I Pinguini Tattici Nucleari sono tornati in studio per scrivere le canzoni del prossimo album. Arrivano da un'estate dei record, dieci date sold out, più il grande evento finale a Campovolo, seicentomila spettatori per la festa live negli stadi di tutta Italia che diventa il punto più alto della loro carriera.

Riccardo Zanotti è felice del traguardo raggiunto e allo stesso tempo consapevole che il successo può arrivare in fretta e con la stessa velocità sparire, ma quello che conta è l'amore per quello che fa. E lui ama scrivere, lo ha sempre fatto e lo farebbe comunque: «La vita di un songwriter è un pendolo che gira incessantemente fra il tour e la scrittura, una vita di grande soddisfazione e lavoro».

Dalla sua ha l’impegno, la voglia di scrivere nuove canzoni per la necessità di mettere in parola storie ed emozioni, circondato dai suoi compagni di viaggio che sono prima di tutto amici. Riccardo, Elio, Nicola, Simone, Matteo e Lorenzo, sei ragazzi di provincia che hanno conquistato streaming e classifiche ma che sono quelli di sempre, che prima della data in Sardegna percorrono a piedi tre chilometri su una statale buia per andare a vedere le stelle, rischiando di farsi tirare sotto dalle macchine che sfrecciano accanto, finendo a bere e cantare in riva al mare, sotto a un cielo coperto di nuvole.

«Non viene mai sradicata del tutto quella voglia di stare insieme come dei compagni di classe. Non abbiamo visto stelle, quel che conta non è la destinazione ma il percorso». La prossima tappa del viaggio della band è il Non perdiamoci di vista – Fake News Indoor Tour che porta in scena, dal 3 aprile a Jesolo, le canzoni del loro ultimo album, le hit e le chicche del passato, e la loro incredibile e bella normalità. 100 mila biglietti venduti in un giorno, dieci date già sold out. Il pubblico li ama. E mentre in radio risuona "Nightmares", il brano in feat con Bresh, abbiamo parlato con Riccardo.

Facciamo un bilancio del tour?

«È stata la cosa più grande mai raggiunta nella vita. Fa quasi paura pensare che abbiamo totalizzato quasi 600 mila presenze. Ogni tanto penso alle agenzie statistiche che usano un campione della popolazione e mi rendo conto che è più piccolo della somma delle persone venute ai nostri concerti. Abbiamo un popolo che ci ha fatto sentire a casa anche nelle date più difficili, è stato come esibirsi davanti agli amici. Quando finisce un tour così ti lascia uno sconforto inimmaginabile. È qualcosa che aspetti per mesi, finisce alla svelta, ti fa tornare alla tua routine, che per quanto piacevole non ha quell’adrenalina. Per fortuna inizieremo una seconda parte».

Sarà un live diverso?

«I Pinguini sono come le scale di Harry Potter, ci piace cambiare. Non sarà identico, il nostro divertimento maggiore è quello di scrivere i concerti, sia dal punto di vista dell’architettura che di produzione. Cambierà tutto, porteremo canzoni diverse, in ogni data la scaletta potrà essere diversa, quello che non cambierà sarà il file rouge di Fake News».

Cosa stai scrivendo?

«Sto scrivendo cose nuove, non ci penso troppo, a volte escono cose molto pop, a volte meno. Lo sto facendo con grande libertà perché più vai avanti più capisci che non serve per forza inseguire la hit. Mi piace lavorare agli album perché mi permettono di scrivere in modo diverso. Sto pensando solo a questo e mi piace questo momento di grande bellezza e calma».

Quanto ci metti a scrivere una nuova canzone?

«In due o tre giorni scrivo dall’inizio alla fine, ma a volte provo a sfidarmi e mi costringo a farlo in un giorno, come fosse un gioco della settimana enigmistica».

Pensi mai a chi eravate prima del Sanremo del 2020 che ha cambiato tutto?

«Abbiamo fatto mille bettole. Sul palco di San Siro quest’estate ho pensato a quando Milano non ci voleva. Eravamo i provincialotti, facevamo fatica a suonare nei locali di cento persone. È andata bene».

E se ripensi a Riccardo bambino?

«È facile, volevo fare il calciatore, non avevo capito che lo sport non era il mio. Volevo essere Holly di Holly e Benji e ci ho creduto per tutta l’infanzia e adolescenza. Del calcio mi è rimasta però quella voglia di combattere anche quando sembra tutto finito. O forse è perché sono interista».

Ora Riccardo cosa sogna?

«Raggiungere il punto più alto implica che o ti inventi il modo di volare o valuti la discesa. Ma anche dovesse arrivare, io so che avrò qualcosa da raccontare ai miei nipoti e questo già mi basta. Spero di riuscire a mettere le tende in cima alla montagna. Se no sarà comunque stato un bel viaggio».

Ti ricordi la prima canzone che hai scritto?

«Era per un cane, si chiamava “Voglio l’affetto di Black”. Volevo far capire ai miei genitori che volevo un cane. Black era il cane del vicino, mi guardava, stava nel suo giardino. Quando l'hanno ascoltata mi hanno iscritto a un corso di musica. Ho fatto batteria per molto tempo. In adolescenza ho attraversato una fase metal molto lunga, e se il metal entra nel corpo non ti abbandona più, nel modo di vivere e scrivere. La seconda e la terza canzone erano quindi ispirate al rock e metal, con testo in inglese che mi ha portato a studiare all’estero».

Cosa preferisci raccontare?

«Storie, quelle che mi succedono tutti i giorni e quelle che ascolto. Cerco di raccontare alle persone che ci circondano quanto i Pinguini siano restate persone normali, pur vivendo cose incredibili. Preferisco scrivere del bagno chimico che si rompe in tour invece dell’emozione sul palco, per non allontanare chi sta ascoltando. Cerco di tenere i piedi per terra. Non siamo un cazzo di nessuno e mi piace ricordarlo».

Le canzoni d’amore le scrivi per la tua ragazza?

«Non sempre ho una vita così incredibile, soprattutto se perdi tanto tempo nella musica, ma allo stesso tempo non posso sempre scrivere di altri, diventerei un mero osservatore. Mi arrivano tante storie. L’altro giorno però mi ha scritto una ragazza di nome Michela. Ho aperto la mail perché mi ha incuriosito il titolo “la storia d’amore tra due sbirri”. Lei è una guardia di finanza, lui un carabiniere, anche due sbirri possono provare un sentimento quasi “illegale”. Io non ci avrei mai pensato e mi fa felice che le persone vogliano aprirsi così tanto, cerco di trattare le loro storie con rispetto, mi regalano qualcosa. Avere una famiglia così grande permette di raccontarsi come attorno a un falò, senza dover più vivere tutto. Non rimpiangerò mai le ciliegie e le amarene di "Pastello Bianco"».

Hai altri mezzi espressivi oltre alla scrittura?

«Nel traffico tiro fuori molta rabbia e sentimenti. Esce la parte metal di rabbia inespressa nei miei continui viaggi tra Bergamo e Milano. Poi mi piace giocare. Da sempre, i giochi da tavolo, ora sono su Decrypto, ma anche i più normali come Tabù o Nome in Codice, mi piacciono quelli con le parole, sono assiduo frequentatore di settimana engimistica da quando sono bambino».

I tuoi genitori oggi cosa dicono?

«Sono sicuramente molto orgogliosi e questo mi fa molto piacere. Non se lo sarebbero mai aspettato, tuttora a volte pensano non sia vero, anche perché mia madre ha sempre espresso i suoi dubbi riguardo al mio timbro vocale, lei ama le grandi interpreti, la voce di Giorgia. Mio papà è fan di cose meno virtuose, ci ha sempre creduto di più, mi ha comprato la mia prima chitarra. Insomma mi pensavano come musicista, non come cantante. Ma sono contenti, ho 29 anni, mi sono creato una mia vita, sono indipendente, quando invece di tutti gli amici che ho quasi nessuno si è sistemato. Mia mamma, maestra di scuola elementare, vede tanti alunni che non sono riusciti a fare altrettanto e questo le dà molta preoccupazione, ma è un discorso su questo paese più generale».

Tu hai da sempre insicurezze sulla tua voce, c’entra tua mamma?

«Ma no, ancora prima di farle ascoltare qualsiasi cosa ero molto insicuro. Non volevo cantare, mi sembrava una ricerca di attenzione e io non l’ho mai voluta sulla voce. Non volevo essere il frontman, ho anche provato a non cantare più nei Pinguini ma non è andata bene. Con il tempo ho capito che è una voce particolare, che comunica comunque, che non c’è bisogno per forza del bel timbro».

Qual è la soddisfazione più grande che ti sei tolto?

«Mia nonna Miriam non mi chiede più che cosa farò nella vita oltre alla musica. Ha messo dopo Sanremo, che ringrazio anche per questo. Sicuramente quindi Sanremo, ma anche San Siro, è stato il primissimo stadio, è quello dell’Inter. La festa organizzata a Groppello Cairoli quando lo abbiamo annunciato è stata una bellissima soddisfazione. Ma la maggiore forse è pensare che anche se non dovesse succedere più nient’altro sarebbe abbastanza così. Più di così forse è impossibile. Siamo in una società che ti costringe a performare e pensare che sia ok farlo. Noi ci impegneremo, ma dovessi schiantarmi oggi tornando a Bergamo, sarei felice».

A Sanremo ci tornate?

«Il Festival è il game principale, chiunque faccia questo lavoro dovrebbe sentirsi onorato di partecipare. Quindi non escludo il ritorno, ma non quest’anno, abbiamo troppo a cui pensare, c’è il tour. Se mettessimo anche Sanremo sarebbe un onore ma non vivremmo più e non è giusto nei confronti di famiglie, ragazze e amici che già vediamo poco».

Nel nuovo brano “Nightmares” canti con Bresh, con chi altro ti piacerebbe duettare?

«Bresh è una persona diversa da me, molto più instintiva. Io ho il problema dell’estrema razionalità, ho studiato muscia, non mi viene di uscire dal seminato. Invece mi serve sbagliare e lui se ne frega delle regole, del tono giusto, come tanti del suo mondo. Io mi devo costringere. Mi piacerebbe quindi lavorare di nuovo con gente che ha una visione diversa dalla mia. Qualcuno che come lui se ne freghi delle impalcature. Voglio qualcuno che mi distrugga».