Era un tempo in cui gli uomini governavano il mondo, in cui la società patriarcale vigeva in tutti i Paesi ad eccezione di qualche comunità ancora indigena al capitalismo, e in cui essere maschi era un vantaggio in tanti ambiti, dal lavoro alla famiglia, alla sicurezza. Questo tempo è oggi. In tanti, o meglio tante, ne scrivono, mentre gli uomini restano a guardare. Tutti tranne pochi: Gobbi, all'anagrafe Giuseppe Gobbi, classe 1997, non ci sta e racconta la sua storia di uomo, giovane adulto, che non si sente a suo agio nel costume che la società impone, nella virilità tossica che non gli appartiene. Per farlo sceglie il personaggio di un muratore che tra i mattoni, appunto, scrive dei versi per la sua fidanzata, che sono un racconto delle sue emozioni. Ecco cosa ci ha raccontato.

Come nasce l'idea di questo brano?

«Prima di tutto questo brano non è nato con un messaggio di fondo, ma da sensazioni istintive e da immagini che mi divertivano, essendo la scrittura la mia passione primaria. Oggi è l'unica cosa che mi rende così felice: quando scrivo una bella canzone sono felice per una settimana e non c'è altro che mi rende così felice».

Qual è il messaggio?

«L'ho scoperto negli anni, perché è una canzone che ho tenuto nascosta, e che è sempre stata richiesta da chi mi segue, ma non è mai uscita per una svariata serie di motivi legati alla produzione, alla pandemia, a tante cose. Quindi ho avuto nel tempo la possibilità di pensarci, cambiarla e di maturare insieme alla canzone, di crescere con lei. All'inizio avevo sempre questo bisogno, l'urgenza di pubblicarla, finché a un certo punto ho scoperto che il senso della canzone per me sta nel titolo stesso, "Mattoni", nel costruire, appunto, un mattone alla volta. Quando l'ho scritta, tanto tempo fa, non sapevo cosa fosse, oggi invece so che questa canzone per me significa non avere paura di mostrarmi vulnerabile».

Quindi possiamo dire che c'è una tripla lettura, legata al tuo carattere (ti descrivi), ad una crescita personale e professionale (sei cresciuto con lei), e una lettura sociale che parla dello stigma legato alla mascolinità tossica.

«Sì, ma rispetto all'ultima devo ammettere che quando scrivo un pezzo non penso mai a dover fare questa cosa per cambiare il mondo. È più un percorso egoistico, lo faccio perché mi diverte, mi piace dire i cavoli miei nelle canzoni. Questa canzone non nasce con la pretesa di rappresentare qualcosa che non sia io. Il machismo l'ho voluto usare per parlare di me, ma è fondamentale che ognuno ci veda quello che vuole vedere lui, senza sentirsi in difetto rispetto al motivo per cui l'artista l'ha scritta».

Si parla troppo poco dello stigma al maschile. Cosa significa per te essere maschio?

«Diciamo che dover essere una certa cosa mi ha fatto sentire spesso sbagliato, perché appunto questa società ci impone delle aspettative in quanto uomini. Premetto che io non sento sempre il bisogno di dire qualcosa, anche sui social tendo a voler stare in silenzio in momenti delicati, non sento di dover dire la mia. Ho cercato anche nei mesi passati di fare quello che posso fare meglio, che può aiutare me stesso in primis e gli amici che mi circondano, che spesso tendono a fare un certo tipo di battute e io in primis. Ci ho voluto lavorare su, pensare, fare un lavoro su me stesso e vomitare tutto quello che ho tenuto dentro per anni».

Cos'hanno pensato i tuoi genitori quando hanno sentito il testo?

«Sono rimasti scandalizzati perché non si sarebbero mai aspettati che loro figlio andasse ad approfondire certi temi. È un gap gigantesco rispetto alla nostra generazione, un buco che in realtà fino a pochi anni fa in realtà non mi vedeva così lontano da quello che pensavano loro. Sarà che vengo da una piccola città come Cesena, e che vivo da sette anni a Milano, una realtà che mi ha aperto la testa, ma certe cose ce le hai dentro, anche nel DNA».

La mascolinità tossica è genetica quindi.

«A volte penso di sì, visto che andiamo avanti così da secoli e secoli, millenni, con la stessa violenza. Secondo me certi comportamenti uno li ha quasi dentro, fa parte ormai del nostro DNA, altrimenti non si spiegherebbe poi il fatto che cioè la violenza va avanti così tanto negli anni. È il contrario di giustificarli. Penso che la violenza e la voglia di predominare sia anche una cosa fisiologica a volte».

Come pensi che si possa sradicare questa mentalità?

«Il mio cambiamento lo devo alla fidanzata con cui vivo ormai da quattro anni e se non fosse stato per lei di sicuro non saprei neanche la metà delle cose che so oggi. Bisogna fare rumore tutti insieme, essere arrabbiati insieme, ma non violenti, da nessun lato. Io ho avuto la fortuna di incontrare una donna che mi ha preso per mano e mi ha spiegato tutto, con amore, anche se è un'impresa titanica perché serve tanta pazienza, visti i tempi tragici. È anche vero che a volte non resta che la rabbia, che è anche motrice di cose positive, sicuramente di cambiamento».

Il testo di "Mattoni"

Quando non ti importava se lo avevo già detto
E non ti prudeva se ti sbriciolavo la vita sul letto
Io ti lancio una sfida, tu la stoppi di petto
La Fontana di Trevi mi lancia dei soldi e mi dice: "Dai, tieniti il resto"

E parlare con te è parlare col muro
Solo che il muro vuole avere ragione
E parlare con te era un posto sicuro
Finché qualcuno non mi ha sussurrato all'orecchio

Io vorrei vedere un po' tutto di te
Che a mezzogiorno il sole scalcia, mi brucerò
L'ho visto fare dentro un film, io lo imiterò
Per ridere un po' di te quando piove, che va così già da un po'

Io ti parlo a dirotto, ma tu vivi in letargo
Voglio esplodere in cielo, il mio cuore è un petardo
Sono senza cintura e sto guidando distratto
Sei una favola che fa paura, sei un film di Tim Burton

Non so com'è successo, ma infilandoci un dito
Ho scoperto che alcune ragazze nascondono l'anima nell'ombelico

E poi finalmente ho capito qualcosa di te
Che a mezzogiorno il sole scalcia, mi brucerò
L'ho visto fare dentro un film, io lo imiterò
Per ridere un po' di te quando piove, che va così già da un po'
Mangio mattoni, poi tu pensa quello che vuoi

Abbiam giocato, ma non sono il tuo toyboy
Meglio se accendi un Game Boy
Bye-bye, bye-byeAll'esame di stato ero così maturo
Che sono cascato da un albero, ho alzato la testa e ho visto il futuroE poi finalmente ho capito qualcosa di me
Che a mezzanotte corro scalzo verso il Jukebox
E metto un brano di John Kay, solo sui lenzuoli
Per ridere un po' di me quando piove, che va così già da un po'
Mangio mattoni al pomodoro, sono già le tre
Poi scendo giù dai muratori, mani ruvide
E poi gli parlo di te