Melodia lenta, voce di zucchero brulé, magari un video in bianco e nero e un ritornello con i rintocchi del piano: la narrativa delle canzoni sull'amore sfumato è una catarsi del dolore malinconico. L'esempio-apice arriva da Adele, che intorno a "Someone Like You" ci ha ricamato il futuro della sua carriera - e un Grammy -, rendendosi autrice di quelle canzoni da cui ogni tanto torniamo per crogiolarci nella mestizia e ritrovare il sapore di un sentimento appassito. Eppure qualcuno dagli occhi verdi e vispi, chioma ramata e una frangia delicatamente spettinata, ha deciso che era tempo di cambiare registro. Perché una delusione d'amore, un'occasione mancata o una ferita sentimentale che ti scava dentro può essere raccontata anche su melodie che ti fanno ballare, permettendoci di esorcizzarlo e guardare avanti. Lo racconta Annalisa Scarrone che, dopo aver raggiunto l'Olimpo della viralità con "Bellissima" (un successo non volutamente cercato - «É stato naturale, ha sorpreso anche me!», ci aveva confessato a Cosmopolitan a The Place, a Sanremo) ora torna con il secondo capitolo della saga dance sulle relazioni che non vanno in porto.

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Cosmopolitan Italia
Foto di Nicholas Fols, styling di Susanna Ausoni. Trucco di Greta Agazzi using Yves Saint Laurent, hair di Andrea Pirani. Abiti di Dolce & Gabbana.

Cosa ti porti dietro dal successo di "Bellissima"?

«Tanta felicità. Tra le mie creazioni è quella che più mi rappresenta e fin dal momento della sua nascita ci ho molto creduto perché è portatrice di tante novità. Partiamo dalle sue sonorità Anni ’80, più usate all’estero e meno in Italia. Penso a The Weeknd e Dua Lipa, ad esempio, uniti alle parole delle grandi cantautrici. Cito spesso Nada con “Amore disperato”, in cui c'è un tipo di racconto scanzonato, ma in cui sta esponendo qualcosa in realtà di sofferto. E lo fa in modo catartico un po' per liberarsi, un po' per ballare sulla delusione. Questa scrittura diretta, senza fronzoli, è quello che cercavo per dare una svolta, per prendere distanza dal passato e creare qualcosa di nuovo. Così è nata "Bellissima"».

Nella vita affronti le novità con grinta o sei restia al cambiamento?

«Penso che il cambiamento sia fondamentale e bisogna sempre cavalcarlo, mai fuggirlo perché consente di non scardinare te stesso, lavora sulla tua essenza. E per capirsi davvero, il cambiamento è fondamentale».

Il 31 marzo è uscito "Mon Amour", singolo che racconta il limbo pre-ripartenza, quei giorni in cui raccogli i pensieri e pianifichi le prossime mosse dopo una delusione.

«Sì e anche qui bisogna partire dall'antefatto "Bellissima": sto vivendo questo progetto musicale come un film. Si parte da un appuntamento, quello in cui io mi ero preparata, ero bellissima, ma tu non sei mai arrivato. Da qui poi scaturisce "Mon Amour", una canzone che parla di quello che succede prima della ripartenza. Sicuramente mi capirai: nel momento in cui vivi una delusione, poi non parti subito per un nuovo viaggio. No, hai bisogno di prenderti quel periodo, quel limbo appunto, in cui indaghi te stessa facendo cose che non hai mai fatto. Magari cambi look, la tua routine, provi a comportarti in un modo diverso in situazioni diverse e chissà, fai serata fino a tardi con le amiche. Hai bisogno di liberarti, di fare del nuovo, di fare qualcosa di catartico. E poi, a un certo punto, alla fine di questo limbo ti svegli e ti senti pronta per ripartire perché hai capito qualcosa di nuovo su te stesso».

Quindi possiamo dire che nel tuo bagaglio per la ripartenza c’è voglia di sperimentare, consapevolezza e un gruppo di supporto.

«Certo. Io ho figure fondamentali che in quei momenti sono veramente decisive».

Mon Amour, come ogni nuovo capitolo della vita, prevede un taglio di capelli.

«Certo, un taglio di capelli è emblematico di quel periodo in cui vuoi cambiare, per poi ritrovarti in versione arricchita, migliorata da tutti gli esperimenti che hai fatto. Io per il video di "Mon Amour" ho scelto una parrucca, che ben si presta al concetto: mi prendo una pausa di riflessione da me per essere qualcun altro, l'alter ego di me stesso. Qui entrano in gioco le parrucche con cui viene fuori quel pizzico di follia e di incoscienza che ci tiene a galla».

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courtesy Warner Music//ABC

Nella vita hai mai portato i segni di un cambiamento sul corpo?

«Sì, ho fatto tatuaggi perché mi andava di farli. Non mi sono tatuata un dragone sul petto, ecco, però ho dato sfogo ai miei piccoli colpi di d'istinto, preferisco chiamarli così rispetto a colpi di testa. Prima della fama ho tinto i capelli diverse volte: verdi, neri, viola. Ora devo prestare più attenzione quando decido di cambiare la mia immagine ma nel caso di "Mon Amour" è stato giusto dare anche una parte visibile al cambiamento. Si vede e si capisce subito che è qualcosa di diverso rispetto a tutto ciò che è venuto prima».

Parlando di immagine e visibilità, il tuo profilo Instagram è una vetrina dei tuoi lavori in cui c'è poco del tuo privato. É amore o odio con i social?

«Io vivo i social come qualcosa che mi piace curare affinché siano un tramite che mi permetta di far passare un racconto legato alla mia musica, al mio personaggio pubblico. É stimolante e vivo anche quello come parte fondamentale del mio lavoro. Sicuramente però non mi piace mostrare molte cose del mio privato perché non mi sento pronta, sostanzialmente, e non voglio distrarre dalla musica. Il pensiero di andare a finire su i giornali di gossip per me è un qualcosa che sento lontano e sono molto gelosa delle mie relazioni. Da quelle con i miei familiari ai miei amici intimi, è come se si inserisse un un ingrediente che può destabilizzare qualcosa, no? Quindi faccio fatica da quel punto di vista, però non la vivo male, ecco».

Ma un Finsta (fake Instagram, un profilo privato da condividere con poche e intime persone) ce l'hai?

«Sì, confermo di avere un profilo con un nome di fantasia che uso per interagire con i miei amici. In realtà interagisco poco e guardo molto, ecco, mi piace fare l'utente un po' passivo».

In un'intervista a Vanity Fair hai detto una frase che mi ha colpita: «A volte mento sul mio sentirmi a mio agio». Cosa ti rende fragile?

«Fare questo lavoro ti mette costantemente di fronte a un pubblico: quello dei social, il pubblico che ti ascolta quando fai un'intervista ad esempio, quello sotto al palco che mi crea un sentimento fortissimo di felicità, di realizzazione di un percorso. Fosse per me canterei e basta, ma crescendo ho imparato che ci sono tanti aspetti del lavoro che richiedono il contatto con la gente, il parlare in pubblico, il raccontarsi e a volte questo non mi fa sentire a mio agio. Eppure fingo di esserlo in quelle situazioni, perché sono parte del lavoro. Mi preparo e affronto il tutto».

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ABC

La formazione è una parte importante della carriera. Il percorso scientifico che hai intrapreso (Annalisa si è laureata nel 2009 in fisica all'Università degli Studi di Torino) gioca a contrasto con la tua parte creativa o la coadiuva?

«Effettivamente io applico il metodo scientifico alla mia creatività, in tutte le cose che faccio. Anche adesso quando ti raccontavo di aver dovuto imparare a fare certe cose, è tutto reale: se devo fare qualcosa, mi ci metto, la imparo e divento brava in questa cosa. C'è poi un lato artistico puro, quindi istinto, talento e viaggia su binari totalmente paralleli, staccati da tutto».

Quindi diciamo che Annalisa sul palco è istinto, è musica, è libertà. Annalisa fuori è sicuramente creatività, ma soprattutto, impegno.

«Confermo tutto», confessa ridendo.

Hai parlato degli incontri con il pubblico e non possiamo non citare la data del 4 novembre al Forum di Assago. Ti toglie il sonno o lo sogni di notte?

«Decisamente lo sogno di notte. Continuo a scrivermi appunti su quello che voglio fare, faccio ricerche immagini, penso alla scaletta: non vedo l'ora, vorrei andare in sala prove già da adesso, nonostante sia troppo presto! Sono sicura che sarà una liberazione magnifica».

Come vivrai il minuto prima di salire sul palco?

«In solitudine sicuramente. Devo ripassare mentalmente ciò che sto per andare a fare e ho bisogno di chiudermi, di stare tra me e me. Non ho gesti scaramantici, solo grande concentrazione».

Cosa non può mancare nel tuo camerino? Hai delle richieste particolari?

«Allora, partiamo con l'acqua naturale. Poi qualcosa da mangiare, tipo un carboidrato che non guasta mai, poi una bottiglia di vino bianco che faccio scegliere agli altri, basta che sia buono. Scesa dal palco devo avere il mio goccino di grappa per rilassarmi e per riflettere su quello che è appena accaduto. Queste sono le mie richieste, non non è qualcosa di complicato».

Mi piace l'idea della focaccia e del cicchetto, mi fa pensare a quei circolini di paese...

«Io amo i circolini e non vedo l'ora di andarci quando torno a casa dai miei genitori, che vivono in provincia di Savona, a Carcare. Sono luoghi di aggregazione con i miei amici, nonché posti mantra dell'entroterra ligure!».

Abbiamo iniziato parlando del successo di questo momento, che è ben visibile e alla luce del sole. Ma nella notte, nell'ombra, qual è l'ultimo pensiero prima di andare a dormire?

«In realtà io faccio fatica ad addormentarmi e prendo sonno sempre molto tardi, indipendentemente dall'ora in cui vado a letto. Raramente mi addormento prima delle due perché, ecco, penso troppo, penso tantissimo a tante cose insieme».

Fai parte degli over-thinker, insomma.

«Totalmente. Ed è anche la ragione per cui a volte appaiono distaccata nei rapporti, quando conosco le persone o sul lavoro. Ma non lo sono mai seriamente! É che penso tantissimo a tante cose insieme, quindi prima di parlare devo metterle in ordine, e prima di dormire faccio fatica a dare un senso a tutto. Alla fine sai come finisco? A guardare i panda su Instagram fino a notte fonda. Come tutti noi, no?».