Notizia numero 1

«Quando una popolana napoletana non ha figli, essa non si addolora segretamente della sua sterilità, non fa una cura mirabile per guarirne come le sposine aristocratiche, non alleva un cagnolino o una gattina o un pappagallo come le sposette della borghesia. Una mattina di domenica ella si avvia, con suo marito, all’Annunziata, dove sono riunite le trovatelle: e fra le bimbe e i bimbi, allora svezzati già grandicelli, ella ne sceglie uno con cui ha più simpatizzato, e, fatta la dichiarazione al governatore della pia opera, porta con sè, trionfando, per lo più la piccola figlia della Madonna.

Questa creaturina, non sua, ella l’ama come se l’avesse essa messa al mondo; ella soffre di vederla soffrire, per malattia o per miseria, come se fossero viscere sue; nella piccola umanità infantile napoletana i più battuti sono certamente i figli legittimi; di battere una figlia della Madonna, ognuno ha un certo ritegno; una certa pietà gentilissima fa esclamare alla madre adottiva: puverella, nun aggio core de la vattere, è figlia de la Madonna. Se questa creatura fiorisce in salute e in bellezza, la madre ne va gloriosa come di opera sua, cerca di mandarla a scuola o almeno da una sarta per imparare a cucire, poichè certamente, per la sua bellezza, la bimba è figlia di un principe: in nessun caso, di miseria o d’infermità, la madre adottiva riporta, come potrebbe, la figliuola all’Annunziata. E l’affezione, scambievole, è profonda come se realmente fosse filiale; e a una certa età il ricordo dell’Annunziata scompare e questa madre fittizia acquista realmente una figliuola».

È da Il ventre di Napoli, di Matilde Serao. Della mamma che lascia il bambino non si parla neanche mezzo rigo. "La pietà", si intitola questo capitolo. A noi non è rimasta manco la pietà di farci i fatti nostri. Vedi Milano, qualche giorno fa. Tu mamma infelice hai lasciato la creatura all’Annunziata di Milano, la culla anonima della Mangiagalli? Ripensaci, fatti coraggio, vieni da noi, ti diamo i soldi. C’è la letterina tanto affettuosa, dice il primario. » solo una difficoltà del momento! Ecco tenga cinquanta euro.

Notizia numero 2

Non è cronaca, è storia di orrore. Un orso uccide e sbrana un ragazzo in Trentino.

Gli esemplari, si legge, sono oltre 150. Ce li avete amici in Trentino? Chiedete agli amici in Trentino cosa si deve fare.

Perché qualcuno dalle parti nostre deve aver dato la notizia sbagliata che ci si poteva iscrivere a due partiti diversi, quello a difesa della gente a non essere mangiata viva e il partito a favore dell’animale selvatico. Uno dei due partiti non esiste.

Qualcuno s’è svegliato e ha pensato che era un’idea passabile argomentare su un caso di orso che insegue e divora un uomo.

La smania opinionista. Esiste, imperversa, ma non è criticabile. Il problema di avere l’opinione critica su quelli che hanno opinioni è la fallacia logica dell’argomentazione: risulti ancora più inviso, pari il sommo profeta che cala dall’alto la manifestazione della sua superiorità e del suo equilibrio. «Io non le esprimo, le opinioni, sono meglio di voi». No, non sei meglio di noi, sei uguale. L’equivoco è nella premessa: avere opinioni è più una cosa di pastorizia che di alto sentire. Qual è il compito del buon pastore di opinioni? Saper riconoscere quando una vacca è meglio delle compagne, e sapere quando le vacche vanno tenute nella stalla.

Se ho l’opinione ce l’ho su tutto, certo. Tutti ce l’abbiamo su tutto, solo che certe te le tieni per te. Considerare che l’opinionista si distinguerà, in questi tempi sbandati, specialmente dai non-interventi.

Notizia numero 3

Sono andata al cinema e fin qui uno direbbe: chi se ne frega.

Ho visto Air. Ben Affleck che racconta una storia Anni '80: come la Nike ottenne la firma di Michael Jordan per le scarpe che poi divennero le scarpe da ginnastica più famose del mondo.

E ho pensato: che sollievo. Tutto il tempo.

Che sollievo. Quando si vede un autore, uno scrittore, un regista che non è finito nella tagliola dell’avvitamento: «Ecco il mio dolore, prendete e abbuffatevene tutti», invece del più complesso: «Io ce l’ho un dolore, ma vediamo se riesco a fare una cosa migliore del monopoli dell’immedesimazione e della commozione ricattatoria». Una volta si diceva: «quello si guarda l’ombelico», in segno di spregio letterario. Era carino, l’ombelico. Ora s’è fatto cratere.

Che sollievo, dicevo. Sono uscita dal cinema zompettando, con quel saporiello post consumo culturale di storia ben scritta, di sceneggiatura organizzata intorno, di cose, fatti vivi, scelte, fortuna, riscatto, soldi. È possibile e ha del miracoloso: farti sentire intelligente senza neanche il retrogusto amaro. Di questi tempi, fateci caso.