È strano veder comparire sullo schermo il viso di Elisa True Crime senza la consueta luce violacea alle spalle e la poltrona beige su cui siamo abituati a vederla. Oggi è semplicemente Elisa De Marco, sorridente e professionale, che mi racconta che da piccola leggeva sempre Cosmopolitan. Eppure la voce è la sua, quella che, da quando ha aperto il suo canale YouTube nel 2020, ci racconta con precisione storie terribili, vicende di cronaca nera, delitti e casi irrisolti. De Marco ammette di essere un po' ossessionata dal lavoro, come spesso capita a chi trasforma un forte interesse personale in una professione: ogni settimana esce un nuovo video sul canale che segue insieme al marito Edoardo Coniglio, il suo podcast Elisa True Crime prodotto da One Podcast ha conquistato tutte le classifiche ed è giunto alla quinta stagione. A tutto questo si è aggiunto un altro podcast Delitti invisibili – i crimini della porta accanto e due libri. L'ultimo è intitolato Manipolatori. Le catene invisibili della dipendenza psicologica (Mondadori Electa) e De Marco ne parlerà insieme ad Andrea Delogu al Salone del Libro sabato 11 maggio. Sarà un'occasione per trattare il tema delle trappole psicologiche della manipolazione di cui l'autrice parla spesso nei suoi canali youtube e nei podcast.

Nel frattempo, il canale YouTube di Elisa True Crime ha superato il milione di iscritti, un milione di persone che, prima di andare a dormire dopo aver guardato uno dei suoi video, controllano svariate volte di aver chiuso bene la porta. Almeno questo è quello che faccio io. Lei, invece, mi racconta che, pur essendo molto emotiva, riesce a tenere a bada le paranoie. «Stranamente riesco a rimanere razionale. Magari se, come ieri sera, mio marito rimane fuori tanto tempo e non si fa sentire, mi scatta l'ansia, ma cerco di fare un passo indietro. Mi dico "stai reagendo così perché in questo periodo hai lavorato tanto e magari sei più sensibile". Poi gli mando un bel messaggio per dirgli di rispondere subito al telefono». Per essere la regina del True Crime ci vuole un certo sangue freddo.

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Courtesy Photo One Podcast

Com'è nato il tuo interesse per il True Crime?

«Dico sempre che è stata colpa di mia mamma perché lei è una grande appassionata di horror prima che di cronaca. Quando ero bambina mi leggeva tutti i libri di Stephen King quindi sono cresciuta abituata alle cose un po’ paurose. Poi ho iniziato a seguire i casi di cronaca al telegiornale e con mia mamma c’era sempre uno scambio su questi temi, un interesse verso i crimini di cui si sentiva parlare. Quando ho aperto il canale, però, non avrei mai pensato di poterne fare un lavoro».

Oggi il True Crime è diventato un vero fenomeno, da dove nasce secondo te il richiamo di queste storie?

«Per quanto mi riguarda ciò che mi attrae è in primis la curiosità, voglio cercare di capire che cosa scatta nella testa di queste persone, specie quando magari il killer in questione fa una vita del tutto ordinaria simile alla mia e poi un giorno si sveglia e succede qualcosa».

E la paura?

«Più che paura, queste storie suscitano in me l‘effetto opposto: l'illusione di potermi proteggere, l’idea che conoscere queste storie mi dia in qualche modo il controllo, mi faccia conoscere i campanelli d’allarme e forse prevedere le dinamiche psicologiche che possono scattare. Ovviamente è un'illusione, il controllo non ce l'abbiamo e non lo possiamo avere».

Forse però è un modo per esorcizzare: ci sono studi che dicono che questo è particolarmente vero per le donne che negli ultimi anni si sono appassionate al genere true crime.

«Circa l’80% del mio seguito sul canale YouTube è composto da donne. Siamo più abituate a sentirci in pericolo, quindi ci immedesimiamo molto. La maggior parte delle vittime sono proprio donne».

Nel tuo nuovo libro, Manipolatori, tratti un tema che, per certi aspetti, può essere vicino alla vita di tante persone

«Sì, infatti mi sono arrivati tantissimi messaggi da ragazze che mi hanno scritto che alcuni particolari dei casi che racconto gli hanno aperto gli occhi su certe relazioni che potremmo definire tossiche. Non per forza tutte le relazioni disfunzionali devono sfociare in qualcosa di drammatico, ma con il libro mi interessava mostrare che la base della manipolazione è sempre uguale. Ho inserito casi molto diversi - Melania Rea uccisa dal marito, un caso di istigazione al suicidio, il caso delle Bestie di Satana - ma hanno tutti in comune la manipolazione ed è interessante vedere come il meccanismo alla base sia sempre lo stesso. Ho voluto anche inserire dei trafiletti scritti in collaborazione con una psicologa esperta di manipolazione proprio per riflettere su certe dinamiche a cui fare attenzione perché magari quando ci troviamo all'interno di alcune situazioni sono difficili da notare».

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Courtesy Photo One Podcast

Come selezioni le storie per il canale, i podcast o, in questo caso, per il libro?

«Faccio tantissima ricerca, ma alla fine la scelta la faccio di pancia. Devo sentire istintivamente “Ok, questo è il caso giusto”».

Attualmente stanno uscendo le nuove puntate del podcast Elisa True Crime dedicate a casi di cronaca del nostro Paese, che ruolo gioca il legame con l'Italia?

«Chiaramente c’è più coinvolgimento, li sentiamo più vicini. Magari sono vicende avvenute nella tua città o in posti che conosci ed è chiaro che l'emotività e il coinvolgimento cambiano. Devo anche prestare molta più attenzione a non commettere errori perché sono casi ormai conosciuti, entrati a far parte della storia dell'Italia, su cui le persone hanno le loro opinioni. Una cosa che ho notato, però, è che nei casi italiani, se non sono molto famosi, è più difficile trovare il materiale, come ad esempio gli atti processuali».

C’è un caso che hai trovato particolarmente difficile?

«Tra gli episodi della quinta stagione del podcast che sono già usciti, sicuramente quello di Yara Gambirasio e non solo a livello emotivo, ma anche tecnico perché l’analisi del DNA ha avuto molta importanza nelle indagini e, per capire bene come funziona, ho dovuto studiare molto. Invece, anticipando un episodio inedito che uscirà in esclusiva sul podcast, ti direi il delitto di Cogne perché tutta l'accusa contro Annamaria Franzoni è basata sulle macchie di sangue tramite la Bloodstain pattern analysis che analizza come è schizzato il sangue. È una tecnica complessa e bisogna capirla bene prima di spiegarla. Tra l’altro ai tempi questa tecnica non era molto conosciuta in Italia e quindi non è stato facile nemmeno al processo spiegarla al giudice».

Quanto ci metti a preparare un caso?

«Sul canale YouTube abbiamo l’impegno di farne uscire uno a settimana. A volte scrivo da quando mi sveglio la mattina fino a quando vado a dormire la sera».

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E come fai a staccare dopo aver passato tutto il giorno su queste storie?

«Nei periodi più intensi o se tratto casi molto cruenti è difficile, anche perché io sono una persona molto empatica, ci entro proprio nelle storie e mi piace così. Per staccare mi ritrovo a passare più tempo da sola o a guardare i cartoni animati la sera per rilassare il cervello!».

Ormai di casi ne avrai raccontati tantissimi…

«Sono più di 300».

C’è una persona di quelle che hai raccontato che ti è rimasta particolarmente impressa a cui pensi spesso?

«Ultimamente ripenso spesso ad Annamaria Franzoni e poi c’è un caso che è uscito non da molto sul canale YouTube di una mamma, Shanda Vander Ark, che puniva costantemente suo figlio in modi veramente orribili. Ogni tanto mi ritrovo a pensare a lei che al processo era veramente lucida e sembrava una persona molto intelligente, mi chiedo cosa sia successo nella sua testa. Casi del genere è come se mi rimanessero incastrati nella mente».

Che precauzioni prendi quando i casi sono particolarmente violenti?

«Avverto sempre quando si tratta di un caso molto cruento, specifico che è importante tutelare la propria sensibilità e cerco di non scendere nei dettagli a meno che non sia necessario per capire il caso. Nel canale YouTube, poi, abbiamo deciso di non mostrare foto che possano essere disturbanti».

A volte, però, le parole rimangono anche più impresse delle immagini, no?

«In effetti ci sono alcune persone che preferiscono il podcast proprio perché più immersivo: il fatto che tu non possa vedere forse ti spinge a immaginare. Altre mi dicono che preferiscono i video perché, a quanto pare, vedermi mentre parlo per alcuni è rassicurante!».

Quali sono per te gli aspetti più importanti del racconto di queste vicende?

«A me interessa soprattutto il profilo psicologico, capire il perché di certi gesti, anche se è impossibile farlo sempre e fino in fondo. Mi piace mettere un po' di me dentro ai video, racconto queste storie come se stessi parlando ad un'amica, in modo molto semplice e a volte faccio proprio delle riflessioni a voce alta o sottolineo certi atteggiamenti che possono diventare campanelli d'allarme. E poi, dato che raggiungo moltissime persone, ci tengo a fare da cassa di risonanza alle voci delle persone coinvolte. Spesso registro video in collaborazione con i parenti delle vittime e nel podcast Delitti invisibili parla anche chi è direttamente coinvolto. Mi commuove molto quando queste persone scelgono di condividere con me il periodo più brutto della loro vita, mettono le loro storie nelle mie mani e scelgono di fidarsi di me».