Fino a due giorni fa, prima che la polizia sgomberasse l'accampamento degli studenti in protesta alla Columbia University, i ragazzi si erano organizzati in fretta: i loro video su TikTok mostravano tende sparse sull'erba, striscioni per il cessate il fuoco a Gaza e pennarelli per crearli, ma anche stand per il cibo, biblioteche improvvisate, uno «spazio arte», tende-farmacie dove recarsi per cerotti o disinfettanti. Un cartello con su scritto "Programma del giorno" annunciava gruppi di studio, ore di mutuo supporto psicologico e poi assemblee, testimonianze sulla situazione in Medio Oriente, momenti di preghiera. Poi, nella notte fra martedì e mercoledì la polizia ha sgomberato tutto: alcuni studenti avevano occupato un edificio dell'università newyorkese e vi si erano barricati dentro. In totale ci sono stati 109 arresti.

Sembra un'onda impossibile da fermare: sono ormai un centinaio le università statunitensi che, nelle ultime settimane, hanno visto i loro studenti mobilitarsi per chiedere lo stop ai bombardamenti nella striscia di Gaza e la situazione è in continua evoluzione. Dalla generazione di Fridays For Future, quella che ha ripopolato le piazze e ripreso in mano i megafoni, non potevamo aspettarci il silenzio. La loro è una voce forte e coraggiosa: si sta espandendo in tutta Europa (Italia compresa) e in tutto il mondo. Chiede di venire ascoltata.

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La situazione negli USA

Per quanto sia bene ricordare che i giovani che negli Stati Uniti possono permettersi di frequentare i college siano solo una piccola parte rispetto alla totalità, queste proteste universitarie sono le più accese dal 1968. Nella notte tra mercoledì e giovedì alcuni agenti di polizia in tenuta antisommossa hanno sgomberato il campus dell’Università della California, l'UCLA, e hanno arrestato centinaia di persone tra scontri e barricate. Ci sono state tensioni anche alla Southern University, al Pomona College e al California State Polytechinic, ad Austin, in Texas, a Yale, in Connecticut e in Georgia, Florida, Arizona e Colorado. Il presidente Joe Biden è intervenuto dichiarando che «Il diritto alla protesta non significa diritto al caos. Il vandalismo, rompere vetrate, chiudere i campus e costringere a cancellare le lezioni non è protesta pacifica, così come non lo è minacciare o intimidire le persone». «Come presidente», ha aggiunto, «tutelerò sempre il diritto alla parola: non siamo un regime autoritario dove mettiamo la gente a tacere, ma non siamo neanche un paese che non ha leggi». Donald Trump, d'altra parte, ha definito i ragazzi in protesta «pazzi furiosi e simpatizzanti di Hamas» e ha dichiarato che vedere gli agenti di polizia di New York fare irruzione alla Columbia University «è stata una cosa bellissima». «Io dico di rimuovere immediatamente gli accampamenti, di sconfiggere i radicali e di riprenderci i nostri campus per tutti gli studenti normali che vogliono un posto sicuro da cui imparare», ha aggiunto il candidato repubblicano alle elezioni.

Secondo i manifestanti il mondo occidentale, la politica e le università stesse non stanno facendo abbastanza per spingere Israele a smettere di colpire la popolazione palestinese, non stanno mettendo fine alle loro collaborazioni con le istituzioni israeliane e si limitano a distogliere lo sguardo dall'elevato numero di morti civili a Gaza, tra cui oltre 26 mila bambini, secondo Save the Children. A dirlo è la voce di una generazione: i ragazzi - gli stessi che scendono in piazza contro la crisi climatica e che hanno protestato per Black Lives Matter dopo la morte di George Floyd - ora chiedono di fare qualcosa, si rifiutano di rimanere a guardare e non vogliono rendersi complici dell'uccisione di 34mila persone.

Come un'onda

le proteste degli studenti dagli usa in tutta europapinterest
Remon Haazen
Gli studenti della Sorbona in protesta a Parigi

Le proteste si stanno espandendo a macchia d'olio in Canada, in Messico, ma anche in Australia (a Sidney e all'università del Queensland a Brisbane), in India (nella prestigiosa Jawaharlal Nehru University di Nuova Delhi) oltre che, naturalmente, in tutto il Medio Oriente. In Francia la Sorbona è stata sgomberata dai manifestanti così come la Sciences Po, uno dei più prestigiosi atenei francesi. Da lunedì anche le scuole superiori si uniranno alle manifestazioni e il primo ministro Gabriel Attal ha detto che le proteste verranno gestite con «rigore totale» e l'intervento fermo delle forze dell'ordine. Nel Regno Unito, oltre a manifestazioni negli atenei di Londra, sono nati, negli scorsi giorni, accampamenti di studenti nei campus alla Newcastle University, all'università di Leeds, di Bristol e di Warwick. In Spagna, invece, gli studenti hanno occupato un'ala della facoltà di Filosofia dell'Università di Valencia.

Cosa chiedono gli studenti italiani

Anche in Italia gli studenti si stanno mobilitando. I ragazzi del Politecnico di Torino da mesi protestano, occupano gli spazi universitari e cercano il dialogo con le istituzioni per spingere a interrompere i rapporti con gli enti israeliani, gli investimenti e le collaborazioni per la ricerca: secondo il collettivo Torino Per Gaza si tratta «le azioni di boicottaggio contro lo Stato di Israele sono parte importante di quelle azioni non violente volte a fermare il massacro in corso». A metà marzo sono riusciti a far sì che il senato accademico, vista la situazione a Gaza, votasse una mozione contro la partecipazione al bando Maeci per la raccolta di progetti congiunti di ricerca (per il 2024) sulla base dell’Accordo di Cooperazione Industriale, Scientifica e Tecnologica tra Italia e Israele. «Vogliamo ricordare che colpevole di un genocidio non è solo chi materialmente lo compie», hanno dichiarato in quell'occasione, «ma anche tutti coloro che contribuiscono al suo dotarsi dei mezzi necessari per farlo sia materialmente sia tramite la ricerca».

le proteste degli studenti dagli usa all'europapinterest
Stefano Montesi - Corbis
Studenti in protesta davanti all’ufficio del Rettore della Sapienza a Roma

In contemporanea a Milano gli studenti del Politecnico hanno chiesto di sospendere l’Accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica tra Italia e Israele e alla Bicocca si organizzano petizioni contro «ogni complicità con Israele e la filiera bellica» chiedendo un incontro pubblico con la rettrice per discutere della questione. Lo stesso sta avvenendo in moltissimi altri atenei su tutto il territorio nazionale: «Da mesi in tutta Italia ci stiamo mobilitando per denunciare le complicità delle nostre università con le università israeliane e l’industria della guerra», scrivono i Giovani Palestinesi di Bologna sul loro profilo social, «L’università di Bologna ha decine di accordi con l’industria delle armi e con le università israeliane». Gli obiettivi degli studenti sono chiari, resta da chiedersi se queste proteste verranno prese in considerazione, soprattutto alla luce delle dure repressioni, della polizia che entra nei campus, dei video che mostrano i poliziotti caricare i manifestanti pacifici in tanti Paesi Occidentali tra cui l'Italia. Emerge a tratti un evidente paternalismo nei confronti di questi ragazzi così giovani spesso dipinti tout court come estremisti (e gli estremisti ci sono, come sempre, ma il movimento è ben più ampio) e si chiede loro di fornire risposte e soluzioni alla questione israelo-palestinese, di prendere posizioni nette, come se questo dovesse essere un prerequisito necessario per qualsiasi tipo di dissenso.