umano si ostini a emarginare il diverso invece di abbracciarlo. È difficile, non sempre si riesce, ma non per questo bisogna smettere di provarci».

Sei bravo, bello e anche saggio. I tuoi hobby?

«Leggere, guardare le serie tv, andare per mostre. Non passo mai un'intera giornata nel letto, devo fare delle cose. E poi mi piace ballare e la musica, come se fossi a un dj set. A teatro ho cantato, chissà…».

C'è altro che vuoi aggiungere sul tuo lavoro?

«Fin da piccolo volevo diventare un bravo attore, non famoso ma soprattutto bravo. Perché sento di avere una responsabilità quando si tratta di emozioni, le mie e quelle di altre persone: il pubblico si può riconoscere il quello che vede e questa cosa io la devo trattare con rispetto, e senza giudizio. È quello che provo a fare ogni giorno».