C’era la notte prima degli esami. E c’era il giorno dell’esame. Tu che fai? Attualità. Perché a Moravia non ci siamo arrivati. Se ci piacessero le metafore: arrivare a oggi, dove la scuola fallisce sempre.

C’erano gli anni del liceo, quando pareva tutto difficile, ma esisteva la salvezza autoprocurata. Se la faccenda si faceva davvero insostenibile, il giorno dopo si indiceva sciopero perché mancava la carta igienica e i bidelli erano avari con i gessetti. Come si fa a studiare bene ed esercitare il diritto allo studio con poco gesso. Riconosciuta la validità della motivazione, si accodava sindacalmente all’ultimo anche la II B.

C’era il giorno dopo lo sciopero, accolti alla prima ora dal professore di latino e greco, lo stesso che avevamo scansato il giorno prima, che con fare repressivo ci diceva che così non va, era un atteggiamento da capre, che pensavamo di combinare in futuro, relitti della società scioperanti a ufo. Dopo viene anche il preside in classe, al collegio dei docenti valuteremo abbassamenti del voto in condotta. Sembrava sinceramente incazzato, e invece era una messinscena. Il giorno prima avevamo fatto un piacere pure a lui. S’era letto il giornale in sala professori, preso il caffè con l’amante professoressa di filosofia della sezione B, portato a casa la pagnotta senza troppo faticare.

C’erano le interrogazioni a sorpresa. Quei due minuti in cui dovevi fare amicizia col concetto: "perché proprio a me", per farci i patti tutta la vita.

C’erano quelli che invidiavamo tutti. Media del sette e mezzo placido con scivolamenti al 5, intelligenza brillante e blanda applicazione. Dopo iniziali avversioni purtroppo i professori cominciavano a trovarli simpatici: era il saper vivere, e gli adulti in fondo lo sapevano. Facevano filone - si diceva da noi. Fino a dieci anni fa era la parola con più varianti regionali, tutte splendide. Marinare la scuola. Brucio in toscana, bigiare in Lombardia, fare filone in Campania. Forca, sega, fughino. La divinissima commedia di fuggire quando il gioco si fa duro. Non finiva lì, perché poi serviva la giustifica con firma falsificata. Il coraggio di delinquere in minima dose. Intuito e rapidità d’esecuzione. La bravura di saper disturbare il vicepreside nei momenti di massimo fastidio; così avrebbe messo un "Visto" distratto. Oggi li riconosci a un miglio negli uffici perché sanno negoziare tutto, decidere tutto, risolvere tutto. Hanno il tipo di cultura che serve a fare bella figura e sono eccellenti plagiatori di anime. Col registro elettronico è finito quel piccolo teatro necessario.

C’era il libretto delle giustifiche. Carta velina sottilissima. Motivi di famiglia, motivi di salute, motivi personali, lutto. La sacra quaterna. I nonni di alcuni amici furono sacrificati più volte al dio della libertà nei giorni di primavera.

C’era la memoria. Dio, che memoria avevo. Come faceva a starmi in testa tutta quella roba per mesi e mesi, accumulandosi, ero una scienziata.

C’erano i «ma io non ce la faccio, ma perché cazzo devo tradurre Tucidide, senza internet» in aiuto.

C’erano le più carine della scuola, con l’avvelenata ammirazione delle altre. La bellezza era ancora questione di nascerci. Infatti le belle del liceo il giorno della maturità erano in forma ed elegantissime, le superscìc arrivarono con lo zainetto Vuitton, che allora specie a noi dei paesi pareva il lusso sfrenato. Erano truccate per la maturità. Con la messa in piega. Abbronzatine. E io mi chiedevo: ma com’è possibile, hanno dormito? Non hanno passato l’ultimo mese come me, legata alla scrivania matta e disperatissima? Non muoiono di paura? Come fai a morire di paura e darti il rimmel?

Voleva dire che c’erano altri modi di vivere a parte il mio. Fregandosene un po’. Si poteva fare tutto, anche l’esame di maturità, senza farne una tragedia. Io non lo sapevo.

C’era il giorno in cui finivi anche l’orale. Ti aspettavano gli amici fuori, allora, è andata bene, è finita. Che ti ha chiesto il commissario esterno?

Pensavi che quella sarebbe stata la definizione di massimo sfinimento mentale e fisico. Avresti giurato. Guardavi i libri, i corridoi, i banchi, quei cancelli, il portone, l’orologio che segnava una sola ora buona, le tredici del pomeriggio. È finita, pensavi.

Con voi ho chiuso, e parevano davvero passati tutti i guai, tutti i problemi, nessuno ci avrebbe mai più interrogati, messi in difficoltà, spremuti e umiliati. Era la maturità, sarebbe cambiato tutto. Il mondo sarebbe diventato innocuo. Per forza! Da qui in poi saremo responsabili di tutte le nostre responsabilità! E ce ne andammo al mare.