Trans, transgender, transessuale… mamma mia quante etichette! Partiamo da un semplice e banale presupposto: il mondo non è formato da persone suddivise in sottogeneri e sottocategorie. Il mondo è formato da individui con un passato e con un vissuto intimo e privato, ognuno diverso da ogni altro. Il passato di una persona transgender è sicuramente diverso da quello di un uomo, nato uomo che si è sempre identificato nel genere maschile o da quello di una donna, nata donna che si è sempre identificata nel genere femminile. Per indicare una persona che si riconosce in un genere diverso da quello di nascita si è sempre utilizzato due vocaboli: transgender o transessuale. Ma qual è la loro differenza? A parlarcene è stata Andrea Boga, come si descrive lei, una donna orgogliosamente transgender che, su Instagram, fa della sana informazione: “Se dieci anni fa avessi trovato un canale come il mio, mi sarei sentita compresa. Sto cercando di diventare la persona che avrei voluto al mio fianco quando ero piccola”.

Parliamo delle due parole che hai spiegato nel dizionario dell’inclusion: transgender e transessuale. Come hai raccontato, transessuale è un termine medico, mentre transgender è nato dagli attivisti. Tu come ti poni davanti questi due vocaboli?

Per molto tempo ho fatto fatica a usare questi termini, soprattutto quando ho iniziato il mio percorso di transizione. All’epoca ero fidanzata e la mia vita era come quella di una qualsiasi ragazza. Non dicevo mai di essere transgender, stavo con un ragazzo e, entrambi, ci nascondevamo dietro al mio aspetto. Fino a quel periodo ho avuto un rapporto conflittuale verso queste due parole. Io sono donna, ho sempre pensato. Poi ho capito che sì, sono donna, ma sono anche una donna transgender. Teoricamente io sono una persona transessuale perché essendo sotto terapia ormonale, sono medicalizzata. Questa sarebbe la parola corretta. Quando mi sono lasciata con il mio ragazza, ho affrontato il fatto che mi nascondessi dietro al mio aspetto, ho capito di non essere felice con me stessa. Oggi parlo molto più liberamente di me… non faccio troppa distinzione tra i due termini. Una delle prime cose che le persone mi chiedono è se sono operata. Essendo operata, il termine medico corretto è transessuale. Transgender è la parola comunque più inclusiva anche perché nata da un movimento di attivisti.

Quanto è importante sapere cosa ci sia sotto i vestiti? Purtroppo questa è una domanda che mi viene posta spesso

Credo ci sia davvero poca informazione, hai parlato di operazione. Possiamo spiegare che per essere una persona transgender non è necessario fare un’operazione?

Le persone danno per scontato che un cambiamento prima o poi avverrà. Danno per scontato che tutte le persone transgender vogliano operarsi. Sottovalutano tante cose. Prima di tutto l’influenza psicologica che un’operazione di riassegnazione chirurgica del sesso possa avere. Sottovalutano il costo. In Italia le operazioni sono passate dal servizio sanitario, ma il problema è che i chirurghi che operano non sono altamente specializzati su questo tipo di procedure. Molte volte ci sono risultati disastrosi che possono compromettere la sessualità e gli organi interni. Inoltre se si volesse fare l’operazione all’estero ci sarebbero da considerare i costi: il viaggio, la permanenza. Si va soprattutto in Thailandia e la degenza è di un minimo di tre settimane. Stare via dall’altra parte del mondo, soli… tutto questo non è facile a livello mentale, fisico e psicologico. Dare per scontato ciò che per noi è un percorso di vita difficile, è inopportuno.

Quali sono le cose da non dire e da non chiedere a una persona transgender?

Non merito più rispetto di altri solo perché i miei lineamenti richiamano quelli femminili

Non è normale chiedere quali genitali si abbia, ma è una cosa che ai transessuali viene sempre richiesta. A me inoltre viene sempre detto che non sembro trans, ma una bellissima donna. Tutto questo viene fatto con innocenza, si pensa sia un complimento. Il problema è che se questo risulta un complimento, ma il non sembrare trans si trasforma in un insulto. Si giudica la persona in basa all’aspetto. Il mio aspetto è conforme a quello di una donna, ma io non merito più rispetto perché i miei lineamenti richiamano quelli femminili. Inoltre bisogna sempre riconoscere l’identità, l’identità non è un’opinione.

Il tuo percorso di transizione inizia al liceo, ma da bambina come ti sentivi?

Il problema è nato quando ho iniziato a confrontarmi con il mondo, andando a scuola

Ero l’opposto di oggi. In famiglia ero sempre molto presente e felice, nessuno mi ha mai fatta sentire sbagliata o diversa. Il problema è nato quando ho iniziato a confrontarmi con il mondo, andando a scuola. Tra elementari e medie sono diventata introversa, timida. Mi vergognavo di esistere, mi sentivo totalmente sbagliata, non capivo chi fossi. Capivo il ruolo sociale al quale dovevo attenermi che però non sentivo mio. Gli altri mi etichettavano come gay e questo mi mandava in confusione. Sentivo che ero attratta dagli altri ragazzi, ma non mi sentivo attratta come un ragazzo. Sentivo che dentro ero diversa.

Poi cosa è cambiato?

Al liceo ho trovato una seconda famiglia. I professori e i miei compagni mi hanno capita prima ancora che io mi capissi. Mi hanno spronata a essere me stessa. In quegli anni non ho mai subito del vero bullismo, anzi risultava strano chi mi bullizzava. Le mie compagne, inoltre, chiesero alla mia professoressa di educazione fisica di farmi cambiare nel loro stesso spogliatoio. Prima di questo, mi cambiavo in bagno, mi sentivo a disagio.

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Non hai mai subito attacchi violenti?

Mai, per fortuna. Ho subito molto bullismo alle medie, anche da parte di una delle professoresse. Ma ho imparato che nel momento in cui decidi di essere te stessa, gli altri non possono più farti male. Io oggi non mi reprimo.

Settimana scorsa il governo americano ha dichiarato che dal prossimo anno, per l’identificazione del proprio genere sul passaporto, sarà eliminata la richiesta di una nota medica. In Italia, invece, è da alcuni anni che questo è possibile.

Fino al 2015 se volevi modificare i documenti dovevi aver fatto un’operazione chirurgica di rettificazione del sesso. Motivo di forte stress per tutta la comunità. Io ho iniziato il mio percorso medico legale, l’anno successivo. Io non sono operata, ma ho i documenti rettificati e questa è una grandissima liberazione. Gli altri non possono sapere se sei operata oppure no, in questo modo la privacy è rispettata. Ne consegue anche un miglioramento della qualità della vita. Sotto qualsiasi aspetto. Anche sotto un punto di vista lavorativo. E questo è il motivo per cui fino a poco tempo fa, molte persone transessuali si prostituivano. È una conseguenza normale perché nessuno ti considera o ti offre lavoro. Non c’è ancora una legge che ci tuteli.

Come ti poni davanti alla proposta di legge Zan?

Per quello che vedo io, nel mio percorso di condivisione online, molte persone mi scrivono che sono riuscite a immedesimarsi nel mio percorso. In tanti si sentono discriminati. Tutti hanno un passato, un vissuto per cui hanno sofferto. Empatizzare con una persona transessuale non è difficile. Penso che una legge come il DDL Zan non vada a vantaggio solo delle persone trans o disabili, è una legge dalla quale beneficerebbero tutti. Si tratta di libertà che dovrebbe essere il diritto fondamentale di ogni persona. Essere se stessi senza discriminazioni.

Quale consiglio daresti a un bambino o una bambina che sta affrontando il tuo stesso percorso?

Direi di non reprimersi. Ho capito l’importanza del tempo. Nella vita possono accadere tante cose, per questo dobbiamo usare bene il nostro tempo per essere persone felici e libere.

Come affrontare le frasi di odio?

Bisogna sempre avere una rete di supporto. Io sono stata fortunata, spero che le persone, con il tempo, capiscano che siamo persone e non esseri alieni. È importante avere amici e una famiglia che supporti sempre. Questo è il modo migliore per affrontare le persone che giudicano. Se si è deboli e soli non è difficile farsi del mare.