Fortissimo, molto più di un pugno nello stomaco. E soprattutto bellissimo. Il figlio di Saul, vincitore dell'Oscar come migliore pellicola straniera, è un film che devi assolutamente vedere perché ti può aiutare a capire meglio quel terribile capitolo della storia che ha visto lo sterminio di migliaia di ebrei nei campi di concentramento. Per non dimenticare. Sarà nelle sale di nuovo il 7 e l'8 marzo. Leggi la recensione.

Ma prima della trama devi sapere qualcosa di più su come era organizzato Auschwitz-Birkenau per riuscire a comprendere fino in fondo tutta la lucida bestialità che ci sta dietro. In quel campo, infatti, le SS avevano istituito i Sonderkommando, ovvero gruppi di prigionieri scelti per accompagnare gli altri alla morte: li rassicuravano sul fatto che avrebbero solo fatto la doccia, li facevano spogliare e li spingevano nella camera a gas. Poi rimuovevano i cadaveri, ripulivano e bruciavano i corpi. Tutto in grande velocità: Auschwitz-Birkenau era una vera e propria fabbrica di morte a ritmi industriali, dove venivano uccisi centinaia di ebrei ogni giorno.

I Sonderkommando avevano un trattamento preferenziale perché potevano tenere il cibo che trovavano sui treni dei deportati e avevano un minimo di libertà di movimento all'interno del campo. Ma il loro lavoro era estenuante oltre che terribile. Con la certezza di essere poi eliminati a loro volta dopo tre-quattro mesi, perché le SS facevano in modo che non rimanesse in vita nessun testimone.

Saul Ausländer, il protagonista (interpretato da Géza Röhrig), è un ebreo ungherese che fa appunto parte del Sonderkommando e, mentre lavora nei forni crematori, scopre il cadavere di un ragazzo in cui crede di riconoscere suo figlio. Ed è allora che la sua vita ritrova un senso: la sua sfida diventa quella di salvare le spoglie del ragazzo e trovare un rabbino per seppellirlo. Ma la sua decisione si scontra con quella dei compagni di prigionia e il loro piano di fuga.

immagine non disponibilepinterest
Getty Images
Il protagonista del film Géza Röhrig

La storia del film nasce dalle testimonianze raccolte ne La voce dei sommersi (Marsilio editore) che riunisce gli scritti di alcuni membri del Sonderkommando di Auschwitz. Prima della rivolta armata del 1944, unico tentativo fatto dai prigionieri, quei fogli vennero sepolti sotto terra e ritrovati molti anni dopo la guerra.

La scelta del regista ungherese László Nemes è davvero unica e molto forte: segue il punto di vista di Saul, "senza andare mai oltre la sua presenza e il suo campo visivo e uditivo. E questo significa arrivare con lui fino alla porta della camera a gas, che poi viene chiusa, e ritornare solo a sterminio avvenuto. Perché", continua Nemes "le immagini di quella morte non posso essere ricostruite né dovrebbero essere toccate o manipolate in nessun modo".

E aggiunge: "Assumere il punto di vista di Saul vuol dire anche mostrare solo ciò a cui lui presta attenzione. Saul è addetto ai forni da 4 mesi, e come riflesso istintivo per proteggersi, sembra non fare più caso all'orrore in cui è immerso. Per questo tutta la tragedia rimane sulla sfondo, sfuocata, indistinta o fuori campo". L'unica cosa che conta per lui è trovare un rabbino che possa dare degna sepoltura al ragazzo: il resto, tutto, non ha nessuna importanza. E grazie a questo, quando sembra non esserci più nessuna speranza, quando pare che la morte sia l'unica soluzione, Saul riesce a ridare un senso al suo essere uomo.

immagine non disponibilepinterest
Getty Images
Géza Röhrig