Forse abbiamo esagerato. Con la resilienza intendo. Che orrendo termine, però mi serve. Ci siamo abituati a tutto, va bene tutto. La borghesia non si sciocca manco se la pigli a schiaffi. Facciamoci l’autodiagnosi onesta: le microriserve di pensiero/critica/indignazione che ci sono rimaste ormai sono investite in stronzate. Siamo attratti, ci piacciono solo quelle, ci finiamo come insetti sulla luce blu. Le stronzate sono il nuovo pettegolezzo, non so se avete notato.

Chiara Ferragni in mutande attaccata da una bambina, la bambina oltre che moralista è campionessa di equitazione e risponde dal suo divano in Svizzera alle interviste sulle testate nazionali. Articoli lettissimi, commentatissimi, generatori di altri articoli. Se ti fermi un momento a pensare usando il pensiero di quindici anni fa ti dici “non è possibile”. Siamo pure in grado di giurificarci: segno dei tempi, è adeguarsi alla modernità, è studio sociologico, questo passa il convento. Non ce la facciamo a dire: stronzate. È amore che non osa pronunciare il nome.

Servirebbe una nuova parola: la parola che spiega come mai siamo in questa ricreazione perenne, senza paura di niente, senza pensieri, una pacchia dalla mattina alla sera.

Servirebbe una parola greca, russa o tedesca. A raccontarci come stiamo. Sull’orlo dei disastri e impegnatissimi a spassarcela. Non credete ai dispacci sulle depressioni. C’è troppa gente che si lamenta e chi sta male non si lamenta, non ha il tempo non ha le forze e manco la voglia. Con le sbucciature (metaforiche) di ginocchio piangi sui social, il dolore di prima qualità è muto. Nessuno dei possessori di afflizioni minori si senta offeso, e se si sente offeso, si rivolga a Seneca: «Levis est dolor qui loquitur, magnus muta».

«Nel mondo odierno si è smarrita ogni divinità. Esso è diventato un unico grande magazzino. La cosiddetta economia della condivisione (sharing economy) rende ciascuno di noi un venditore in cerca di clienti. Riempiamo il mondo di cose dalla resistenza e dalla validità sempre piú brevi. Il mondo soffoca di cose. Nell’essenza, questo grande magazzino non si distingue da un manicomio. Abbiamo chiaramente tutto. Eppure, ci manca l’essenziale, ossia il mondo. Il mondo è diventato privo di voce e di linguaggio, afono. Il baccano comunicativo soffoca il silenzio, la proliferazione e la massificazione delle cose rimuovono il vuoto. Le cose invadono il cielo e la terra. Questo mondo di merci non è adatto all’abitare, esso ha perso ogni riferimento al divino, al sacro, al segreto, all’infinito, al solenne, al sublime. Abbiamo perduto anche ogni capacità di meravigliarci. Viviamo in un grande magazzino trasparente, nel quale siamo osservati e manovrati come clienti trasparenti. Fuggire da questo grande magazzino (Warenhaus) non sarebbe necessario». Han, Byung-Chul, La società della stanchezza, ed. nottetempo.

Questo era l’altroieri. Ma la società della vendita è riuscita a fare un’altra evoluzione. Spiego con qualche domanda che ci ha occupati nelle ultime settimane:

Chiara Ferragni si potrà fare le foto in mutande?

È empowerment?

Sarà la prossima l’estate più calda del secolo?

Sarà vero che la centrale nucleare di Zaporizhzhia è una bomba a orologeria?

Sarà giusto licenziare una ragazza perché il datore ha scoperto che è su Onlyfans?

Onlyfans è mercificazione del corpo o libera espressione del pensiero e non ti devi permettere?

Se trovassi mia figlia che esprime il suo pensiero in mutande su Onlyfans cercherei di capire le sue ragioni?

L’opinione mia vale quanto la tua?

Le opinioni cambiano il mondo?

Le parole cambiano le cose?

Il linguaggio inclusivo che adottiamo da cinque anni circa sta facendo qualche differenza, come stiamo noialtri delle categorie protette?

Tutti gli educatissimi avvocata che mi sono stati rivolti stanno lavorando per me in silenzio?

Quando si vedrà la differenza del linguaggio inclusivo, la prossima generazione?

La prossima generazione ce la farà o siamo gli ultimi e l’emergenza climatica ci seppellirà?

Non è che il colpo di scena sarà l’AI che si rivolta contro di noi?

Non so più distinguere le domande sceme dalle altre. Nessuno potrebbe.

«La verità è narrativa ed esclusiva. Esistono mucchi di informazioni o di spazzatura informativa. La verità, invece, non forma un cumulo. Non è frequente. Per molti versi si contrappone all’informazione. Elimina la contingenza e l’ambivalenza; elevata a narrazione, fornisce significato e orientamento. La società dell’informazione, invece, è vuota di significato. Solo il vuoto è trasparente. Oggi siamo ben informati, ma disorientati. Le informazioni non hanno potere di orientamento. Anche il fact-checking piú assiduo non è in grado di stabilire la verità, perché questa eccede l’accuratezza o la correttezza delle informazioni. La verità è in ultima analisi una promessa». Infocrazia: Le nostre vite manipolate dalla rete, H. Byung-chul, Einaudi.

Quindi la domanda cambia ancora faccia: cosa attecchisce in tutto questo? Qualcuno dice i regimi, altri le rivoluzioni, altri ancora la fine della civiltà. Io sono solo curiosa di vedere come ce la caveremo anche stavolta. L’altra possibilità è sempre la stessa, storicamente più frequente delle variabili estreme degli eventi: che non succeda proprio niente. La divina imprevidenza che poi alla fine ha sempre governato il mondo.