Quando io e il mio ragazzo ci siamo lasciati, online non ho scritto nulla. E fu abbastanza facile non aprir bocca sulla rottura, dato che condividevamo sui social pochissimi dettagli della nostra relazione. Sua madre mi aveva taggato in alcune foto su Facebook; credo di aver retwittato qualche volta delle cose divertenti che scriveva. Non è che fossimo una di quelle coppie orgogliose di essere “intenzionalmente offline”. È solo che non mi passava per l’anticamera del cervello di documentare la nostra vita insieme. Tutto ciò accadde 7 anni fa, agli albori dei social e delle nostre vite incollate al cellulare. Inoltre, durante quasi tutti gli anni della nostra relazione avevo un BlackBerry mezzo taroccato, che in pratica riusciva solo a mandare qualche messaggio. E soprattutto, non avevo ancora intrapreso la mia carriera da micro-influencer de noantri.

Comunque, quando la relazione finì, lui si trasferì e io iniziai a postare molto di più, ma cose che riguardavano me. Condivisi post sul mio lavoro, su mia sorella. E ogni tanto, facevo qualche accenno al mio nuovo status di single: «Ho già detto che sono su Tinder?». Affrontare la mia (a volte amara, ma ci sta) singletudine sui social media di certo non mi sembrava naturale, ma alla fine mi arresi all’evidenza dei fatti: le nostre vite si stavano spostando online, quindi anche le nostre rotture dovevano farlo. Ciò diventò anche più lampante negli anni successivi, durante i quali, sui social, diventai una specie di antropologa culturale della “rottura come forma d’arte”, con particolare enfasi sulle celebrità, veri assi e pionieri nel trasformare fatti privati in contenuti. E che siano benedetti e benedette: chi di noi non vuole conoscere tutti i dettagli di quella travagliata separazione? Chi non si ritrova a riflettere su quale team di manager di un personaggio famoso farà il primo passo per annunciare la rottura, o chi, nella ex-coppia, continuerà a gestire l’account Instagram del cane? Mi ritrovai ad analizzare ogni dettaglio di queste separazioni.

«Comunque, quando la relazione finì, lui si trasferì e io iniziai a postare molto di più, ma cose che riguardavano me»

L’anno scorso, alcune voci veramente importanti si sono aggiunte al mio “Database di Pubblica Elaborazione di una Rottura”, in particolare nel settore musicale, dove le pene d’amore sono state sublimate ad arte. Mi sto ancora chiedendo come stia Jake Gyllenhaal dopo i 10 minuti di “All Too Well” di Taylor Swift e piango ogni volta che passa alla radio “Easy on Me” di Adele. Per quanto riguarda “Driver’s License” e tutti gli altri tormentoni contenuti nell’album Sour, fatemi essere chiara: cara Olivia Rodrigo, non la supererò mai.

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Ma se la musica “da rottura” del 2021 è stata la colonna sonora per le mie ricerche, il comportamento delle star con la spunta blu nel profilo è un argomento di discussione a sé. Ci sono post che si prestano a mille speculazioni, mosse e contromosse degli agenti per sedare le attenzioni morbose del pubblico (ma in realtà non funzionano mai, si veda il gossip sulla fine tra Rihanna e Asap Rocky dilagato ovunque in pochi minuti benché falso). Una dichiarazione all’apparenza innocente, «auguro a quella persona solo il meglio» (cit. Camila Cabello a Shawn Mendes), un vestito indossato durante un’intervista post-rottura, una spietata eliminazione di post: tutto merita di essere analizzato. Non dire nulla è già qualcosa.

«E che siano benedetti e benedette: chi di noi non vuole conoscere tutti i dettagli di quella travagliata»

La verità, per noi gente comune, è che quando sei emotivamente devastata e passi molto tempo online, anche se non sai cosa dire, hai alcune opzioni predefinite. Ci sono meme da far girare; vari tipi di contenuti “vendicativi” che passano dall’ira malcelata a fandonie sulla crescita personale. Ci sono frasi motivazionali complete di immagini, e stucchevoli poesie repostate milioni di volte: vuote alternative alla realtà, cioè che non ti fai la doccia da martedì e oggi è lunedì.

Ma un meme ben utilizzato non ci farà andare molto lontano. E aprirsi sui particolari del dolore post-rottura richiede di scendere nei dettagli specifici della nostra esperienza individuale. Ecco perché abbiamo un linguaggio codificato e condiviso per gli aspetti positivi delle relazioni – come presentare gradualmente agli altri il/ la partner o annunciare un fidanzamento o la nascita di un bambino – ma non uno per i nostri sentimenti più complessi: quando una relazione finisce.

«Far silenzio: nessun post significa già qualcosa»

E ora, arriviamo alla parte della storia che riguarda Alex Rodriguez. A dirla tutta, sono entrata in fissa coi suoi social quando ruppe con Jennifer Lopez. L’Fbi dovrebbe mettermi sotto sorveglianza per il numero di volte che ho guardato la Ig Story in cui Alex scorre un cimitero di foto di coppia, con quella lagna di “Fix You” dei Coldplay in sottofondo. Magari la mia ossessione è collegabile a una specie di piacere perverso nel vedere un nerboruto e famosissimo giocatore di baseball diventare così sentimentale. È l’esposizione pubblica del dolore che, per 10 secondi si svuota dei suoi lati da “performance” e lo rappresenta come è, in tutta la sua cruda realtà, che mi rapisce. Non importa di chi si tratta, esprimere la propria vulnerabilità equivale a puntare sull’empatia.

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Sentirsi visti, come si dice, è una specie di ricompensa. Trovo che i TikTok di Anna Marie Tendler siano una lezione magistrale, con un enorme sottotesto, sull’arte di andare avanti, anche quando forse si desidera solo raggomitolarsi sul pavimento e piangere. L’artista, dopo essere stata colta alla sprovvista dalla richiesta di divorzio del comico John Mulaney, ha pubblicato il suo primo video in assoluto lo scorso ottobre; lì ha delicatamente guidato gli spettatori a quella pratica, notoriamente fastidiosa, di infilare un piumone in un copripiumone; in un successivo video di life hack, il giorno dopo, ha usato un pela-verdure per imburrare perfettamente una fetta di toast con uvetta e cannella. Ciò che mi colpisce di questo contenuto è la forza, sottile ma che denota una grande resistenza, nel gestire al meglio le faccende domestiche. Rifare il letto da sola, fare colazione da sola: sono semplici routine quotidiane, ma che fanno un male cane se le facciamo dopo che la persona con cui le condividevamo.

La prima foto che ho postato dopo quella rottura di sette anni fa fu, per qualche motivo, una vignetta con della cianfrusaglia, tutta disposta in modo molto preciso, di una bottega artigianale: fermalibri a forma di ancora, una scatola in miniatura di ciambelle finte, un paio di limoni di ceramica, e tre grandi lettere di legno con scritto “YES”. Come a dire, SÌ, io e il mio ragazzo, con cui sono stata quattro anni, ci siamo lasciati. E SÌ, questa bizzarra natura morta è il modo in cui ho scelto di elaborare i miei sentimenti online. La didascalia diceva: «In questa nuova puntata di Mia compra roba a cazzo, cerco di spiegare a una cassiera di Michaels perché io abbia un gran bisogno di questa scatolina di finte ciambelle. Spoiler: non mi serve a nulla #sì #limoni #segnalibri #ciambelle #aiutatemiii». L’aggiunta di quell’hashtag finale – allora si usavano ancora e non era da sfigati – era assieme autoironia e una richiesta di aiuto. Volevo che chiunque mi seguisse sapesse che stavo affrontando una situazione pesante. Ma senza approfondire.

In realtà, questa è una bugia bella e buona. Volevo approfondire. Ciò che postai era, più o meno consapevolmente, un tentativo di chiedere ciò di cui avevo un disperato bisogno: la validazione da parte degli amici, capaci di leggere tra le righe e vedere quanto fossi incasinata e quanto soffrissi. Anche se non sapevo come dirlo.