Un nuovo album, specchio di una vita trascorsa sul palco, dove l’amore è centrale. James Blunt, il cantautore che vent’anni fa incrociava lo sguardo di una ragazza sulla metro e scriveva “You’re Beautiful”, conquistando le radio di tutto il mondo, oggi torna a parlare d’amore in Who We Used To Be, in uscita il 27 ottobre. Lo fa ora in modo consapevole, dedicando le canzoni più intense alla donna della sua vita, sua moglie. È diventato padre, ha cambiato etichetta discografica, è ripartito dalla voglia di fare musica, in piena libertà. L’artista che anni fa non richiamò Kanye West («Forse avrei dovuto e la mia carriera sarebbe esplosa, ma io scrivo canzoni personali, non so se ci sarebbe stato»), che ha convissuto con Carrie Fisher («Ho scritto una canzone per lei, era una grande forte donna, un’ispirazione, ma anche fragile»), si racconta con estrema sincerità. Lo abbiamo incontrato a Milano, all’interno della sua casa discografica. Sorridente, disponibile e estremamente educato, tanto da voler stringere la mano a uno a uno dei giornalisti presenti (no, non è scontato), suonerà a Milano il prossimo 2 marzo.

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Partiamo dal titolo?

«Ho scritto una canzone che si chiamava "Who we used to be", ma poi non l’ho messa nell’album. Sono in questo settore da 20 anni, ho iniziato come giovane uomo con un grande sogno. Avevo l’innocenza, l’inconsapevolezza tipica di quell’età. Il mondo non sembrava così diviso, mi facevo tante domande. Ora alcune domande hanno trovato risposta. Non mi chiedo più dove sto andando, chi incontrerò. Ho conosciuto una donna e voglio vivere con lei per il resto della mia vita. Sono cambiato, mi sono sistemato. Non scrivo più canzoni per le altre, ma per lei. I miei genitori stanno invecchiando, ora mi devo occupare io di loro e non più loro di me. Ho figli, devo pensare a loro invece che a me. Parlo del posto in cui sono ora. È un album per adulti, pieno di nostalgia».

Nostalgia di cosa?

«Da adulti, nelle relazioni in generale, ci troviamo a lasciare indietro il sogno della giovinezza, il sogno del primo amore che non è diventato realtà. La vita è corta e quando ce ne accorgiamo dobbiamo iniziare ad agire. Alcuni momenti passano, alcune volte rimangono rimpianti».

Tu ne hai?

«Sono stato fortunato, vivo una vita che è un sogno trasformato in realtà. Volevo fare la rockstar e invece sono diventato una popstar. Avrei potuto suonare negli stadi e invece suono nelle arene. Ma non ho nessun rimpianto, sono davvero fortunato. Sto iniziano un tour mondiale. E ho invitato i miei amici inglesi in Italia perché qui il pubblico è pazzesco».

Non c’è più il ragazzo che si innamorava di una ragazza sulla metro?

«Ho una persona, non la sogno più. Ho trovato l’amore più grande, quello per sempre»

Canti che è lei a salvarti ogni giorno. Da cosa?

«Mi salva da me. Siamo tutti alla ricerca di qualcuno. Io ho girato il mondo, ero alla ricerca di lei. Lo stress è passato. L’ho incontrata in un pub».

Nella cover ci sei tu bambino, perché?

«Avevo sei anni, eravamo nello Yorkshire, la foto è stata scattata da mio papà. Lui lavorava nell’esercito, ogni due anni ci spostavamo. In questa foto abbiamo colorato il cielo perché quel giorno pioveva, volevo emanasse positività. La foto cattura quell’innocenza e gioia dell’infanzia, che ho cercato di recuperare in queste canzoni. La libertà di poter scrivere senza preoccupazioni o aspettative».

Era faticoso cambiare casa e paese ogni due anni?

«Da piccolo ci si adatta a tutto. Ogni volta che traslocavamo mia madre diceva a me e mio fratello, quando arrivavamo nella nuova base militare, di bussare a tutte le porte dei vicini, per cercare bambini della nostra età. Diventavano i nostri migliori amici per due anni, e poi più nulla. È stato molto bello».

Ora dove vivi?

«Vivo nel tour bus principalmente. E tra Ibiza, l’Inghilterra e la Svizzera, nel mio quotidiano».

La musica in questi vent’anni è cambiata molto, che effetto ti fa?

«Una volta facevamo album, ascoltavamo album, oggi devo concentrarmi sulle singole canzoni. Ed è stimolante perché non puoi nasconderle, ognuna deve essere in grado di vivere da sola. È uno stimolo, per fare ancora meglio musica. Ma non penso ai numeri, quest’album l’ho scritto senza pormi obiettivi numerici, semplicemente guardandomi allo specchio, con un’integrità che non avevo mai avuto».

Con l’album uscirà anche il tuo primo libro.

«In Inghilterra c’è un proverbio che dice che tutti hanno un libro nella vita. Io forse avrei dovuto tenerlo per me (ride, nrd). Non è un memoir, anche perché non ho memoria, sono un casino. Diciamo che ho lasciato tutti i nomi e abbellito la storia».

Da musicista, come affronti quello che sta accadendo nel mondo?

«Non so se posso cambiare il mondo ma la musica unisce, qualsiasi nazionalità colore o cosa, ed è magico. Io sono un cantante, non un politico. Ma sono stato un soldato e sono un essere umano. La mia esperienza è limitata al Kosovo, ma quello che vedo in Ucraina e Israele è l’estrema violenza propagata dal male. E sono solo i civili che soffrono. È qualcosa di terribile. La grande tristezza è che chi è al potere cerca di dividerci, quando siamo tutti persone con gli stessi sentimenti, la stessa comprensione degli altri. Sembra ci si voglia dimenticare la capacità di capire chi sta dall’altra parte. Basterebbe guardarsi negli occhi».