Su TikTok una ragazza inorridisce mentre un filtro le mostra come sarà da vecchia, un'altra si mostra struccata e con gli occhi gonfi con hashtag #reality, un'altra ancora con un video critica l'ultima intelligenza artificiale in grado di modificare i visi come una chirurgia estetica. Usa espressioni come «canone estetico dominante» e «body checking». Su Instagram una ragazza si fa un selfie mostrando gli addominali dallo specchio della palestra, un'attrice posta una foto dove le si vedono smagliature e cellulite, un post di una donna grassa viene rimosso dalla piattaforma. Il mondo digitale prende la forma della società in cui viviamo e la società in cui viviamo è ossessionata dai corpi e dall'immagine.

digital week come la gen z fa i conti con l'immagine corporeapinterest
Igor Ustynskyy//Getty Images

Negli ultimi anni il dibattito sulla percezione della nostra immagine corporea si è fatto sempre più intenso. La Gen Z è la generazione del corpo: magro, grasso, fluido, libero e costretto dalle norme. Allo stesso modo le piattaforme digitali sono entrate di diritto nella discussione perché è ormai quasi impossibile percepire la nostra fisicità come del tutto avulsa dal digitale. Quando ci scattiamo una foto e la postiamo, quando registriamo un video, quando scrolliamo i feed altrui e ci sentiamo inadeguati oppure finalmente rappresentati: l'idea che abbiamo del nostro corpo passa anche di là. Secondo una ricerca condotta da Revealing Reality e commissionata dalla 5Rights Foundation, con un solo like a un qualsiasi contenuto che riguardi bellezza o fitness, l'algoritmo di Instagram ti invade di contenuti su perdita di peso, esercizi e tecniche per modellare il proprio corpo. Secondo uno studio dalla National Eating Disorders Association, il 70% dei ragazzi della Gen Z intervistati ha affermato che i social media hanno avuto un impatto negativo sulla loro immagine corporea. L’indagine ha scoperto che i ragazzi che trascorrono più di due ore al giorno sui social hanno maggiori probabilità di riferire un' immagine corporea negativa.

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    Maskot//Getty Images

    Ci sono i nostri corpi, imperfetti, fatti di carne, di sensi, di esperienze vissute, e c'è l'immagine che vorremmo avessero, condizionata dagli standard fissati (spesso tra sessismo, razzismo e grassofobia) dalla società nei secoli. I social si inseriscono nel meccanismo, stimolano la comparazione e provocano inadeguatezza con conseguenze sulla salute mentale e sullo sviluppo di disturbi alimentari. Un sondaggio condotto da Girlguiding UK ha riportato che il 57% delle ragazze di età compresa tra 11 e 21 anni ritiene che gli influencer possano condizionare la loro definizione di bellezza. Eppure bisogna notare che tutto questo non è un fenomeno nuovo: oggi la Gen Z deve vedersela con i corpi perfetti delle #ThatGirl su TikTok, ma gli adolescenti degli Anni '90 vivevano ugualmente immersi nella diet culture che si propagava, semplicemente, in altro modo.

    Allo stesso modo è sempre merito dei social se oggi si parla di body positivity: negli ultimi anni le piattaforme online ci hanno dato la possibilità di vedere una quantità enorme di corpi diversi: corpi grassi, corpi con disabilità, corpi trans, corpi queer, corpi mostrati così come sono. Fino a poco tempo fa tutto questo non sarebbe stato possibile. Sì, il digitale sta educando il nostro sguardo, anche in peggio, ma nel farlo garantisce uno spazio, anche a livello di esposizione visiva, a persone e realtà che la nostra società bolla come non conformi. Sta facilitando la creazione di comunità e facendo sentire "viste" persone invisibilizzate. «I contenuti body positive su Instagram possono fungere da antidoto alle frequenti rappresentazioni di immagini di donne molto magre e modificate digitalmente», si legge in un paper pubblicato nel 2021.

    Dallo studio emerge come immagini e parole che supportano un approccio positivo al corpo hanno effettivamente un impatto concreto sul nostro modo di percepirci. Ma dove pende, allora, l'ago della bilancia? Forse è la domanda che non funziona. Se il digitale è uno specchio, ci rimanda indietro esattamente quello che noi gli mettiamo davanti. Il punto allora diventa capire chi siamo davvero come società e vivere il digitale come uno strumento che può risultare più reale di quanto si crede.