In una conferenza stampa al ventinovesimo piano di un grattacielo milanese, in mezzo alla nebbia che avvolge le grandi vetrate e un freddo che entra nelle ossa, Geolier porta il sole.
Un un grande sorriso, gli occhi buoni e sinceri, la battuta sempre pronta che travolge e l’entusiasmo di chi sa riconoscere e godersi la felicità. All'anagrafe è Emanuele Palumbo ed è tra i 30 nomi dei Big di Sanremo, uno di quelli su cui tutti puntano gli occhi. Il suo Il coraggio dei bambini è stato l’album più venduto del 2023, ha collezionato in poco tempo 53 dischi di platino e 24 d’oro, e sarà il primo artista italiano a esibirsi in tre date consecutive allo Stadio Diego Armando Maradona il 21,22 e 23 giugno. Il nuovo re di Napoli avrà tutta la città a fare il tifo per lui quando dal 6 al 10 febbraio porterà il napoletano sul palco dell’Ariston con la sua "I’p me tu p’te" brano a cassa dritta che ha tutte le carte in regola per diventare una delle canzoni più forti di questo Festival. Eppure non pensa alla classifica: «Io ho già vinto».

Quando è nata la canzone di Sanremo?

«Il pezzo è nato quando Amadeus mi ha concesso di portare il napoletano. Sono corso in studio e ho scritto, con Michelangelo. È una canzone d’amore che vuole dare un messaggio chiaro: io per me tu per te significa io per la mia strada e tu per la tua. Parla del rispetto che si deve avere verso il partner quando è ora di lasciarsi, senza portare avanti un rapporto per inerzia o abitudine».

Il rap può essere educativo?

«Io vivo il rap da giornalista. Quando faccio musica scendo e racconto quello che c’è in strada. Sono nato a Secondigliano, ho visto tante realtà, ho visto tanti film e ascoltato tanta musica. Papà mi ha insegnato a guardare sempre il finale dei film, non quello che succede nel mentre. È il finale che conta. Per me l’arte non ha finalità educativa, io ho imparato vivendo quello che non dovevo fare».

Hai aspettative?

«Per me la vittoria è cantare su quel palco in napoletano. Io ho già vinto. Poi posso vincere o perdere in classifica, ma quello che volevo fare l’ho fatto. Tutto quello che arriverà sarà in più. Per me portare Napoli sul palco è una responsabilità, è una cosa storica. Ho la foto di Napoli sempre in tasca, per ricordarmi quello che sto facendo».

Nella canzone c’è un solo verso in italiano, come mai hai voluto inserirlo?

«è stata una scelta artistica. Mi hanno permesso di fare quello che volevo, ci stava bene una frase in italiano».

Chi sono i tuoi maestri?

«I Co’ Sang, li porto anche sulla maglietta. Fanno parte della storia della musica napoletana. Il sentimento l’ho preso da Pino Daniele, la schiettezza da Massimo Troisi, la melodia da Gigi D’Alessio. Ho imparato da tutti. Mi ha influenzato molto anche il sentimento della canzone neomelodica».

Nell’ultimo anno Napoli è diventata cool, in musica, nelle serie tv.

«Napoli ha sempre seminato, ora stiamo raccogliendo i frutti. Anche prima era piena d’arte ma sembra che qualcuno non se ne sia mai accorto. Hanno contribuito le serie, adoro Mare Fuori, ma se da Napoli è bellissima, per chi non la conosce sembra che la realtà sia solo quella che si vede nella serie. Abbiamo anche cose più belle da raccontare».

Ti dà fastidio che artisti non napoletani cantino in napoletano?

«Lucio Dalla diceva che se avesse potuto rinascere avrebbe voluto rinascere napoletano. Ha scritto “Caruso” in napoletano. Mi fa piacere se nascono canzoni in napoletano».

Nell’ultimo anno hai raccolto numeri incredibili.

«Non mi interessano i numeri, abbiamo iniziato questo percorso per un altro scopo. È bellissimo quello che sta succedendo, era inimmaginabile, forse neanche lo volevamo davvero».

Perché parli al plurale?

«Dietro di me ci sono un sacco di famiglie, se cado io non ce l’ho solo io il problema, le persone dietro di me son tante. Ogni scelta che faccio la faccio pensando a chi mi sta intorno. Però sento la responsabilità fino a un certo punto. Geolier è una ditta, Emanuele lavora per Geolier. Non mi prendo tutte le responsabilità».

Qual era lo scopo quindi?

«Vivere di musica. Uscire dalla strada, non ne ho mai fatta ma ne ho vista tanta, a nove anni stavo a fare la minuteria dei lampadari. La musica è sempre stata il mio rifugio, l’obiettivo creare un futuro per me e per le persone che non lo avevano. Togliere i ragazzi dalla strada è il vero obiettivo».

C’è qualcosa che ti pesa in quest'enorme successo?

«È tutto bellissimo, cosa deve pesare? Non c’è stanchezza, stanco è il muratore che si rompe la schiena. Non posso uscire di casa perché mi fanno le foto? E allora? A Napoli mi trattano come una persona di famiglia. Le perosne di Napoli si sentono proprietari di quello che esce da Napoli e io, quando parlo con la mia gente, avverto che sanno che mi hanno creato loro, e lo so anche io».

Come ti stai preparando al Festival?

«Sto provando il pezzo tutti giorni, faccio anche la presentazione sul palco e poi lo canto tutto. Faccio ogni prova come fosse quella vera».

E agli stadi?

«Saranno una grande festa dell’intera città, per tutti quelli che hanno creduto in questo progetto. Dedico l’entrata a Sanremo a tutte le persone che ci sono dall’inizio. È tutto troppo grande, è tutto assurdo».

Cosa speri arrivi di te, a chi non ti conosce?

«Spero che la gente capisca, che abbia voglia di sentire quello che ho da dire. Amadeus ha fatto un lavoro incredibile come direttore artistico. Io guardavo Sanremo accanto a mia mamma e mio papà. Oggi i ragazzi si siedono e sono loro ad accendere per guardare la tv».

Usi i social?

«No, a me piace la vita reale. Quella che vivo ogni giorno».

Perché non ci sono messaggi politici nei tuoi testi?

«I ragazzi non credono più nella politica, non credono più nelle religioni, credono agli atleti e agli artisti, perché si rispecchiano, perché siamo vicini. Io sono uno di loro».

Cosa pensi dei dissing nel rap?

«Io non ne faccio, non ho proprio paura dei dissing. Ho molti amici in questo settore, e tutti sanno che non mi devono dissare, sono il più bravo a fare rap. Sono fortissimo a fare rap. È l’unica cosa di cui mi vanto».

Che duetto farai nella serata di venerdì?

«Porterò il napoletano, io non riesco proprio a cantare in italiano. Porterò il mio mondo, che è il rap. Con tre ospiti perché di tre ospiti c’era bisogno per cantare pezzi storici».

Secondo te perché ce l’hai fatta?

«Perché io so fare solo questo».