Al liceo scoppia il fenomeno Frank Matano, i suoi video sono ovunque, ce li si scambia con il bluetooth e si guardano su Youtube sui primi iPhone con internet. Si passano così interi intervalli in classe a ridere per quello che è diventato in pochissimo tempo uno dei grandi comici italiani, tra i primi a dovere tanto del suo successo al potete della rete e della condivisione. Da lì a Le Iene è stato un attimo, poi Italia's got talent, LOL e Prova Prova Sa Sa. Anche il grande schermo non si è fatto attendere, e oggi con 3.5 milioni di follower è uno dei comici più seguiti d'Italia.

Noi lo abbiamo intervistato in merito al suo ultimo progetto, Oversympathy, nove appuntamenti nelle tre città più grandi del Paese, in cui ogni sera sette performer si esibiranno sul palco e in pochi minuti a disposizione dovranno cercare di far ridere nella massima libertà, di argomenti e modalità. Penalità per chi risulterà "oversimpatico".

Con Frank alla conduzione ci saranno anche due ospiti, diversi per ogni serata, che insieme a lui costituiranno la giuria che valuterà le esibizioni e deciderà chi saranno gli aspiranti comici a cui assegnare le tre sedie presenti sul palco.

I biglietti li trovi qui.

Come nasce l'idea di Oversympathy?

«Dall'esigenza di dare una piattaforma e un contesto ai giovani comici che non hanno moltissimi posti se non il web o un proprio canale su TikTok. Io ho una passione per la comicità americana che si basa sull'open mic e vive nei club, dove chiunque può iscriversi, è l'aspetto che mi piace di più. Il mio compito durante le serate, e ci saranno anche altri ospiti comici, è quello di elevare o smascherare chi sta cercando di far ridere.Ma chi esagerare, ricadendo nell'oversympathy, allora avrà perso».

Cosa intendi con questo termine?

«È quando, pur di far ridere, esageri e ottieni il risultato opposto, cioè quello di essere fastidioso e non divertente, mettendo a disagio. Ci sarà un tasto che interromperà proprio questo tipo di performance: il danno che fanno alcune persone è di peccare di presunzione».

Il cabaret spesso rischia di essere anche molto aggressivo..

«Io penso che ci debba essere un posto in cui si possa essere aggressivi nel linguaggio, a seconda delle parole usate ovviamente. Io dico sempre che vengo da un posto di campagna e le parole sono come la frutta, variano di prezzo durante l'anno, durante le stagioni. Alcune parole in alcuni anni costa di più dirle o forse è inutile dirle, però non si può nemmeno non poter più dire niente. Dipende sempre dal contesto e da chi lo dice, come lo si dice e a chi lo dice, chi sono i nostri interlocutori».

Stiamo assistendo a un appiattimento dei discorsi, a una sorta di omologazione per paura di non poter più dire niente?

«Il pubblico sicuramente percepisce un prodotto molto più omogeneo rispetto ad anni fa, che deve tutto al timore di ferire le persone. La vera prova dello show sarà trovare un equilibrio, io cercherò io di tracciare questa linea immaginaria, ma dipenderà da tanti fattori: dall'esigenza del comico di dire una specifica frase, dalla reazione del pubblico. Di sicuro penso sia sbagliato non permettere a un comico di dire quello che vuole, tanto che dopo ogni performance c'è un'intervista di 90 secondi e lì se ne può parlare. Secondo me è più utile parlarne che non prendersi il rischio di dirlo, magari alla fine è solo un'uscita divertente e non offensiva».

L'open mic americano vive di trasgressione però in qualche modo sembra che trovino sempre un equilibrio. O è solo un'impressione?

«In questo momento negli Stati Uniti la cancel culture ai comici fa comodissimo perché è diventata un concetto così ampio che oggi ha perso tanta della sua potenza iniziale. I comici tentano costantemente di dire quello che è nella mente delle persone, sono la vera faccia del pensiero americano. E se non c'è un contrasto, se le cose si potessero dire tutte, non farebbero più ridere. Mi spiego, una parolaccia fa ridere proprio perché non la puoi dire, il trucco è trovare l'equilibrio. Se si parla di religione è più facile far ridere, rispetto a parlare di minoranze, che sono un campo più spigoloso. E dipende anche dla periodo storico».

Esiste ancora una comicità americana e una comicità italiana? Quanto sono lo specchio di una cultura?

«Penso che con l'occidentalizzazione di tutta l'Europa stia uniformando il tutto, complice Internet. Gli italiani di sicuro conservano anche uno spirito più europeo nel loro modo di far comicità, e siamo un popolo connotato da una forte componente locale, regionale. Mi piacerebbe trovare un cabarettista classico romano magari, uno stand-upper napoletano che ci regala un po' di black humor, poi uno più fisico di Torino, dove c'è una scuola di circo. La stand-up può essere molto varia. Spesso si pensa che "stand-up" significhi "black humour". "Stand-up "piuttosto è uguale a "verità" e a volte la verità è dolorosa e viene scambiata per black humor».

A posteriori, dopo anni di carriera, guardandoti indietro, pensi di essers stato over-simatico anche tu? di avere un po' esagerato magari?

«Sempre! Ma tuttora mi capita. Più esperienza fai diciamo e meno rischio hai di essere oversimpatico ma è difficile scamparla. È un concetto filosofico: esagerare si può, non è sbagliato in assoluto, però è come saper ballare, devi avere il ritmo per gridare ed essere divertente. È più facile caderci che resistere alla tentazione».

La comicità è un talento o si impara?

«Direi più che altro che è un'ossessione che ti acchiappa quando sei adolescente, fino a 18 20 anni, poi la gente man mano inizia a non pensarci più. Tranne i comici, che continuano a pensarci e ne fanno la propria vita. Con l'allenamento può diventare un mestiere, si può sempre imparare».


Queste le date e i club dove si svolgeranno gli spettacoli di Oversympathy:

  • ROMA - LARGO VENUE - 6/7/8 MAGGIO
  • MILANO - SANTERIA TOSCANA 31 - 17/19/26 MAGGIO
  • TORINO - HIROSHIMA MON AMOUR - 28/29/30 MAGGIO

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