«Una grande appassionata di storia, delle storie in generale». È così che Sofia Bertolli Balestra, direttrice creativa di Balestra con un passato fra lettere, giornalismo e storia dell’arte, si definisce sin dai primi minuti della nostra chiacchierata telefonica. Non a caso, a lei spetta il compito di riposizionare l’azienda di famiglia nella contemporaneità trasformando la realtà d’atelier creata dal nonno Renato Balestra al crepuscolo degli anni Cinquanta in una dimensione ready-to-wear pronta a diventare la destinazione preferita di una nuova generazione di donne. Una missione affidatale da Fabiana e Federica Balestra, figlie del fondatore e rispettivamente AD e Presidente della casa di moda, di cui si dice entusiasta, mostrando non solo di avere piena consapevolezza della responsabilità che ne deriva, ma anche una visione precisa come solo chi, nella vita, viaggia di continuo e in tantissimi modi diversi grazie alla propria curiosità. Basta guadare la collezione primavera estate 2024 di Balestra per farsi un'idea: presentata a New York, si ispira alla figura di Circe, che nell’Odissea viene raffigurata come una maga vestita di fiori di ranuncolo e tessuti di luce che esprimono la sua forza interiore. La proposta della maison italiana rivisita il racconto della semidea attraverso la moda, proiettandone ogni caratteristica nel presente, dalla femminilità di paillette e stampe floreali alla magia di sete e tessuti tie-dye dai colori sfumati. Di ispirazioni, di viaggi, scoperte, ricordi e progetti per un futuro che si accinge a rivisitare attraverso tutte le storie che le hanno toccato il cuore, Sofia Bertolli Balestra ha parlato con Cosmopolitan.

moda 2024 balestra intervista foto newspinterest
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Sofia Bertolli Balestra.

Com’è nata l’idea per la collezione SS 24?

«Stavo leggendo il romanzo Circe di Madeline Miller. Circe è una figura femminile che ha attraversato i secoli raccontata e descritta soprattutto da filosofi e scrittori uomini che l'hanno sempre rappresentata in maniera un po' negativa, come una maga ammaliatrice. Miller è la prima donna a raccontare la storia di Circe: la racconta come una scienziata moderna che conosceva profondamente le proprietà dei fiori e delle piante e che utilizzava la sua conoscenza per contrastare il suo status di ninfa, voleva uscire un po' da quello che la società chiedeva che lei fosse. Era la prima volta che vedevo questa figura raccontata in maniera molto più umana e mi aveva molto affascinata, quindi l'idea per la collezione nasce un po' da questo, dal voler raccontare delle donne emancipate, libere e indipendenti, mantenendo al contempo tutto il discorso delle pozioni, della magia e della scienza che ci ha portato a giocare molto con i tessuti, vedi il tie-dye o la stampa a fiori con i ranuncoli. Ho trovato nella Circe di Miller una figura molto simile alla donna che volevo raccontare, la donna che per me oggi è Balestra».

Come si svolge, in generale, il tuo processo creativo?

«Sono molto curiosa, mi informo e viaggio tanto. Quando sono nella mia città visito mostre, musei e gallerie d'arte. Anche nel weekend porto spesso i miei bambini a vedere cose che vanno dalle mostre alle gallerie e, soprattutto a Roma, dai monumenti storici ai siti archeologici. Sono tutte storie che sono state raccontate negli anni e in cui trovo gli spunti da cui attingere».

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Per presentare questa collezione hai scelto New York, dove tutto è cominciato nel 1958. Cosa hanno in comune Balestra e questa città?

«Oltre ad avere un grande legame per essere stata un po' il trampolino di lancio di Balestra, la città di New York è animata da una grande apertura, nutre una grande curiosità per "lo straniero", per la tradizione e per le radici. Questo per me è un po' un terreno fertile per raccontare qualcosa di nuovo: mentre in Italia si conosce il brand, e lo si identifica subito con Renato Balestra, l'America rappresenta la possibilità di raccontare una nuova storia».

Qual è il tuo posto preferito di New York – dove hai anche vissuto?

«Central Park, perchè è il centro, il cuore pulsante della città, ciò che le dà respiro. Per me andare a correre a Central Park era vita, era respiro, era un luogo di incontro con le persone: per me è un po' come una piazza, intesa come posto in cui si riuniscono le persone per chiacchierare».

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Prima di trasferirti a New York ti sei laureata alla Sapienza di Roma in lettere e giornalismo, poi ti sei specializzata in Storia dell’Arte Contemporanea. In che modo la tua formazione influenza il tuo lavoro di designer oggi?

«Sicuramente tantissimo, perchè i miei studi mi hanno dato la possibilità di conoscere argomenti diversi tra loro. In triennale ho studiato dalla filosofia greca alla letteratura latina. Ho fatto la tesi in storia, ed è stato l'ultimo esame che ho fatto, storia dell'arte contemporanea, a riaccendere la scintilla della mia passione per l'arte. Era un pot-pourri di argomenti e mano a mano che andavo ad approfondirli ho acquisito una conoscenza di più materie. Questo, la conoscenza di altre culture e di diversi modi di pensare, che poi è ciò che permette di viaggiare e argomentare, ha influenzato il mio lavoro».

Sin da prima di diventare direttrice creativa del brand hai lavorato moltissimo sui materiali d’archivio di Renato Balestra. Che rapporto hai con il passato?

«Sicuramente di grande ammirazione. Penso che noi oggi abbiamo le basi per raccontare nuovamente delle storie che sono già state raccontate e per questo dobbiamo imparare dal passato. Il passato è quello che siamo oggi, le esperienze dei nostri antenati, dei nostri genitori, e per questo è un po' lo zoccolo duro: lo vediamo anche parlando di attualità se pensiamo alle guerre, forse dovremmo studiare di più il passato e imparare da esso per non commettere gli stessi errori».

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Ripercorrendo la storia di Balestra è impossibile non menzionare il blu, che è diventato il simbolo del marchio. Qual è il primo ricordo che ti viene in mente pensando a questo colore?

«Un tubetto di pittura che veniva usato in atelier per fare gli schizzi e vedevo quando andavo in atelier a trovare il nonno e le sarte. C'era questo tubetto di tempera aperto, pieno di colore blu intenso, con accanto un pennello sempre sporco».

Tornando a oggi, nel presentare la collezione SS 24 hai ricordato che le donne sono sempre state raccontate dagli uomini. Quali sono le sfide che hai dovuto affrontare in quanto donna alla guida di un brand?

«Non è stato così semplice. Gli uomini a volte si soffermano più sul lato economico, come se i soldi fossero la prerogativa per fare qualcosa. Io penso invece che se hai la determinazione, tutto viene tutto naturale. Noi donne siamo molto più determinate degli uomini».

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Qual è il consiglio che daresti alle giovani donne che sognano di lavorare nella moda?

«Di non scoraggiarsi, di andare sempre avanti anche se ci saranno sempre quei famosi "periodi no", dove ci si sente meno forti e meno sicure di sé, e di continuare a credere in se stesse, perché abbiamo le spalle larghe e possiamo attraversare tutto. Inciamperemo tante volte, ma ci rialzeremo sempre».

E tu cosa sogni per il tuo futuro?

    «Ti cito un'intervista di Paola Cortellesi che ho trovato molto interessante. Lei dice «Io non ho dei sogni, ho dei progetti», e questa cosa mi è piaciuta tantissimo. Perché è vero, il sogno magari non si realizzerà, o comunque rimane qualcosa di aleatorio, il progetto è qualcosa di concreto che sicuramente vogliamo veder realizzare. Voglio portare Balestra nelle strade, vederlo indossato dalle donne, sempre di più. Quindi il mio è un progetto, non è un sogno, e si chiama Balestra».