Gli ingredienti del successo di Alfa passano per le sue prime canzoni diventate virali sui social, prima fa tutti “Cin Cin”, e la determinazione di un ragazzo del liceo classico di Genova che voleva piacere a tutti, ma non piaceva a nessuno. A febbraio sarà protagonista della 74esima edizione di Sanremo col brano "Vai".

«Ero uno sfigato, nell’accezione più affettuosa del termine». Nella musica il suo bisogno di esprimersi, di entrare in contatto con gli altri, nel successo la paura di perdersi. Con il suo Tra le nuvole tour completamente sold out, il nuovo singolo “bellissimissima <3” e l’annuncio del suo primo concerto al Forum d’Assago il prossimo 24 febbraio, Andrea De Filippi si prepara a vivere l’estate dei suoi sogni, dopo aver festeggiato con noi sul carro del Pride, e ammette di potersela godere perché finalmente è cambiato. Più consapevole, più leggero. O forse semplicemente cresciuto.

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Alfa è la nuova cover Extra di Cosmopolitan. Foto di Filiberto Signorello

Ti sei divertito sul nostro carro?

«Tantissimo, è stato divertente. Ho trovato persone unite per celebrare una festa che non riguarda più solo le minoranze, ma tutti. Era la mia prima volta, ma credo proprio che ci tornerò».

Che periodo stai vivendo?

«Sono un po’ stanco, sto facendo quattro concerti a settimana, non so più dove ho casa, ma è quello che ho sempre sognato. È scoppiata una pandemia nel momento in cui avrei dovuto iniziare a fare concerti. Quei due anni di blocco per me sono stati molto brutti. Era tutto fermo, ripartire ora con migliaia di persone che ti vengono a vedere per me non è scontato, soprattutto in un momento in cui se sei giovane è veramente facile sparire, nella musica».

Invece sei ancora qui.

«Ho pensato davvero che fosse tutto finito. Ho vissuto un periodo di grande down, la musica non mi piaceva più. Far uscire un disco era come buttarlo dalla finestra. Volevo mollare, ma non volevo tornare a studiare. Invece siamo ripartiti l’estate scorsa con concerti gratuiti… e ora abbiamo annunciato il mio primo Forum».

Ne vai fiero?

«Ci ho visto Cremonini, Jovanotti, i miei artisti preferiti di sempre. Diventare un artista da Forum, sia che sia l’unico che farò o il primo di cinquecento, per me segna un prima e un dopo nella mia carriera. È un risultato che non nasce da hype televisivo, ma arriva da un percorso di cinque anni, ho fatto tutto passo dopo passo. Sono molto orgoglioso».

All’inizio della tua carriera non eri certo che la musica potesse diventare il tuo lavoro.

«Lo penso ancora. Non voglio arrivare a fare dischi nostalgia o i concerti con la pancia. Me lo sono promesso. Io voglio scrivere canzoni per altri, ma saprò fermarmi. Se c’è una cosa che ho imparato in questi anni è che il successo mi fa paura».

Che cosa ti spaventa?

«Il successo è adrenalinico, isterico. E soprattutto è impossibile da gestire se hai 17 anni. Ti preoccupi dei like, dei numeri, ma quando si spegne la luce ti ritrovi in un down emotivo che non puoi comprendere. Che non conosci. Quando mi ci sono ritrovato non riuscivo neanche a parlarne, nessuno capiva la mia situazione, sembrava non avessi il diritto di dirlo, perché sono una persona fortunata, vivo della mia passione. Neanche i miei genitori capiscono cosa vuol dire quando ti scende l’adrenalina dopo un momento up».

Nella paura del successo rientra anche il bisogno di approvazione?

«Il motivo per cui ho iniziato a fare musica è piacere alle persone. Sono sempre stato bullizzato, timido. Il mio essere schivo mi rendeva antipatico. Ho fatto di tutto per piacere, ho giocato a calcio, ho fatto ping pong a livello regionale, un corso di magia, ho trovato nella musica la mia dimensione. Non sentivo di esistere».

E con la musica?

«La musica ha sconfitto la mia timidezza, mi ha dato una voce che non pensavo di avere che volevo avere. Mi sono sempre sentito escluso, sullo sfondo. Poi mi hanno visto».

Questo essere visto non ti ha fatto però dubitare delle persone che ti si sono avvicinate?

«Il primissimo successo è stato talmente isterico che ha fatto da tagliola nei miei rapporti. Molte persone si sono avvicinate, altre le ho perse perché non capivo niente. Stavo diventando arrogante, ma per fortuna ci sono stati due anni di pausa perché hanno evitato che il successo mi destabilizzasse. Ho sofferto tanto, ma ho finalmente capito che cosa stavo facendo».

Quanto pesano i numeri nel lavoro che fai?

«Più numeri facevo più esistevo. Il sistema musicale di oggi crea nell’artista una dipendenza dai numeri. L’ho capito quando un fan mi ha detto che amava un mio brano nonostante avesse “solo” dodici milioni di ascoltatori. Quando ascoltavo Cremonini non mi fregava nulla dei suoi numeri. Hanno influito tanto, avevo bisogno di dimostrare che esistevo attraverso i numeri. Poi ho iniziato a chiedermi cosa mi piacesse davvero»

E cosa ti piace?

«Fare concerti, avere le persone sotto al palco. Non mi interessa lo streaming. Nei live quello che hai scritto ti viene ridato, assume un senso nuovo. Quando vedi le persone che cantano, capisci che chiave di lettura hanno dato alle tue canzoni».

Dalle tue canzoni arriva molta leggerezza, felicità.

«Non penso di scrivere brani per cambiare il mondo o insegnare qualcosa e non sono neanche sempre così felice. Ma lo faccio per me. Il mio migliore amico è la musica. Tanti colleghi si prendono molto sul serio quando scrivono canzoni. A volte però recitano una parte. In questi anni mi sono chiesto se volessi essere cool, o essere me stesso. Se mi guardo indietro sono uno sfigato, nel senso più affettuoso del termine, ma io voglio essere normale. Rivendico la mia normalità, non voglio essere cool, anche se oggi per la musica oggi tutto dovrebbe essere cool, ma non sono io».

Avere successo così presto è difficile?

«I ragazzini che entrano nel mondo della musica, me compreso, non sanno nulla. Non conoscono il mondo del lavoro e non c’è nessuno che glielo spiega perché non c’è tempo, bisogna fare i soldi prima. Ringrazio di aver trovato il mio manager perché a 50 anni ha avuto la pazienza di spiegarmi le cose e farmi crescere. Oggi i rapporti che sono rimasti nella mia vita si sono intensificati. Cerco di essere un buon amico, prima non sapevo esserlo. Ho imparato a ridimensionare l’ego, ho capito il valore dei rapporti».

Nella tua ultima canzone “belissimissima <3” parli di un rapporto con una ragazza. È storia reale?

«Parlo della frequentazione con una ragazza di Milano. Io ero innamorato, lei no. E non c’è niente di male, fino a che non mi ha accusato di tradimento ed è sparita dalla mia vita. Un pretesto per ghostarmi. L’ho presa molto male. Era anche il periodo di Sanremo (quando non ha potuto sostenere le audizioni per Sanremo Giovani a causa del Covid). Lo dico sempre, nella mia vita quando piove, grandina».

Quando le cose vanno male come reagisci?

«Con ironia. Dopo la fase del dolore. Questa canzone è nata così, tempo dopo».

Cosa ti piace in una relazione?

«Cerco la sincerità, l’assenza di giudizio, il fatto che a chi mi sta vicino non gliene freghi niente che io faccia musica, che non vuol dire ignorarlo, ma essere di supporto come in qualsiasi cosa. Io vengo al tuo esame tu vieni al mio concerto, deve essere supporto reciproco. E poi l’amore. Nella forma più pura, anche puerile. Io sono geloso dei miei amici per esempio, se non mi scrivono, se non mi cercano. Devo sentirmi importante per loro».

Parli del bisogno di stare offline, che rapporto hai con il telefono?

«Molto conflittuale. È la continuazione della mia mano. Faccio parte di una generazione che ne conosce tutti gli aspetti. Ogni tanto ho bisogno di spegnerlo e tenerlo lontano, come prima di un concerto, per concentrarmi. Alla sera cerco di spegnerlo, di darmi un orario e mettermi a leggere. Mi rendo conto che è un problema generazionale legato all’ansia»

In che senso?

«Con il Covid il mondo online è diventato la piazza. Ai tempi dei miei genitori quante persone potevi conoscere nella vita? Oggi sei sotto gli occhi di tutto il mondo, non puoi sfigurare. Per questo siamo tutti super ansiogeni, aggressivi. Se qualcuno sbaglia ci si scagliano tutti. E non è cyberbullismo, è proprio rabbia. Io voglio sempre dimostrare, ho paura di perdere il lavoro, di non fare abbastanza. Quando scendo dal palco e il concerto è andato benissimo io penso alle tre cose che ho sbagliato e cerco di migliorare. È un motore certo, ma è anche la sensazione di non avere una seconda possibilità».

Ma ci può essere una soluzione?

«L’educazione a scuola. Per me se si spiegassero i pro e i contro, sparirebbero il revenge porn, sparirebbe la dipendenza. Sono spaventato per la generazione dopo la mia. Hanno saltato il primo bacio, la prima bevuta, hanno perso un pezzo importante. Come saranno a trent’anni? Viviamo dentro ai telefoni, c’è un problema nella soglia dell’attenzione, si perde il concetto di impegno, di ambizione. Nella musica ci sono troppi featuring perché i ragazzi non riescono a sentire per troppo tempo la stessa voce che canta. La mia generazione è in salvo, ma riconosco di avere io per primo una dipendenza. Non abbiamo idea di come sia la vita senza telefono».