"Che palle, mi sono arrivate le mie cose". Quante volte ognuna di noi ha pronunciato questa frase? Troppe per contarle. Ma perché anche se il ciclo è una cosa di cui dovremmo andare fiere, lo consideriamo come una cosa negativa, una scocciatura, qualcosa di fastidioso di cui faremmo volentieri a meno? E se fosse colpa (anche) della medicina? Secondo la storica britannica Jane McChrystal tutta la narrazione negativa sulle mestruazioni non è casuale, ma è stata messa in atto anche dalla classe maschile dotta con uno scopo preciso: escludere le donne da tutte quelle attività accessibili anche agli uomini. Un esempio su tutti? La scuola.

In un articolo apparso il 10 ottobre 2021 su History Today, McChrystal racconta che nel 1870 Henry Maudsley, psichiatra e fondatore dell'ospedale psichiatrico di South London (che porta il suo nome ancora oggi), scrisse un saggio in cui spiegava che per le ragazze tra i 14 e i 16 anni le mestruazioni richiedevano un tale dispendio di energia che non avrebbero dovuto frequentare la scuola e riposare. La conseguenza più ovvia è che passati questi anni le ragazze non avrebbero più potuto recuperare il gap dei coetanei maschi a livello di istruzione, rimanendo indietro e dunque svantaggiate.

"Alle donne e alle ragazze erano, in sostanza, sbarrate le porte d'accesso all'educazione superiore e dunque all'avviamento delle professioni. Ma non era solo la mancanza di energia a compromettere la performance delle donne. Maudsley sosteneva che le donne che non accettavano il divieto di interrompere la propria attività durante le mestruazioni sarebbero andate presto incontro a squilibrio mentale, fine delle mestruazioni, breakdown, epilessia e corea (una malattia che porta a declino cognitivo e problemi psichiatrici, ndr)".

Con queste premesse è ovvio che il fatto di avere le mestruazioni non era certo un aiuto nell'affermazione professionale e sociale delle donne di fine Ottocento e, possiamo dirlo, delle donne degli anni a venire incluse noi. Pensiamoci, ancora oggi certi stereotipi, certi miti e certi tabù persistono. Secondo McChrystal, già a fine Ottocento c'erano altre correnti di pensiero nel mondo scientifico che sostenevano come le mestruazioni non fossero in alcun senso una disabilità, ciononostante l'idea che in quei giorni le donne fossero in qualche modo irritabili e debilitate è divenuta predominante ed è sopravvissuta fino a oggi.

Non c'è da sorprendersi che gli studi fossero condotti soprattutto da medici uomini. Fortunatamente Jane McChrystal nel suo articolo ci racconta anche di tre donne pioniere che dopo l'università (e quindi dopo aver raggiunto lo stesso livello di studio dei medici uomini), iniziarono a condurre studi innovativi sul corpo femminile, aprendo la strada per un approccio più scientifico e positivo al ciclo mestruale per sfatare falsi miti e credenze. Insomma, se oggi parliamo di Period Pride è anche grazie a loro.

Elizabeth Garrett Anderson

Fu la prima donna d'Inghilterra a diventare dottoressa e scrisse sul Fortnightly Review una potente replica alle tesi di Maudsley sostenendo che ogni donna che aveva raggiunto qualcosa nella vita, lo aveva fatto ignorando le esigenze fisiche delle mestruazioni e alla faccia della durezza e dell'ostilità del mondo circostante. Non solo, le donne che lavoravano nelle fabbriche e come domestiche non potevano permettersi di riposare durante le mestruazioni e non mostravano nessuno dei sintomi con cui si minacciavano le donne delle classi sociali più avvantaggiate. Le sue affermazioni diventarono virali e spinsero altre studiose a confermarle attraverso ricerche ed esperimenti.

Mary Putnam Jacobi

Laureata alla Sorbona, condusse uno studio su larga scala negli Stati Uniti per dimostrare che le mestruazioni non hanno alcun impatto sulla forza muscolare delle donne e concluse con queste parole: «Non c'è nulla nella natura delle mestruazioni che implichi la necessità, o perfino la desiderabilità, di riposo».

Leta Hollingworth

Leta Hollingworth, psicologa statunitense, nel 1914 pubblicò i risultati di un piccolo studio condotto su donne e uomini per confrontare la loro performance mentale e psicologica durante un certo numero di mesi. Concluse che non c'erano prove che in un dato momento del mese le donne avessero una minore efficienza.

Clelia Duel Mosher

Dopo aver studiato 12,000 (sì, 12,000!) cicli mestruali su 2000 donne, nel 1923 Clelia Duel Mosher pubblicò un saggio intitolato Woman’s Physical Freedom, in cui spiegava che i disturbi legati al ciclo erano da attribuire a un cattivo regime di salute e all'uso del corsetto piuttosto che alla mancanza di riposo.

Il cammino verso una conoscenza e uno studio privi di pregiudizi nei confronti del corpo della donna era cominciato, ma non era che l'inizio. La necessità di studi specifici sulle donne è più attuale che mai (pensiamo alla mancanza di dati sugli effetti dei vaccini anti Covid-19 sui cicli mestruali) e se pensiamo che ancora oggi dobbiamo sfatare falsi miti sulle mestruazioni, il percorso è ancora lungo.

Headshot of Michela Fiorentino Capoferri
Michela Fiorentino Capoferri
WEB CONTENT EDITOR

Filosofa di formazione e web editor di professione, ho una mente digitale e uno spirito analogico. Colombiana per metà, amo ballare e ascoltare qualsiasi genere musicale dalla cumbia alla trap, ma il palato è italiano al 100% e gli spaghetti al pomodoro sono la mia formula per la felicità.