Minimizzare, stereotipare o addirittura normalizzare uno stupro o varie violenze, non è normale. Non è normale riderne o semplicemente banalizzare un evento che può aver leso l’animo di una persona. Dovremmo iniziare a vivere con la consapevolezza che il consenso in un rapporto sessuale sia il punto di partenza per il rispetto verso il prossimo, ecco perché oggi vi raccontiamo la storia di Revy.

“Martedì 13 aprile, una ragazza survivor (termine con cui si indica una persona che ha subito uno stupro, ndr.) mi ha contattata dopo aver ascoltato uno sketch de Lo Zoo di 105. Gli speaker ridevano di una scena che era molto simile alla descrizione di uno stupro” ci racconta Revy, attivista e, anche lei, survivor che ha deciso di denunciare sui social l’accaduto (azione che l'ha portata a ricevere minacce di stupro e di morte). I media diventano lo specchio della realtà per milioni di giovani e banalizzare un atto profondamente doloroso e illegale, può portare il pubblico a percepire come normale il fatto di semplificare l’argomento. Diffondendo, così, sempre di più la cultura dello stupro, così fermamente presente nella nostra società. Quella portata avanti dal programma radiofonico, conosciuto da tutti per la sua satira e i suoi toni scherzosi, è l’esempio di una narrativa tossica che ci apre la possibilità di parlare di sensibilizzazione verso questo argomento. Imparare così, a rispettare chi ha vissuto qualsiasi tipo di violenza.

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Ho raccontato lo stupro subito nel 2017 e oggi ricevo numerose testimonianze

Revy sul suo profilo Instagram, il 25 novembre 2020, ha deciso di raccontare la violenza subita anni prima: “Ho registrato un video di 7 minuti, ho raccontato lo stupro che ho subito nel 2017. Nel giro di pochi mesi tante nuove persone hanno iniziato a seguirmi e mi hanno confidato i loro episodi di violenza. Ad oggi ricevo decine di testimonianze. La forza del racconto di una sola persona può trasmettere coraggio anche a chi vive situazioni di maggiore paura”. Revy ha avuto il coraggio di denunciare pubblicamente. Lei, una ragazza come tante, si è trovata nella casa del carnefice durante un’ora di ripetizione. Un episodio che poteva accadere a ognun* di noi. “Oggi soffro di disturbo post traumatico da stress, nel momento in cui ho sentito lo sketch mi sono sentita profondamente ferita, ho vissuto un attacco d’ansia che mi ha ricordato, attraverso un flashback, la mia violenza”.

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Oggi soffro di disturbo post traumatico da stress, mi sono sentita ferita

Dal programma sono arrivate le scuse, ma quello su cui oggi vorremmo spendere qualche semplice riga è la sensibilizzazione verso l’argomento. Perché è ora che si inizi a smettere di ridere di avvenimenti in cui l’uomo mostra la sua forza bruta in un rapporto. “Urge un’educazione al consenso - racconta Revy a Cosmopolitan.it - Se una persona, indipendentemente dal genere, dice che non vuole avere un rapporto sessuale con noi, non è sicura, è titubante o resta in silenzio… beh quello è un NO. E va rispettato”. Nel codice penale italiano, l’articolo 609-bis, ritiene che il reato di stupro debba essere necessariamente collegato agli elementi della violenza, della minaccia o dell’inganno; di consenso non si parla ma è implicito alla legge. La Convezione di Istanbul, che l’Italia ha sottoscritto nel 2012 (oggi non in vigore per mancanza di ratifica di almeno altri due stati) aggiunge una nota fondamentale; nell’articolo 36, paragrafo 2, si legge: “Il consenso deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto“. Per tale ragione Amnesty International ha richiesto che il nostro articolo 609-bis venga rivisto perché venga esplicitato il consenso, parte fondamentale che si omette facilmente.

Secondo l’Istat, in un rapporto del 2019, in Italia esiste il pregiudizio che la responsabilità di una violenza subita, sia propria della donna. Il 23,9% della popolazione ritiene che sia la stessa donna a provocare la violenza, per esempio, nel modo di vestire. “Purtroppo viviamo in un paese dove il binarismo di genere fa da padrone - continua Revy - per cultura all’uomo viene insegnato ad insistere, a non accettare un rifiuto e la donna, invece, si sente obbligata a dire di sì, rimanendo in un silenzio passivo”.

Per cultura l’uomo è portato a insistere, la donna, invece, si sente in dovere di dire sì

La potenza dei social la possiamo vedere, anche nel piccolo e forte contesto creato dalla stessa Revy che, dopo il suo racconto e il suo attivismo, ha creato una sensibilizzazione tale da portare molte persone ad accorgersi di violenze subite anni prima: “Ribadisco nella mia testimonianza che molti stupri non hanno lividi, né sangue, né DNA. La violenza è violenza e non ha gerarchie. Non è normale che le persone riescano a riconoscere uno stupro attraverso il mio profilo Instagram o di chi comunque fa attivismo online. Le vittime non riescono a riconoscersi”. C’è necessità di insegnare un nuovo tipo di educazione. Un’educazione in cui non esiste un sesso debole da poter dominare, ma un’educazione basata verso il rispetto del prossimo. Dove il consenso è fondamentale, dove possiamo sentirci liberi di dire Sì o NO senza più provare timore o paura. “La narrazione dei media deve aggiornarsi, ha la responsabilità di rappresentare l’abuso in più sfaccettature. Tutto questo può cambiare ascoltando le voci di persone che a questa violenza sono sopravvissute”. E noi, siamo felici di aver ascoltato te, Revy.