Non c’erano luoghi più appropriati del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano per inaugurare, alle ore 11 di questa mattina, la Milano Digital Week. L'ex monastero di San Vittore, ristrutturato negli anni Cinquanta, 50.000 metri quadri di superficie complessiva e 21.300 beni tecnico-scientifici e artistici esposti – più una speciale galleria dedicata a Leonardo da Vinci, che presta il nome al Museo, e a pochi isolati da qui dipinse il Cenacolo – è il miglior trait d'union possibile di una rassegna giunta alla sesta edizione. L’appuntamento è dal 5 al 9 ottobre, per tutta una serie di talk, presentazioni di libri, panel, proiezioni e lectio magistralis – sono quattro, spiccano quelle di Jacques Attalì e Don Norman – sparsi per Milano, il cui comune promuove anche quest’anno la Digital Week realizzata da IAB Italia, Cariplo Factory e Hublab. Il ricco menù – il programma completo è già visionabile su https://www.milanodigitalweek.com/– è solo la punta dell’iceberg di un evento diffuso lungo tutta la superficie di Milano. «Non chiamiamolo evento – precisa però Nicola Zanardi, CEO di Hublab e curatore della Digital Week – stiamo mettendo in comunicazione le persone».

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Courtesy: Milano Digital Week

«Milano è partecipativa, attiva. Ha capito che le persone, con le loro competenze, sono il cuore di questa città. Il senso di questa sesta edizione della Milano Digital Week sta nelle numeriche. Le precedenti cinque edizioni hanno registrato oltre un milione di affluenza e 2500 eventi e non è banale, se pensiamo che l'80% della partecipazione viene – come si dice, secondo me erroneamente – dal basso. Abbiamo indetto una Call for proposal, ricevendo circa 400 candidature. In tempo di pandemia erano quasi settecento», prosegue Zanardi, che precisa come il tema della Milano Digital Week 2023 sia volutamente uguale all’anno scorso, lo sviluppo dei limiti. “Partecipare a una transizione digitale inclusiva, sostenibile, etica", recita il payoff, la cui versione alternativa era “Milano connect Milano”. Zanardi spiega: «Abbiamo parlato di limiti l’anno scorso, nel cinquantenario dalla pubblicazione del Rapporto sui limiti dello sviluppo, uno studio commissionato nel 1972 al MIT da Aurelio Peccei. Fece scalpore, negli anni Settanta si usciva dal boom economico, e c’erano contraddizioni che si stavano coagulando». Entro il 2050, la Terra rischiava di avere dieci miliardi di abitanti.

Già negli anni Settanta si parlava dell’esauribilità delle risorse energetiche. Abbiamo assistito alla crisi petrolifera e alla circolazione a targhe alterne nelle grandi città, alla teorizzazione della decrescita. «Quest'anno abbiamo chiesto delle soluzioni – conclude Zanardi – perché forse la politica non sta guardando così in là. I nostri panel coinvolgono filosofi, antropologi, umanisti. Le persone vanno al centro». Dal 5 al 9 ottobre, si parlerà di educazione, competenze digitali e innovazione tecnologica. Verranno presentati progetti, accademici o imprenditoriali. Si parlerà dei limiti: ambientali, sociali, economici e ancora culturali, etici, generazionali. Tanto urgenti quanto difficili da perimetrare. I poli tematici individuati sono sette: formazione (on demand), ambiente (e climate change), intelligenza artificiale, nuovi servizi al cittadino, salute, economia circolare e nuove forme d'arte. Si dialogherà dell’intersezione di arte, cultura e Web3. Lo si farà a Milano, «una città che ha nel dinamismo un suo elemento caratterizzante, oggi che il digitale e l'analisi dei dati ci danno opportunità che non abbiamo mai avuto», ha spiegato Carlo Mango, consigliere delegato di Cariplo Factory.

«Siamo partiti da tre temi, abbiamo cercato di dar loro una tassonomia. Il lavoro, le transizioni, l'intelligenza artificiale. Ricordo che se ne parla dal secondo dopoguerra, ha attraversato tutta la storia dell'informatica». Di contro, è mancato un altro tema, ereditato dal periodo pandemico: «È la cittadinanza digitale – sostiene Layla Pavone, coordinatrice del board per l’innovazione tecnologica e trasformazione digitale del Comune di Milano –, sebbene i limiti non siano altro che frontiere, che l’innovazione tecnologica ha sempre superato e abbattuto. Oggi dobbiamo assolutamente spostare il focus anche sulla digital citizenship». Già si evoca, senza menzione, digital divide e la necessità di un’alfabetizzazione digitale, cui la Milano Digital Week contrappone, ancora una volta, il suo carattere partecipativo. Molte migliorie sono state introdotte in città grazie a sessioni di co-design, workshop e studi sul journey della cittadinanza. «La pandemia ci ha reso più forti – conclude Sergio Amati, direttore generale di IAB Italia – ci ha fatto capire quanto il digitale potesse unire le persone. Sappiamo che ci sono i limiti, ma adesso chiediamoci come il digitale ci aiuti a superarli».

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