Quando, nel 1981, è uscito La donna gelata, Annie Ernaux è stata accusata di non essere abbastanza femminista. Avrebbe dovuto, secondo alcuni, nelle folte schiere di chi negli ultimi anni ha riscoperto i suoi libri, entrare nel merito del movimento, non limitarsi a raccontare vicende al femminile, a scrivere di intimità e della sua «vicenda reale di donna». «Troppo femminista per i sostenitori della famiglia tradizionale, non abbastanza per alcune femministe che avrebbero preferito libri di lotta», ha spiegato al Fatto Quotidiano. Ma il femminismo, sostiene la scrittrice, «non può essere decretato, si dimostra nel proprio modo di vivere e di scrivere». Oggi Ernaux è una delle più acclamate e amate autrici francesi contemporanee e, a 82 anni, ha vinto il premio Nobel per la Letteratura del 2022.

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Annie Ernaux nel 1996

Concentrarsi sul particolare, sull'infinitesimale è diventato un'attività superflua: solo i bambini o i perdigiorno si fissano sulle cose guardandole così da vicino da scoprire mondi microscopici, uno dentro l'altro. Ci diciamo che il rischio (e il motivo per cui non lo facciamo) è perdere il quadro generale, dare peso a dettagli di poco conto. Preferiamo guardare la società da lontano, giudicarla e identificare schemi macroscopici. Ernaux, invece, per tutta la vita, ha descritto la banalità della vita femminile partendo da sé, dai suoi sensi, da ciò che vede, sente, sperimenta. La donna gelata racconta di un matrimonio soffocato da lavastoviglie da scaricare e ruoli di genere che intrappolano anche quando si pensa che conoscere il gioco basti per evitarlo. In Una donna (1988), Ernaux racconta di sua madre e del dolore per la sua morte: quasi settant’anni di vita quotidiana, di Storia con la "s" minuscola e maiuscola. «Non è una biografia, né un romanzo», spiega, «forse qualcosa tra la letteratura, la storia e la sociologia».

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Ernaux nel 2008

Di recente si è parlato di Ernaux dopo che il suo libro L’evento (2000), dove racconta di una ragazza che, negli Anni '60 decide di abortire illegalmente, è diventato il film che ha vinto il Leone d'Oro alla Mostra del cinema di Venezia del 2021. Il "lei", nel suoi libri, si fonde sempre con l'"io" e si trasforma in "noi" senza soluzione di continuità: c'è sempre, nelle sue donne, qualcosa che riconosciamo e che ci sembra, allo stesso tempo, intimo e universale, banale e di vitale importanza.

In Guarda le luci, amore mio (2014) la scrittrice raccoglie immagini e riflessioni osservando ciò che accade in un ipermercato, uno dei luoghi simbolo della contemporaneità eppure, solitamente, quanto mai lontano da velleità culturali. «In quanto donna e curiosa dell’esistenza che vedo esprimersi nei gesti ordinari delle persone – dal parrucchiere, nelle stazioni ferroviarie, nelle stazioni di servizio – ho iniziato a pensare che avesse dignità di racconto», ha spiegato Ernaux in un'intervista a Io Donna. Del resto si parla molto di mamme e casalinghe che fanno la spesa (con figli, senza figli, con soldi, senza soldi, di malavoglia o per scelta) e si occupano della gestione domestica. Ma in pochi vanno davvero a cercarle nei luoghi dove passano il tempo.

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La scrittrice in una foto del 1984

Ernaux ci è cresciuta in una épicerie: i genitori avevano un negozio di alimentari a Yvetot in Normandia. Era prima del matrimonio, durato solo pochi anni, prima dei figli, prima della militanza nel movimento femminista degli anni 70 e prima della carriera come scrittrice iniziata con Gli armadi vuoti nel 1974. Quelle descritte da Ernaux sono, come lei stessa le descrive, «donne fragili e vaporose, fate dalle mani dolci, aliti leggiadri della casa che in silenzio fanno nascere l’ordine e la bellezza, donne senza voce, sottomesse». Ma sono anche (e, in molti casi, contemporaneamente) donne che non scendono a compromessi, che rilanciano, che si scuotono di dosso le norme sociali mettendone alla prova la stretta. Sono donne la cui vita, da sempre, è stata considerata materiale di scarto, ridotta a un trafiletto sulla "condizione femminile" nei sussidiari. Ernaux ha vinta il Nobel «per il coraggio e l'acutezza clinica con cui ha svelato le radici, gli straniamenti e i vincoli collettivi della memoria personale». Un personale che è sempre stato politico, bisognava solo raccontarlo.