È una bella ragazza con gli occhi azzurri che, per caso, si è trovata a svolgere un lavoro di enorme responsabilità: il perito fonico. In poche parole, quando viene commesso un crimine Alessandra Monasta viene chiamata per ascoltare le intercettazioni dei sospetti e capire, con un attento esame della voce, dove sta la verità. Ha "studiato" Totò Riina, i coniugi della strage di Erba e altri protagonisti delle cronache italiane. Ora ha scritto un avvincente romanzo ispirato alla sua storia: La cacciatrice di bugie (Longanesi, € 14,90). Noi le abbiamo chiesto di raccontarci di sé, del suo talento e di come lo si può applicare alla vita di tutti i giorni. Prendi appunti...

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La scrittura come terapia
«Ho avuto due genitori insegnanti che ci tenevano molto che io sapessi scrivere... ma la verità è che ho iniziato a farlo davvero quando ho intrapreso questa carriera. Avevo 20 anni e un grande bisogno di scaricare su un diario tutte quelle emozioni, paure e idee. Poi la scrittura è diventata abitudine, visto che come perito mi capita di scrivere rapporti anche di 20.000 pagine sulla vita di una persona di cui ascolto le conversazioni: e chi legge deve potersi immaginare la sua storia e l'ambiente in cui vive».

Un inizio del tutto casuale
«Visto che non esiste una scuola per periti fonici, posso dire di aver iniziato davvero per caso.
Il punto di partenza è stata la mia predisposizione all'ascolto delle persone: sono sempre stata empatica. Inoltre il suono è sempre stato importante per me, tanto che ho iniziato a cantare e suonare il pianoforte a 6 anni. Dopo le superiori mi sono iscritta all'università, facoltà di Giurisprudenza. Un giorno mio zio mi ha proposto di lavorare per un magistrato dell'antimafia, suo conoscente, che aveva bisogno di una babysitter molto qualificata per i suoi figli. Ho risposto che non mi interessava: ero troppo impegnata con gli studi. Ma lo zio mi ha convinto, dicendomi che l'ambiente legale era quello in cui avrei lavorato e che farmi dei contatti era importante. Così ho accettato. In quella casa c'era un via vai di ragazzi in giubbotto di pelle che io avevo capito essere poliziotti: ed ero incuriosita da quel mondo. Poi un giorno, parlando con il magistrato, lui mi ha detto: "Ti conosco bene ormai: sei intelligente, empatica, piena di energia, affidabile. Saresti perfetta per lavorare come perito fonico. Se mi prometti che non abbandoni subito il tuo lavoro di babysitter, ti metto in contatto con chi ti può insegnare il mestiere. E così è stato. E ho subito capito che era il lavoro per me. All'inizio ho continuato a studiare Legge, poi ho dovuto mollare. Ma i miei esami sono validi e sto meditando di laurearmi. Nel frattempo ho conseguito un diploma in Master Triennale di Counseling e svolgo anche attività in ambito sportivo, in particolare nel calcio».

Lavorare con i maschi
«Per sopravvivere in un ambiente prevalentemente maschile, la prima regola che mi sono data è di non avere storie sul lavoro: tanto me le avrebbero attribuite comunque! Se volevo essere valutata e ascoltata per la mia intelligenza, era necessario fare così… e non è facile quando incontri persone che ti piacciono e hai uomini di potere che ti corteggiano. Ho anche avuto la fortuna di conoscere donne toste, che lavorano nell'ambiente legale, a cui mi sono ispirata. Ho imparato a vestirmi in modo da "fondermi" con l'ambiente: non indossando la toga, in aula sono più visibile degli altri. Così mi sono inventata una divisa: giacca e pantaloni neri oppure scamiciato e giacca neri. Tanto, visto che ho i capelli lunghi e sono formosa, la mia femminilità viene comunque fuori. È indubbio che sul lavoro noi donne dobbiamo faticare più degli uomini e i nostri errori non vengono perdonati. Ma per starci dentro è importante riscoprire l'importanza delle nostre caratteristiche femminili. Per esempio, nel mio lavoro ci sono situazioni in cui la presenza di una donna non è consigliabile perché cambia gli equilibri: quando avvocati, magistrati, poliziotti e imputati sono tutti maschi, il mio arrivo può falsare la comunicazione, perché i toni in automatico si ammorbidiscono. All'inizio questa esclusione mi faceva infuriare. Poi un magistrato, con gentilezza, mi ha spiegato. E allora ho smesso di sentirmi sminuita, ho capito che noi donne portiamo sul lavoro necessariamente qualcosa di diverso. So che in procura ci sono persone contente di lavorare con me perché sono una donna. Mettersi in guerra per avere un rapporto alla pari, quando non siamo uguali, non ha senso: bisogna puntare sulla professionalità, senza rinnegare il proprio essere donne».

I casi di violenza sulle donne
«Lavorare a casi di stalking o violenza vera e propria è pesante per me. Ne ho tratto questa convinzione: che non dovremmo mai dare alibi e concedere troppo tempo e troppi anni a chi non ci rispetta, ci fa male, ci spaventa. Bisogna fermarsi prima, ascoltarsi. Se stiamo ferme, diamo l'occasione all'altro di fare cose che magari non farebbe. A volte le situazioni degenerano proprio perché si è preso tempo. Bisogna imparare a non regalare scuse, né a trovarne per sé e agire: presto».

I misteri della voce
«Ogni voce ha una musicalità, un ritmo: il volume si abbassa e si alza, ci sono delle pause… quando si parla con qualcuno non bisogna mai limitarsi alle parole. Per ascoltare gli altri bisogna mettersi nella disposizione d'animo giusta, accantonare i pregiudizi e l'ansia di dare subito delle risposte. Occorre darsi tempo: l'orecchio ha bisogno di almeno una decina di minuti per abituarsi a un suono. Quindi l'ascolto vero, empatico, ha bisogno di calma per crearsi. Per esempio: dopo una giornata frenetica, dove fai mille cose diverse, non puoi passare direttamente a una cena con il fidanzato o con le amiche. Prima devi prenderti qualche minuto per entrare in contatto con te stessa e domandarti: "Come sto, di cosa ho bisogno in questo momento?". Altrimenti non riuscirai a entrare in sintonia con gli altri e con ciò che dicono. Potrai essere davvero presente solo se ascolterai le tue emozioni, prima di quelle altrui. Entrare e uscire dall'ascolto non è facile. Per me, dopo una giornata passata in cuffia ad ascoltare intercettazioni, concentrandomi su 7, 8 voci alla volta, andare in un luogo pubblico è durissima. Perché mi entra tutto dentro, i canali uditivi sono apertissimi. Quando sono costretta a farlo, le mie amiche si divertono un sacco. Mi chiedono: "Cosa si sta dicendo la coppia qui accanto?". E io glielo racconto, ma alla fine... sono spossata. La verità è che per staccare ho bisogno di silenzio o musica classica. Questo può valere per tutti: durante un dialogo importante con qualcuno le emozioni si muovono più veloci delle parole, e noi donne in particolare attiviamo la capacità di accoglienza, di cura. Dopo, bisogna prendersi il tempo di metabolizzare, di restare in contatto non solo con quello che è stato detto, ma con il modo in cui le parole ci sono arrivate».

Saper ascoltare gli altri
«Tutte noi abbiamo credenze e pregiudizi, specialmente nei confronti dei maschi. Questi diventano barriere, filtri, che non ci permettono di sentire davvero ciò che l'altro ci sta dicendo e che appesantiscono la relazione. Mi torna spesso in mente un film con George Clooney, Tra le nuvole, dove lui interpreta un tagliatore di teste e parla di questo "zainetto" che tutti noi ci portiamo sulle spalle e che è pieno dei nostri pregiudizi, paure, bisogni. In effetti è proprio così: e per capire davvero cosa ci sta dicendo una persona dobbiamo cercare di alleggerirci. Più che ascoltare con le orecchie, dobbiamo sintonizzarci con le emozioni che ci arrivano dalle parole altrui. Solo così l'ascolto sarà davvero autentico e profondo».

Gli uomini & le bugie
«Sarebbe bello che gli uomini non mi mentissero perché sanno che li so smascherare… invece lo fanno lo stesso! Tra l'altro tutte le donne hanno la capacità di cogliere le menzogne: il problema è che nessuno ci insegna a dare retta al nostro sesto senso. Quando percepisci che una persona mente, avere il coraggio di verbalizzarlo è una forma di amore, accettazione e libertà (prima di tutto per se stessi e poi verso l'altro). Dire a un uomo: "Guarda, lo so che non stai dicendo la verità, ma io ti voglio bene e sono qui ad ascoltarti" può davvero cambiare la relazione. Il problema con le bugie è che noi pensiamo che si tratti di sgarbi nei nostri confronti, ma io ho imparato che non è così. La bugia è un problema di chi la dice. Se un uomo, pur sapendo che io capisco, e che le sue bugie avranno delle conseguenze, insiste nel mentire, vuol dire che non riesce a fare altrimenti perché in quel momento ha un'esigenza più grande: non ferirmi o proteggersi. Io non la prendo più sul personale. Penso: mi sta mentendo e ciò mi fa arrabbiare, ma è lui che non ha il coraggio di dire la verità. Da un po' di tempo sono molto diretta. Il mio ex fidanzato capiva benissimo che per me dirgli: "Riconosco le tue bugie" era un gesto di affetto. Sai cosa succede se non dici niente e lasci perdere? Che la rabbia ti rimane dentro. E viene fuori con una litigata o con un momento improvviso di tristezza. Essere chiari non vuol dire dare all'altro carta bianca, accettare da lui qualsiasi cosa. Significa passargli la palla, fornirgli la possibilità di fare una mossa costruttiva. E se continua a comportarsi come prima? Tu avrai la libertà di scegliere e, se vorrai, andartene. Il punto è che spesso le donne non scelgono. Sono brave a farlo nella fase del corteggiamento ma poi, una volta che un uomo le ha acchiappate, si mettono in una condizione emotiva di attesa, bisogno. Ore di ascolto di conversazioni tra coppie mi hanno raccontato che il corto circuito tra maschi e femmine è la pesantezza. Per un uomo le cose funzionano quando l'approccio è leggero: e leggerezza vuol dire anche dichiarare che c'è qualcosa che non va. Se invece si trattengono bisogni e necessità che poi si fanno esplodere senza motivo apparente, s i appesantisce la relazione. I rapporti sono una partita, sempre. Io, dopo anni di esperienze intense e istruttive, la partita più stimolante ho iniziato a giocarla con Fabrizio: e ne parlo nel mio libro...».