Il mondo di Cosmo è composto di suoni e sperimentazione, alla ricerca di qualcosa che non ha ancora fatto nessuno, di canzoni pop che usano le parole su un tappeto sonoro tutto suo, da ballare senza sosta nei suoi tour o dentro casa. È un mondo pieno di amici, di amore, di incontri, di famiglia, ma anche di pensieri che volano spesso in luoghi lontani. Sulle ali del cavallo bianco (Columbia Records/Sony Music Italy e 42Records) è l’ultimo di questi pensieri ed esce il 15 marzo. Disco composto da 11 tracce, scritte tutte in nove mesi con Alessio Natalizia - Not Waving, canta il presente, l’amore, il futuro, la paura che non c’è più: «è la prima volta che scrivo un disco con qualcuno».


Marco Jacopo Bianchi, 42 anni, racconta un pezzo di sé e accompagna l’uscita del disco con Antipop, un film di Jacopo Farina che mette in video la sua storia, i filmati degli inizi, le voci di chi è cresciuto con lui, gli amici, i genitori, la sua famiglia. Ci sono anche i suoi tre figli negli ultimi frame e arriva forte la storia di questo ragazzo che non voleva una vita in fabbrica ma che sognava di diventare un operaio della musica, mantenersi con la sua voce, riuscendo di colpo a fare il grande salto nel 2016, proprio quando stava per mollare tutto e “L’ultima festa” avrebbe dovuto essere il suo addio: «Se ripenso a quel momento è incredibile». Lo abbiamo incontrato in Stazione Centrale, a Milano, dentro a un’installazione artistica per i fan a cura del designer e art director Eenreeco, dove è possibile ascoltare la sua nuova musica, in attesa di rivederlo live dal 30 marzo in un tour prodotto da Dna Concerti.

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Perché Sulle ali del cavallo bianco?

«Il titolo è nato da uno scherzo tra me e Alessio con cui ho scritto il disco. Stavamo guardando il torrente fuori dallo studio, scherzavamo, "ehi guarda un cavallo bianco esce dal fiume". Ho poi pensato fosse il titolo giusto perché corrispondeva a come abbiamo vissuto la nostra creatività che andava verso lidi inesplorati».

Dove vi ha portato questo cavallo?

«Abbiamo cercato di fare un pop come non lo ha mai fatto nessuno. Abbiamo questa megalomania, il cavallo è il simbolo di questo tramite tra mondi diversi, che ti porta fuori da te, tra esperienze psichedeliche e sentimentali, nella zona di caos, per riportarti qui. È un viaggio più o meno lungo e so che il cavallo bianco vuole decollare da un momento all’altro. Non puoi controllarlo».

Vuoi essere unico e allo stesso tempo parlare a tutti. È difficile?

«Ho sempre scritto canzoni melodice, voglio essere pop, ma da quando faccio Cosmo ho scelto di provare nuove strade, di estremizzare, di diventare sempre più pop, ma anche sempre più sperimentale. L’obiettivo è suonare come se alla produzione ci fosse un alieno, sintetizzatori trance con chitarre classiche, violini con suoni assurdi…».

Perché non hai scritto da solo come le altre volte, cosa ti mancava?

«Puntavo Alessio da un po’ ma ho sempre avuto paura di coinvolgere qualcuno perché volevo avere il controllo su tutto. Dopo l’ultimo disco però, in cui avevo dato sfogo a tutte le mie fissazioni, avevo paura di ripetermi. Ho avuto bisogno di qualcuno che mi desse un calcio nel culo, dicendomi cosa andava bene e cosa no. Nei primi tre giorni di studio insieme avevamo già sei basi strumentali pronte».

Ti ha emozionato rivedere le immagini degli inizi che hai messo nel film?

«Non sopportavo che si parlasse di me, non volevo sapere nulla di questo film. Quando però ho iniziato a riguardare i materiali ho iniziato ad emozionarmi. Mi è piaciuto vedere i miei genitori, come è stato creato il racconto. Mancano pezzi importanti, anche amici importanti, ma fila così, e sul finale due lacrime le ho versate».

Rivivere il momento in cui eri convinto che avresti dovuto abbandonare il sogno della musica che effetto ti ha fatto?

«Quando sono giù, quando mi sento insoddisfatto, e gli artisti sono sempre insoddisfatti, vado con la mente a quel momento lì, all’estate del 2016 in cui abbiamo iniziato a riempire i concerti, alla sensazione di sollievo che ho provato. Ogni tanto ora lo do per scontato e allora torno lì e mi ricordo che stavo per mollare, mentre sognavo proprio questo. Mi ricordo che non devo sentire l’abitudine, che non devo dimenticarmene».

All’inizio del film dici che preferiresti sparire e lasciare sul palco solo la musica, senza avere occhi addosso. Non è strano per chi fa il tuo lavoro?

«Mi piace che la gente stia nella musica e nei live ho lavorato con i tecnici di luce per non averla addosso quando non canto, poi lo so che quando canto devo comunicare visivamente e ci sto facendo sempre più pace, ma preferisco condividere il palco, non avere l'attenzione solo su di me, dare più spazio alla band, ho una corista che si piglia la scena e a me fa piacere. Non ci sono solo io».

Quando scendi dal palco ci sono tua moglie Antonella e i tuoi figli. Che papà sei?

«Ci vogliamo bene, ogni tanto devo essere severo, fa parte del ruolo, ma ci piace stare insieme, faccio il solletico, scherzo».

L’amore cos’è?

«Lo dico anche nel brano "L’abbraccio". Non so cos’è l’amore ma so che a volte ti mette in crisi rispetto alla tua identità. Non puoi controllarlo, a volte è facile, a volte si complica terribilmente tutto, a volte è facile anche amare più persone, a volte devi di nuovo scommettere. È un lavoro concreto, qualcosa di artigianale di cui prendersi cura. L'amore è un lavoro di cura. Io non sono sempre bravissimo, a volte scoppiano casini, a volte si va in crisi, però l’importante è sapere sempre perché si sta con una persona, capirne il motivo».


Il brano "Talponia" è dedicato a tua figlia Linda. Cosa auguri alle ragazze del futuro?

«In quella canzone le auguro di esplorare il suo corpo, di essere padrona del proprio corpo, di non giudicare e non sentirsi mai giudicata. Lo auguro proprio a lei e così a tutte le ragazze. Che possano disporre liberamente di loro stesse».

Ti fa paura il futuro per lei?

«Questa quarta ondata di femminismo mi piace molto. Ho fiducia, sono stati fatti passi avanti, piccole conquiste. I nostri figli stanno ricevendo questo imprinting, indietro non si torna più. Il patriarcato non può tornare, ma tanto dipende anche da quanto le donne alzeranno la testa. È il momento di agire di orgoglio. Mia moglie lo fa dire a Linda ripetutamente “Nessuno mi metterà mai i piedi in testa”. Bisogna essere guerriere in questo periodo, anche a costo di risultare pedanti ogni tanto. Siamo in un momento di conquista, eguaglianza. L’onda è partita».