Mentre in Italia si discute della legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza, dell'obiezione di coscienza e dei rischi di far entrare le associazioni antiabortiste nei consultori, un nuovo report Unfpa, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione ha attestato un'erosione dei diritti riproduttivi con sempre più donne private della possibilità di decidere del loro corpo: l’autonomia corporea a livello mondiale sta diminuendo nel 40% dei Paesi che dispongono di dati presi in considerazione dal report. «Per ogni individuo, l’autonomia corporea – il potere e il libero arbitrio di fare scelte sul proprio corpo e sul proprio futuro, senza violenza o coercizione – dipende dalla realizzazione della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi», si legge nel report, «Ciò influisce sui vantaggi che gli individui possono ottenere nel corso della loro vita, in termini di salute ma anche di istruzione, occupazione e partecipazione politica».

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Una protesta negli USA per il diritto all’aborto

Quest’anno ricorre il trentesimo anniversario della Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo tenutasi al Cairo nel 1994, dove 179 governi si sono impegnati a porre la salute e i diritti sessuali e riproduttivi al centro dello sviluppo sostenibile. «Nell’arco di una generazione, abbiamo ridotto il tasso di gravidanze indesiderate di quasi un quinto, abbassato il tasso di mortalità materna di un terzo e garantito leggi contro la violenza domestica in più di 160 paesi», ha affermato la Dott.ssa Natalia Kanem, Dirigente dell’Unfpa. I miglioramenti sono innegabili, dunque, ma «le disuguaglianze all’interno delle nostre società e dei nostri sistemi sanitari si stanno ampliando». Il rapporto rileva che negli ultimi due decenni non ci sono stati progressi nella riduzione annuale globale delle morti materne, mentre un quarto di tutte le donne oggi «riferiscono di non essere in grado di dire di no a rapporti sessuali con il proprio marito o partner».

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Una protesta pro-choice in Polonia

Il report, intitolato Interwoven Lives, Threads of Hope: Ending inequalities in sexual and reproductive health and rights sottolinea in particolare come disuguaglianze, razzismo, sessismo e altre forme di discriminazione continuino a limitare e minare i progressi nella salute sessuale e riproduttiva. A beneficiare dei progressi degli ultimi anni sono state soprattutto le donne benestanti e appartenenti a a gruppi etnici che avevano già un migliore accesso all’assistenza sanitaria. Le donne economicamente svantaggiate, appartenenti a minoranze etniche, razziali e indigene, le donne con disabilità o che vivono in contesti di conflitto, hanno meno autonomia corporea e più probabilità di morire per cause legate alla gravidanza e al parto.

Una donna africana che presenta complicazioni durante la gravidanza e il parto, ad esempio, ha circa 130 volte più probabilità di morire a causa di tali complicazioni rispetto a una donna in Europa e Nord America e la metà di tutte le morti materne prevenibili (500 al giorno) avviene in paesi con crisi e conflitti umanitari. Anche nei Paesi più ricchi, però, le disuguaglianze fanno la differenza: le donne afroamericane negli USA hanno una possibilità tre volte superiore alla media nazionale di morire di parto, globalmente le donne con disabilità hanno una probabilità fino a 10 volte maggiore di subire violenza di genere rispetto alle loro coetanee e le persone LGBTQIA+ sono più colpite da violenze legate ai diritti riproduttivi e limitate nell'accesso alle cure. «Non abbiamo dato la priorità adeguata al raggiungimento di coloro che sono più indietro», conclude Kanem, «Il nostro lavoro è incompleto ma non impossibile. Abbiamo bisogno di un approccio completo, universale e di un’assistenza sanitaria inclusiva fondata sui diritti umani i dati che mostrano ciò che sta funzionando funziona. Questo lavoro è di vitale importanza, è giusto ed è possibile».