Ci imbattiamo nella cultura dello stupro ogni giorno senza saperlo, senza riconoscerlo. I primi incontri che abbiamo con questa tipologia di pensiero violento sono davvero molto precoci: c’è chi li vive in età liceale, chi invece, già durante gli ultimi anni della scuola primaria, subisce comportamenti maschilisti e di violenza sessista senza neanche sapere di cosa si tratti.

La cultura dello stupro spinge la donna a sacrificare la propria libertà per potersi sentire al sicuro. E, quando non riesce a proteggersi, viene incolpata.

L’espressione in sé, cultura dello stupro, è molto ampia perché - proprio come vi abbiamo spiegato nel video introduttivo - non fa riferimento esclusivamente alla violenza fisica sessuale, ma a delle norme culturali e a delle istituzioni che proteggono abuser e stupratori. La cultura dello stupro spinge la donna a sacrificare la propria libertà per potersi sentire al sicuro. La sicurezza, quindi, diviene un problema della donna e che in quanto taledeve saper affrontare; quando non ci riesce, viene incolpata. Parliamo di una forma di pensiero che ha radici in una struttura di potere patriarcale di vecchia data e che oggi permane, stagna e solida.

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“Lei indossava una gonna molto corta”

Il termine fu coniato negli anni Settanta e, secondo gli studi di genere e la letteratura femminista, include tutti gli atteggiamenti che normalizzano la violenza. “Lei indossava una gonna molto corta”, “Se l’è cercata”, “L’ha provocato, guarda come è vestita”. Ne abbiamo un elenco infinito. Le frasi banali per giustificare una violenza sessuale fisica o verbale, sono tantissime, un modo che ha creato la nostra società per rendere colpevole la vittima. Sì, proprio così. Secondo la società dominata da questo tipo di cultura, il problema da risolvere risiede nel rieducare le vittime. Sono loro - in questo caso le donne - che sbagliano a vestirsi, a parlare, a camminare, a rivolgere uno sguardo o un sorriso. Si parla quindi di slut shaming, un termine con cui si indicano tutti quegli atteggiamenti e comportamenti che fanno sentire la vittima, colpevole. Perché, alla fine, per la nostra società, dovremmo essere caste e pure. Vestirci pensando di coprire qualsiasi parte del corpo che possa innescare qualsiasi tipo di pulsione sessuale.

"L’ha provocato, guarda come è vestita"

La cultura dello stupro limita la libertà di tutte le potenziali vittime, le quali, per timore, possono prendere decisioni influenzate proprio da questo tipo di atteggiamento. Sul come vestirsi, quali mezzi di trasporto prendere, quale strada percorrere e così via… Il fatto che esistano atteggiamenti che provocano del terrorismo di agire nelle donne risiede nella non diffusione e nella non sensibilizzazione al consenso. Il corpo femminile è oggetto, fin da sempre, di stupri, catcalling, molestie online, cyber flashing, stealthing e altri atti violenti e molesti. Ma, nonostante questo, la violenza verso le donne viene quasi incitata e legittimizzata; perché, in fondo, è sempre la classica lotta di genere. Dove una donne rimane sempre e comunque una sgualdrina o una tro*a, mentre l’uomo il classico “figo”.

"Se l’è cercata"

Se la cultura dello stupro trova modo di diffondersi sempre con gran semplicità è perché, dall’altra parte, si espande sempre più l’ideale di mascolinità tossica. Per quanto questi due concetti possano trovare origini opposte e lontane, sono, in realtà molto vicini. Perché? Ve lo spiegheremo con il prossimo appuntamento del dizionario dell'inclusion!