Perché nessuno vuole parlare di pornografia? Se lo è chiesto l'autrice Polly Barton che, nella sua seconda fatica editoriale Porno. Una storia orale (La Tartaruga) arrivata in libreria a settembre, ha deciso di mettere al centro del saggio le conversazioni che facciamo sul porno. Anzi, le conversazioni che non facciamo. L'autrice ne ha raccolto 19 in tutto, frutto di un dibattito senza filtri con amici e conoscenti, tutte incentrate sullo stigma che ruota intorno a quella che è un'abitudine - persino un'umana propensione, per alcuni addirittura un bisogno - più che consolidata e universale. Guardiamo porno, sostiene Barton, ma non lo diciamo perché ce ne vergogniamo, arrivando addirittura a «non menzionarlo con il partner», come ha detto in un'intervista col Corriere della Sera.

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Barton ha suggerito che lo stigma sulla pornografia, nonostante i report di piattaforme come Pornhub ci dicano chiaramente quanto ne usufruiamo, non ha soltanto fattori culturali (e dunque anche religiosi) ma anche psicologici: sempre al Corriere l'autrice ha detto che il porno mainstream è spesso riflesso della «società patriarcale piena di misoginia e violenza nei confronti delle donne in cui viviamo» e che però «non si possono incolpare gli individui per l'eccitazione che provano guardando video che replicano certe dinamiche». Il gap tra ciò che ci fa eccitare e l'etica per quello che sappiamo essere sbagliato nel mondo reale, spesso ci porta a negare l'esistenza stessa della pornografia, intesa come rappresentazione di desideri troppo oscuri per poter essere ammessi ad alta voce. Quello che manca è parlarne nei termini giusti e farsi delle domande. «Quello che mi ha interessato maggiormente sono i vettori causali. Quanto influiscono le fantasie sul desiderio? La visione ripetuta di una scena influenza le nostre azioni? O è il contrario? La vita reale influenza fantasie sessuali e desideri?», si è chiesta in un'altra intervista con GQ.

Sdoganare definitivamente il tabù intorno al porno, amplificando la conversazione in termini onesti come ha fatto Barton nel suo libro, potrebbe però contribuire a creare maggiore consapevolezza su di sé e sui propri confini. Perché d'altronde il porno è «cartina di tornasole per capire le relazioni che, nella società capitalistica contemporanea, abbiamo tra di noi e anche con noi stessi, cioè con i nostri corpi». Forse le fondamenta di una stabile e duratura cultura del consenso partono proprio da qui.

Un accesso precoce al porno guidato da una sana educazione sessuale

Il dibattito si amplia se integriamo le recenti dichiarazioni della ministra per le Pari opportunità e la Famiglia Eugenia Roccella: citando un'intervista di Rocco Siffredi a Libero e i terribili casi di stupro di gruppo al centro dell'attualità italiana in questi mesi (l'ultimo nei giorni scorsi si è verificato a Torino), la ministra ha correlato l'accesso precoce al porno alla dilagante cultura dello stupro. Il tema non può essere ridotto a un semplice rapporto di causa-effetto e deve per forza essere legato alla mancanza di educazione sessuale in cui navigano le nuove generazioni. Il circolo è vizioso: se gli adulti non parlano di sesso o ne parlano solo in certi termini, trincerandosi dietro i tabù in arrivo da una cultura cattolica e perbenista, tendenzialmente cresceranno figli che vanno a caccia di informazioni ed esperienze intime da soli, senza controllo e senza una guida. Anche la pornografia rientra in questa dinamica, con tutto ciò che può comportare (immagini degradanti cui gli adolescenti accedono quando non sono ancora pronti, ad esempio, stimolando fantasie in essere e, in alcuni casi limite, anche l'azione nel mondo reale).

Per costruire una cultura del consenso non serve negare i desideri, né minimizzare il valore culturale e psicologico della pornografia. A monte servirebbe un'istruzione per i giovanissimi, addirittura a partire dalla scuola primaria: un faro per imparare che desideri e impulsi sessuali, anche quelli generati o eccitati dalla visione di immagini erotiche o pornografiche, non sono da demonizzare ma da accogliere, in alcuni casi da circoscrivere alla sfera del pensiero, in altri da analizzare per poterli, finalmente, capire.