Flavio Pardini è una bellissima antistar. Riempie i palazzetti, si prepara al suo primo stadio il 9 giugno all’Olimpico di Roma, eppure rimane il ragazzo schivo che nel 2018 pubblicava Punk, il disco che in poco tempo lo ha portato a diventare uno dei nomi di riferimento dell’indie romano. Eppure il suo successo non è legato ai numeri, ma alla felicità di essere riuscito a rendere la musica il suo lavoro, il suo quotidiano. La sua vita. Oggi ha trentatré anni, ma non è cambiato nulla nella sua creatività e nel bisogno di scrivere canzoni che ha da quando ha 15 anni è costante, preponderante. Solo così si analizza, solo così mette a fuoco quello che non va.

Solo così si guarda Dentro. Dentro è così il titolo del suo nuovo disco, dodici canzoni che parlano di lui, da “Qualcosa che non va” che mette a fuoco quella voragine da cui nasce la sua creatività a “Flavio” un vero viaggio nella sua testa, fino a tre importanti collaborazioni nate da stima e amicizia sincera con Tha Sup, Fulminacci e Noyz Narcos che mostrano i dettagli della sua personalità, che mostrano un ragazzo che diventa uomo consapevole della difficoltà di crescere, del trovare il proprio posto, del bisogno di amore. Che finalmente ha trovato. Tra le tanti canzoni di amori finiti male, che da sempre contraddistinguono la sua poetica, questa volta c’è anche la canzone di un uomo che si è innamorato davvero. "La prima canzone d’amore" è una dedica per far innamorare, che fa innamorare. Lo abbiamo incontrato a Milano.

Dentro, per guardare dentro di te?


«Sì, questo disco nasce dall’esigenza di raccontare fondamentalmente come sono io dentro, come sto. Come sono stato negli ultimi due anni che sono il tempo in cui l’ho scritto. È una zoomata dentro di me per andare fino nel più piccolo dettaglio della mia personalità, del mio modo di vivermi le cose, di analizzarle, elaborare e farle diventare delle canzoni. È un disco molto intimo, senza filtri, molto terapeutico. Va ascoltato se hai voglia di mettere in discussione le tue sensazioni, la tua emotività».

Il primo brano è “Qualcosa che non va”. Cosa non va?

«Lo canto, «so soltanto che non va». Non l’ho capito. Sto cercando di farlo come credo tutti i ragazzi della mia età. Provo a conoscermi, a capire cosa mi fa stare bene ma soprattutto male, in modo da evitarlo. La musica è da sempre il mio modo di esprimermi e spesso capisco che cosa avevo bisogno di dire solo quando mi riascolto. Mentre scrivo non me ne rendo conto».

Non appari sereno.


«Ma chi lo è? Paradossalmente penso di esserlo più di molti miei amici perché io almeno ho la musica che mi permette di esprimermi. La maggior parte delle persone non ce l’ha. Fa a botte o si ubriaca, fa danni in giro. Io tutto sommato sono riuscito fin da piccolo ad analizzarmi, a buttare fuori».

Com’eri da piccolo?


«Tranquillo, fino alle medie. Un ragazzino solare e carino, da sempre super sensibile. Ci sono cose che mi toccano profondamente e che non riesco a governare. Al liceo sono arrivati un po’ più di tormenti. Ma mi è sempre sembrata una roba speciale, una specie di dono. Una cosa molto artistica. Sono una persona fantasiosa, piena di creatività che non riesco mai a incanalare quanto vorrei. Vorrei creare molto di più. Ma almeno ho la musica. Non l’ho scelta. È il mio dono, ma anche la mia condanna».

Canti: «Le cose che non dico le dico solo a mamma». Com’è il rapporto con lei?


«Ho un buon rapporto. Ma anche con mio padre. Certo da uomo a uomo ci sono stati momenti in adolescenza in cui ero un disastro. Litigavo tanto. Poi andavo male a scuola, venivo sospeso, stavo sempre per strada. Io volevo vivere a tutti i costi. Non ho mai ascoltato troppo i miei genitori ma ora ho un rapporto bellissimo con loro. Ci siamo capiti. Hanno capito che non ero un disastro. E hanno sempre creduto in me».

Ma alla mamma dici davvero tutto?


«No, io sono riservato e timido. Non ho quel tipo di rapporto neanche con gli amici. Scrivo le canzoni. Mi ricordo quando ho scritto “Destri” che mio padre mi ha chiamato, e mi ha chiesto se stessi bene, se con la mia ragazza di allora fosse tutto ok. Sembravo arrabbiato. In effetti era così, ma l’ha capito prima lui, io me ne sono accorto dopo».

Hai tanti amici?


«Non troppi, pochi ma buoni. Sono una persona che non si apre troppo, tendo a non fidarmi degli altri, ho sempre paura di rimanere deluso. A volte però ho anche deluso di mio».

Sai stare da solo?


«Non mi piace la solitudine. Crescendo mi rendo conto che diventiamo sempre un po’ più soli, è normale, ognuno prende la sua strada. Ma un po’ mi fa stare male, mi piaceva avere un branco, un gruppo, non sentirmi mai solo. Però so stare da solo».

Nel brano “La prima canzone d’amore” non sembri solo in questo momento. E anzi, suoni molto innamorato.


«È una canzone scritta da una persona innamorata, è una dedica alla mia ragazza. Se avessi voluto nasconderla non l’avrei messa. Ho voluto scriverla per dire a me stesso che se sei innamorato è bello. Non sono mai stato troppo innamorato. L’amore vero è raro, per questo è prezioso. Io sono una persona super romantica, ma non credo a chi è sempre innamorato. Chi ama troppo non ama davvero. E poi volevo anche dire ai fan che non scrivo solo canzoni tristi».

Hai scritto anche canzoni con altri artisti, non lo fai spesso.


«Sono restio alle collaborazioni in quest’epoca in cui è diventata la prassi, per fare più numeri. Ho voluto collaborazioni vere, di cui non pentirmi a anni di distanza. Tha sup è il più bravo in circolazione, amo la sua attitudine a questo mestiere. Fulminacci mi piace come essere umano ed è un artista controcorrente. Noyz Narcos per me è un simbolo. Una canzone per Roma volevo scriverla solo con lui».

Ora le hai cantate tutte nel tuo primo stadio, sei felice?


«È tutta la vita che sogno di fare lo stadio. Sono un po’ spaventato dall’idea di realizzare il sogno perché dopo cosa c’è? Mi piace più sognare che realizzare. Dopo dovrò trovare un altro sogno. Ma sono felice. Non vedevo l’ora».

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