In questi giorni abbiamo letto in lungo e in largo la notizia delle accuse di violenza sessuale al figlio del presidente del Senato La Russa, Leonardo Apache. Il ventunenne è stato accusato da una ragazza di 22 anni di aver abusato di lei dopo una notte in una discoteca di Milano. La ragazza ha raccontato di essersi svegliata a casa di La Russa senza ricordarsi nulla della serata, ha detto che lo stesso Leonardo le avrebbe confessato che lui e un altro ragazzo avevano entrambi avuto rapporti sessuali con lei. L'amica che era con lei in discoteca sostiene sia stata drogata tramite un drink, ma c'è un dettaglio che, al diffondersi della notizia, non abbiamo potuto ignorare. La denunciante ha ammesso di aver assunto spontaneamente della cocaina prima di incontrare La Russa e, dentro di noi, abbiamo subito avuto chiaro che questo poteva voler dire una sola cosa: victim blaming, «se l'è cercata».

first parliament sitting of the italian republic's xix legislature after snap electionspinterest
Antonio Masiello//Getty Images
Il presidente del Senato La Russa

Il presidente ha parlato in favore di suo figlio mettendo da subito in dubbio le parole e la condotta della ragazza. «Di sicuro lascia molti interrogativi una denuncia presentata dopo quaranta giorni dall’avvocato estensore», ha dichiarato, nonostante, come sappiamo, denunciare non sia affatto un gesto scontato anche solo per la gogna mediatica e l'opera di screditamento a cui si va incontro. «Lascia oggettivamente molti dubbi», ha continuato, «il racconto di una ragazza che, per sua stessa ammissione, aveva consumato cocaina prima di incontrare mio figlio. Un episodio di cui Leonardo non era a conoscenza. Una sostanza che lo stesso Leonardo sono certo non ha mai consumato in vita sua. Inoltre, incrociata al mattino, sia pur fuggevolmente da me e da mia moglie, la ragazza appariva assolutamente tranquilla».

Insomma, un copione di vittimizzazione secondaria già visto e già sentito. Eppure la Cassazione dice chiaramente che «la situazione di menomazione della vittima, a prescindere da chi l'abbia provocata, può essere strumentalizzata per il soddisfacimento degli impulsi sessuali dell'agente». Dunque il fatto che la volontà della vittima sia alterata e qualcuno se ne approfitti può configurarsi come violenza sessuale.

La legge è chiara (anche se nel diritto penale italiano manca un riferimento normativo al consenso), ma la narrazione della violenza continua a richiedere vittime perfette che seguano norme che poi, di fatto, non bastano mai. Se bevi ti metti in pericolo, se hai la gonna corta provochi, se sei troppo libera sessualmente mandi un messaggio sbagliato, se ti droghi cosa ti aspetti? Lo stupro viene visto quasi come un evento inevitabile a cui le donne devono sottrarsi, eventualmente anche non uscendo di casa. Finché il focus sarà sulla vittima e il processo verrà fatto a lei, avremo una giustizia parziale. Come ha detto la segretaria del PD Elly Schlein, «È per questo tipo di parole che tante donne non denunciano per paura di non essere credute».