Blanco lo ha sempre detto, parla meglio con la musica. Le interviste non le ama, non vuole raccontarsi con le parole, non ama addentrarsi nelle domande che non riguardano la sua creatività, la sua comunicazione passa dai suoi album, il primo Blu Celeste, quello che gli ha cambiato la vita. L’ultimo, Innamorato, contiene "Anima Tormentata" quasi fosse una dichiarazione di sé e “Un Briciolo di Allegria,” l’incredibile collaborazione con Mina. Il racconto di sé avviene nelle sue canzoni, è tra le parole dei suoi testi che si arriva a capire davvero chi è Riccardo Fabbriconi, ragazzo di vent’anni che vive di musica, pensa alla musica, coltiva ogni giorno la sua unica grande passione, non chiamiamolo lavoro.

Una passione iniziata da piccolo in cameretta a Calvagese della Riviera. La stessa in cui a quindici anni scriveva i suoi primi brani, la stessa in cui a sedici ha scritto “Blu Celeste”, senza immaginare che solo tre anni dopo lo avrebbe fatto entrare nell’Olimpo dei nomi che possono riempire gli stadi. Il 4 luglio infatti sarà allo Stadio Olimpico di Roma, il 20 a San Siro. Una scalata rapidissima che lo ha visto partire dai club, arrivando direttamente alla location più ambita, reggendo anche lo stop di una pandemia. 59 dischi di platino, 4 d’oro e oltre 3 miliardi di stream, Blanco vive nel successo, eppure rincorre la normalità. Riservato nel personale, non ama raccontare della sua vita privata con Martina Valdes, ma sa benissimo parlare d’amore e sa quanto tutto dipenda da chi gli rimane accanto, da chi lo tiene ancorato alla realtà, da chi lo ascolta per quello che è.

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Foto Roberto Graziano Moro
Blanco è la nuova cover digitale di Cosmopolitan.

Pronto per gli stadi?

«Sarà un grande show, abbiamo detto che vogliamo imitare, tra virgolette, il Superbowl… speriamo di offrire uno spettacolo così. Sono emozionato, ma non sono agitato. Non vedo l’ora di stare sul palco, per me gli stadi sono una sfida, offrire uno show all’altezza significa alzare l’asticella e questo stimolo è una delle cose più importanti per me».

La tua “Anima tormentata” sarà visibile sul palco?

«Sul palco i miei tormenti tendono a farsi vedere di più. Quando sono con le persone sono più sincero di quando sono con me stesso».

Cosa ti tormenta?

«Il fatto di non essere mai magari sempre felice, voglio sempre di più».

E questo aiuta la tua creatività?

«Sì, anche se è un po’ di tempo che non scrivo. Faccio altro. Un po’ per colpa degli impegni ma anche perché non sono uno che decide a tavolino di scrivere. Non prendo brani che mi scrivono altre persone. Quindi se non mi viene niente da scrivere aspetto e quando ho bisogno di dire qualcosa lo esprimo».

Dipende da quello che vivi?

«Quando non scrivo è perché lo sto vivendo. Cerco di accumulare momenti, situazioni. Poi quando arriva il momento della scrittura, racconto. In generale questo è un momento in cui sto vivendo, sto anche poco sui social, non me ne frega un cazzo, vivo la mia vita».

Canti di vita vera e vita artificiale. Ti sembra di vivere una vita non vera?

«Quando sono qui in Italia vivo nella mia bolla e quella una bolla che non è la realtà. Mi fa tanto bene stare fuori, all’estero, uscire, fare cose normali. A me alla fine piace fare le cose normali, anche andare a fare un giro in centro, andare a fare la spesa. Quindi quando sono qui, vivo una cosa che non è vera. Il mio mondo non è davvero quello che c’è fuori».

Il passato ti manca?

«No, il passato non mi manca. L’unica cosa che forse avrei fatto all’inizio è fare musica senza farmi mai vedere».

Quindi l’esposizione ti pesa?

«Un po’ sì».

Com’eri prima del successo, sei cambiato?

«Sì sono cambiato, ora sono molto più grande. Ero molto più bambino e più incosciente. Ed era quasi più bello. Ora mi sento un po’ più nel mondo degli adulti».

Senti anche più responsabilità?

«Sì, tante cose che avrei voluto fare non posso farle. Devo usare una mentalità diversa. O se le faccio ci sono delle ripercussioni. Anche solo andare a divertirmi come fa un ragazzo di vent’anni io non posso farlo senza che la mia privacy venga invasa».

Da solo ci sai stare?

«Sto sempre con le persone perché mi piace stare con le persone. Ma stare solo ci sta, per riflettere. In generale mi piace confrontarmi con gli altri».

Hai tanti amici?

«Un bel po’. La maggior parte sono del passato».

Michelangelo, tuo partner inseparabile, è uno degli amici professionali.

«Con Michi siamo cresciuti tanto insieme soprattutto musicalmente, abbiamo vissuto tante belle cose e c’è dal primo momento. Michi è come fosse mio fratello».

Quanto conta l’amore invece?

«Per me l’amore è fondamentale, in tutte le cose. Sia avere una persona che ti ama, che ti dà consigli perché ci tiene, sia il ribaltare questo amore in tutte le cose che faccio, che può essere la musica ma anche tante altre cose. L’amore, verso qualsiasi cosa, cambia tanto quella cosa».

Ti innamori facilmente?

«In realtà no, se mi innamoro è perché c’è qualcosa di speciale».

Potesti avere tutte le donne del mondo.

«Se ci tieni, ci tieni».

Chiedi spesso scusa?

«Io sono molto testardo, ma vorrei cambiare questo mio lato. A volte non capisco punti di vista differenti dal mio, ma ho capito che non si può avere sempre ragione. Chiedere scusa penso sia una bella cosa. Sono uno che ha l’orgoglio a mille, ma riuscire a chiedere scusa è importante».

Ti arrabbi facilmente?

«Sì, abbastanza».

Per questo dici così spesso vaffanculo?

«Lo uso nella vita reale come lo usano tutti, ma in Italia se dici “vaffanculo” o “cazzo” in alcuni contesti come quello della tv sembra che nessuno abbia mai sentito queste parole, che poi in realtà dicono tutti. Io mi sono accorto che su tante cose non c’è una comunicazione tra nuova e vecchia generazione perché c’è proprio un linguaggio differente. Non ci si capisce su tante cose perché si parlano due lingue diverse. Ho notato questa cosa anche nelle mie canzoni. Vengono capite in modo diverso a seconda di chi le ascolta. È bello che mi ascoltino persone di tutte le età, ma quello che dico in una canzone un giovane la interpreta in un modo e un signore in un altro».

Chi capisce il tuo?

«A volte nessuno dei due. In “Finché non mi seppelliscono” per esempio "dipingo il tuo corpo" è stato interpretato in modi completamente diversi. Mi fa ridere».

Non ti piace spiegare i tuoi significati?

«I miei significati non voglio dirli perché è bello che ognuno li interpreti a modo suo. Quando ci metti troppo la tua visione è difficile che le persone si rispecchino nella loro. Oggi come oggi quasi nessuno si immedesima in te. Nessuno cerca di capirti, devi essere tu che devi cercare di colpire gli altri».

Gli altri non ti ascoltano?

«Non è un discorso generazionale, vale per tutte le età. O hai qualcuno che ti vuole davvero bene e cerca di capirti o in generale non c’è interesse di voler capire un’altra persona. Lo vedo in continuazione. A volte vorrei che ci fosse rispetto per quando non posso parlare, ma non sempre si fa lo sforzo di comprendere le situazioni».

Chi ti ama invece?

«Chi ti ama prova a capirti, ma chi non ti conosce non ci prova. Anche se in realtà sarebbe bello se ci provassimo tutti a capire di più, in qualsiasi situazione».

Le persone più importanti della tua vita chi sono?

«La mia famiglia, tutte le persone che metto dentro la mia famiglia, la mia ragazza, i miei amici. La mia famiglia è una cosa di gruppo non è composta solo dai miei genitori ma è un cerchio che mi creo nella mia testa di persone che sono come la mia famiglia».

«Per me l’amore è fondamentale, in tutte le cose. Sia avere una persona che ti ama, che ti dà consigli perché ci tiene, sia il ribaltare questo sentimento in tutto quello che faccio. L’amore, verso qualsiasi cosa, cambia tanto quella cosa».

Sono loro che ti tengono ancorato alla realtà?

«Sì».

Che rapporto hai con i tuoi genitori?

«Mia mamma è sempre stata la mia confidente. Io ogni notte le scrivo “buonanotte, mamma, mi manchi”, soprattutto se non stiamo insieme da tanto. Mia mamma ha visto tutto il processo di creazione fino a oggi e mi ha aiutato in tante cose. Mi ricordo che quando lavoravo in pizzeria cercavo un posto dove registrare, ma non ero sgamato, non sapevo come funzionava e mi ricordo che lei aveva un collega con uno studio di registrazione. Mi ha portato da lui. Ed è venuta poi anche lei mentre registravo. È stato stranissimo».

Quanti anni avevi?

«Quindici».

I tuoi genitori sono pronti a vederti allo stadio?

«Non li vedo da tanto, ma spero abbiano voglia di vedere il concerto».

Con il tuo successo è cambiata anche la loro vita?

«Ora mia mamma e mio papà lavorano con me e mi fa piacere che abbiano potuto smettere di fare quello che facevano. Possono aiutarmi nella mia vita quotidiana, nel mio lavoro. I soldi però per me non sono un valore. Non do valore al denaro, sono felice per loro, ma io farei musica anche se non guadagnassi un euro, come facevo all’inizio».

Sei dovuto scendere a compromessi rispetto alla libertà di quei tempi?

«Milano è super caotica, è tutto velocissimo, come l’industria della musica. Basti vedere quanta musica esce ogni venerdì. A me dispiace perché poi per i ragazzi, per chi prova a fare musica, ora non c’è spazio per un nuovo brano. Non riesci ad ascoltarlo. Ogni tre giorni grandi artisti pubblicano una canzone. Io sono cambiato adesso perché nella musica ti chiedono di cambiare, ma alla fine per me conta solo fare quello che si vuole, quello che ci si sente di fare».

Tu sei soddisfatto di quello che fai?

«Non del tutto, l’ultimo disco è un disco di passaggio. Ho poche canzoni che mi rispecchiano davvero, sono brani temporali che magari tra un anno non mi rappresenteranno più».

I brani di “Blu celeste” invece per sempre?

«“Blu Celeste” mi ha segnato, me lo porterò dietro per tutta la vita. Ma è anche un discorso mentale. Non penso che se una canzone diventa una hit o sta andando bene allora mi segni per sempre. Ci sono pezzi che sono andati di meno dell’altro album o di questo che per me sono i più importanti. Come ‘La mia famiglia’, per esempio».

Tu sei felice?

«Sincero, di tante cose che sto facendo per ora mi sono divertito il venti per cento. Perché tante cose devo farle e basta. Anche al di fuori della musica. Per questo dico che io non voglio entrare nella mentalità che questo è il mio lavoro. Perché se lo fai perdi di vista il punto creativo. Troppi cantanti dicono che è un lavoro. Può diventarlo certo. Ma se mi dicessero diventi povero e fai musica figa, diventerei povero e mi divertirei».

Come facevi prima?

«Guardando indietro, anche se me la vivevo male perché era tutto più marcio, ora so che ho vissuto momenti magici. È stato un momento fighissimo».

Senti il peso del diventare adulto?

«Un po’. Ma conosco tante persone a me vicine che anche se sono grandi, dentro di loro hanno un lato bambino. La trovo una cosa bella e a me gasa perché quando sei bambino sei in fase più creativa della tua vita. Devo mantenerla».

Cosa ti rende felice?

«Oggi come oggi far cose nuove, avere nuovi stimoli. Musicalmente parlando».

Il dolore fa scrivere meglio?

«Un po’ di tempo fa pensavo di sì, ora sono sincero, penso che sia indifferente. La creatività non dipende per forza dallo star male. Non serve il dolore per essere creativo. I momenti più creativi di qualsiasi artista sono spesso collegati al suo star male, ma se mi dicessero sei felice per tutta la vita o stai male e scrivi delle hit, ti direi sto felice per tutta la vita, ‘fanculo».

I tuoi vent’anni come li vivi?

«Cerco di scoprire cose nuove. Mi piace fare cose adrenaliniche, nuove. In generale mi piace fare una cosa che di solito è presto fare alla mia età. Amo fare tante esperienze subito, per poi dire tra tre anni che le ho già fatte tutte. Mi piace vivere tanto».

Se devi dire oggi chi sei?

«Ciao sono Riccardo, faccio musica. La musica è ciò che mi definisce di più».

E Riccardo che fa musica ha nuovi sogni?

«Ho un nuovo stimolo, ma lo dirò dopo gli stadi. Voglio prima vedere se è realizzabile, poi dopo i concerti…. provarci».